Abbiamo chiesto alla professoressa Maddalena De Leo, graditissima
ospite della presentazione di domenica 21 aprile ad Agropoli dedicata ad alcune opere
giovanili di Charlotte Brontë, di rispondere anche per iscritto alle domande
che le sono state rivolte durante l’incontro. Per informazioni sulle attività
della professoressa De Leo, studiosa internazionale della Famiglia Brontë, clicca qui.
Le tre
sorelle Brontë pubblicarono i loro romanzi firmandosi con gli pseudonimi di
Currer, Ellis e Acton Bell.
Esiste
però il libro della scrittrice Michele Carter, non tradotto in italiano, che
indica Charlotte come unica autrice di tutta la produzione dei Bell, tu che
opinione hai in merito? Potrebbero tutti i romanzi delle tre sorelle che
firmavano le opere con nomi maschili, essere in realtà stati scritti solo da
Charlotte?
È ormai da più di un decennio che la famiglia Brontë
è oggetto di speculazione da parte di sedicenti autori, soprattutto americani,
che presupponendo uno scoop giornalistico gettano fango (e continuano a farlo
imperterriti di anno in anno) su questi genii letterari ormai sacri nel mondo
della letteratura. Dal 2000 in poi c’è stata infatti in America sulla vita e
l’opera delle Brontë un’incredibile fioritura di libri che definisco decisamente
‘rubbish’ (spazzatura) perché si è capito che queste autrici, come Shakespeare,
producono denaro e curiosità a non finire se si vuole andare a scavare nei
meandri della loro vita di fatto non ben conosciuta. I lettori creduloni,
quelli che non conoscono nulla di questi autori letterari, immancabilmente
cadono nella trappola e il tutto si trasforma in un gossip letterario senza
fine (vedi anche il recente film Anonymous
per quanto riguarda il bardo di Stratford). È quindi importantissimo operare
una smentita, da parte degli studiosi o da chi è preposto a tutelare
l’integrità letteraria di autori di spessore, per cui sono ben felice di
poterlo fare rispondendo a questa vostra domanda.
A quanto pare questa tale Michele Carter con un
libro di ben cinquecento pagine (il titolo è Charlotte Brontë’s Thunder, in cui costei gioca con il significato
greco di ‘tuono’ del cognome) ha elaborato una apparentemente credibile e
inappuntabile teoria, tesa soprattutto a sminuire l’importanza letteraria di
Emily, ma anche di Anne, attribuendo tutto il merito dei sette romanzi Bronë
alla sola Charlotte. Personalmente non ho letto il libro perché mi rifiuto di
leggere o acquistare qualunque speculazione al riguardo né lo farò mai, e spero
davvero che nessuna casa editrice italiana intenda far tradurre nella nostra
lingua per scopi prettamente commerciali l’insieme di supposizioni erronee
portate avanti da questa americana. Ecco perché ho esigenza di confutare, anche
a nome di alcuni amici della Brontë Society da me consultati, quanto
proditoriamente asserito da costei.
Che la mano sia triplice è presto detto, malgrado la
Carter sia di diverso parere. Partendo dai tre diversi pseudonimi, è facile
capire che all’epoca le donne per pubblicare dovevano necessariamente
nascondersi sotto nomi diversi; nel nostro caso le sorelle scelsero addirittura
nomi quali Currer, Ellis e Acton che erano sia maschili che femminili. Anche
all’epoca, a metà Ottocento, fu contestata la paternità dei tre romanzi tanto che
Charlotte e Anne si presentarono di persona e a sorpresa a Londra dall’editore
George Smith (Emily era troppo schiva per accompagnarle) col preciso intento di
dimostrare di non essere uno solo ma tre autori. Ma la differenza fondamentale
che ne fa una triade è da individuare nello stile delle loro opere. Io che
traduco da anni i testi di Charlotte e che al momento sto operando sui
componimenti scritti a Bruxelles su uno stesso tema da ambedue le sorelle (si
tratta del mio nuovo lavoro, di futura pubblicazione) posso rendermi conto da
vicino e saggiare con mano la differenza stilistica tra lei e Emily. Forse il
punto è che la signora Carter ha dimenticato di confrontare proprio la qualità
dei due stili. Quello di Charlotte, ricco di aggettivi, esuberante e ricercato,
quasi sempre cadenzato e descrittivo, è molto diverso dal modo di esprimersi di
Emily, rapido, stringato e soprattutto essenziale. Anne poi, anche lei autrice
di due romanzi che all’epoca della loro pubblicazione sconvolsero per molti
versi l’opinione pubblica, descrive e parla solo di ciò di cui è a conoscenza e
che ha potuto sperimentare con mano ed è quindi sempre realistica. Assolutamente
non si può parlare quindi di un solo autore ma di tre menti simili per
formazione ed educazione ma sostanzialmente diverse.
Sempre
Michele Carter ritiene che la scrittura di Charlotte sia caratterizzata da
anagrammi molto inquietanti, pare che la Brontë fin da piccola fosse molto
brava nell'utilizzarli, tu hai eseguito un pregevole lavoro di traduzione di
due suoi racconti, credi che la Carter possa avere ragione? Esiste un codice
segreto, si può parlare di crittografia nei suoi scritti?
Che Charlotte sapesse fare anagrammi e si dilettasse
ad utilizzarli per divertimento, come lo facevano del resto tutti i membri di
questa super-dotata famiglia, è più che normale. Non ci dimentichiamo che
Charlotte già da giovanissima riusciva a scrivere ad occhi chiusi e Branwell,
il fratello, era ambidestro. Credo che la Carter, pur informatissima sulla
Massoneria e le sue regole, abbia deliberatamente forzato la mano facendo
apparire Charlotte quasi come una strega o una maga imbevuta di misteri e
criptografia, ha voluto leggere cioè, con gli innumerevoli esempi che fa nel
suo libro, anche quel che non c’è sfidando, come dicevo poc’anzi, e attirando intenzionalmente
nella trappola del ‘gossip’ il solito lettore credulone e poco informato.
Charlotte,
a venticinque anni, si recò con Emily a Bruxelles per frequentare una scuola di
perfezionamento, dove migliorò la conoscenza del francese e del tedesco e dove
si innamorò del professor Heger. Charlotte, tornata in Inghilterra, scrisse ad
Héger alcune lettere, eccone un breve frammento (durante la presentazione di domenica 21 letto dall'attrice Maria
Cristina Orrico):
… Vogliate
perdonarmi dunque, signore, se decido di scrivervi ancora. Come posso
sopportare la vita se non cerco di alleviarne le sofferenze?
So
che vi spazientirete leggendo questa lettera. Direte ancora che sono un’esaltata,
che ho pensieri cupi, eccetera. E sia pure, signore, non cerco di
giustificarmi, accetto ogni rimprovero, io so soltanto che non posso, che non
voglio rassegnarmi a perdere interamente l’amicizia del mio maestro, preferisco
subire i più terribili dolori fisici piuttosto che avere il cuore lacerato da
cocenti rimpianti. Se il mio maestro mi priva interamente della sua amicizia
perderò ogni speranza, se me ne dà un poco, molto poco, sarò contenta, felice,
avrò un motivo per vivere, per lavorare.
… Dirò
francamente che nell’attesa ho cercato di dimenticarvi, poichè il ricordo di
qualcuno che si crede di non dover più rivedere e che tuttavia si stima molto
tormenta troppo lo spirito, e quando si è stati vittime di tale inquietudine
per uno o due anni si è pronti a tutto per ritrovare il riposo. Ho fatto di
tutto, ho cercato di occuparmi, mi sono rigorosamente proibita il piacere di
parlare di voi anche a Emilie, ma non ho potuto vincere i miei rimpianti né la
mia impazienza, è molto umiliante non saper dominare i propri pensieri, essere
schiave di un rimpianto, di un ricordo, schiave di un’idea fissa e dominante
che tiranneggia lo spirito. Perché non posso avere per voi soltanto l’amicizia
che voi avete per me né più né meno? Allora sarei tranquilla, libera potrei
restare in silenzio sei anni senza sforzo.
Charlotte Brontë
Chiediamo
un tuo commento a questa lettera, in base anche alla tua conoscenza della
Brontë e delle sue eroine che sembrano antesignane nel desiderio di riscatto di
genere e d'indipendenza, orgoglio femminile e onestà intellettuale.
In realtà questi sono due frammenti tratti dalle
ultime due delle quattro commoventi lettere scritte al professor Heger da
Charlotte Brontë negli anni 1844-45 una volta tornata nella solitudine di
Haworth. Quest’anno, fra l’altro, si celebra il centenario della loro donazione
al British Museum da parte di Paul e Louise Heger, figli del professore, che
dopo averle preservate e custodite nel tempo, ritennero di doverle cedere alla
nazione inglese in quanto documento letterario. A tutt’oggi le lettere si
trovano presso la British Library di Londra e sono bellissime, delle vere e
proprie lettere d’amore dalle quali traspira il grande trasporto che legò la
piccola alunna anglosassone a quel professore di letteratura burbero e
impenetrabile che riuscì a incalanarne la prosa sino ad allora troppo
fantasiosa. Dopo la lezione di vita impartita da Heger a Bruxelles, piegata
dalle circostanze che la obbligavano a riscattare il suo amor proprio con
l’allontanamento da lui, Charlotte non fu mai più la stessa in quanto vittima
di un amore unilaterale e respinto, impossibile anche razionalmente in quanto
l’uomo era sposato con figli. Dalle ceneri di quella passione Charlotte elaborò
però da quel momento con la sua penna il ritratto di eroine forti e oneste che,
come aveva fatto lei, non potevano piegarsi a compromessi di alcun genere.
Frances e Jane, giovani donne povere e combattive non sono altro che
l’alter-ego della Charlotte innamorata che lotta sino allo stremo per affermare
la propria personalità forte e volitiva. Ce ne saranno poi altre di
protagoniste come Caroline, Shirley e Lucy, ma tutte porteranno in sé la forza di
andare avanti senza alcun aiuto nell’ispido sentiero della vita, così come fece
la loro coraggiosa autrice.
Secondo
l'opinione dei maggiori critici, fin dall’infanzia, Charlotte intese la
scrittura come un mezzo per lenire la sofferenza dei lutti familiari, uno svago
ai rigidi dettami inculcati dal padre e dall’istituto di Cowan Bridge, ma
Medail Cesare il 9 giugno 1999 sul Corriere della Sera riportava questa
notizia:
Charlotte
Bronte serial killer? Giallo sulla morte delle sorelle La selvaggia brughiera
dello Yorkshire, dove vissero le sorelle Bronte, fu teatro di una delle piu'
sordide tragedie della storia delle lettere? Charlotte Bronte, avrebbe ucciso
le due sorelle scrittrici, Anne e Emily oltre a Branwell, il fratello
alcolizzato. Lo sostiene il criminologo inglese James Tully nel saggio "I
delitti di Charlotte Bronte", sulla base del manoscritto di una domestica
secondo la quale le sorelle litigavano di continuo nella canonica dove
vivevano. Charlotte era invidiosa del successo di Emily e del fatto che anche
Anne si fosse fatta apprezzare con dei romanzi. La circostanza poi che Emily,
Anne e Branwell siano morti tutti nel giro di pochi mesi, dal settembre 1848 al
maggio ' 49, è per lo meno inquietante; tanto più che la presunta serial killer
avrebbe poi ereditato beni e diritti delle sorelle. Complice di Charlotte
sarebbe stato suo marito, il coadiutore del padre reverendo Nichols,
intenditore di veleni come l'arsenico, il laudano e l'antimonio. Singolare la
reazione della "Bronte society", formata dai cultori delle tre
sorelle, il cui portavoce ha detto che quelle morti "somigliano agli
avvelenamenti a fuoco lento". Sei una socia storica della Bronte Society,
come commenti questa notizia: potrebbe essere vera?
Quando sento menzionare James Tully vado
ancora su tutte le furie anche se ormai sono trascorsi quattordici anni
dall’infamia da lui sostenuta. All’epoca lessi il libro (in prestito) e
nauseata lo restituii quasi subito non riuscendo a ‘digerire’ per mesi tutte le
calunnie sostenute da questo presunto criminologo. La Brontë Society pur non
essendo d’accordo con le teorie di Tully, lo ospitò per ricerche ed anche poi
all’uscita del libro per le varie presentazioni anche se nel negozio della
canonica di Haworth il libro in questione non è poi mai apparso sugli scaffali
per la vendita. A quanto pare il vero scopo del tizio era quello di avere
qualcosa di cui vantarsi e vanagloriarsi, e cosa c’era di meglio che inventare
un giallo in cui ci fosse un’anima ‘nera’
coadiuvata da un intenditore di veleni? Intervistato dopo qualche tempo
dall’amico Richard Wilcocks, ideatore e organizzatore del Brontë Parsonage
Blog, il Tully dichiarò di essere molto divertito dall’effetto che la sua
teoria produceva sugli appassionati delle Brontë e, essendo ormai ‘seccato’ da
Charlotte, di voler passare ad un personaggio storico (indubbiamente per
infamarlo!). All’epoca, parliamo del 1999, la nostra sezione italiana della
Brontë Society si oppose fermamente alle notizie balorde provenienti dai
tabloids di oltre Manica e la nostra rappresentante italiana, prof.ssa Franca
Gollini, obiettò con forza all’articolo tendenzioso e superficiale pubblicato
dal settimanale Gente pretendendo a ragione una smentita sul numero successivo
(cosa che puntualmente avvenne e di cui conservo copia fra le mie carte). Anche
l’infelice frase citata e attribuita ad un portavoce della Brontë Society è da
guardare con circospezione perché proprio in quegli anni ci fu qualcuno
all’interno di questa più che centenaria società letteraria che creò ad essa
pericolosi problemi di immagine. Senza dubbio a costui sono da attribuire tali
parole.
Una teoria come
quella di James Tully non è ammissibile in quanto tutti i Brontë si portavano
dentro i germi della tisi e quindi una salute precaria che prima o poi, con il
freddo clima del luogo in cui vivevano, li avrebbe inesorabilmente portati alla
morte; purtroppo il fratello e le due sorelle morirono a breve distanza
temporale l’uno dalle altre proprio per tale fatalità. Inoltre le sorelle di
Charlotte non avevano beni di cui lei avrebbe potuto impadronirsi e i diritti
dei loro romanzi (Cime Tempestose – Agnes
Grey – L’Inquilina di Wildfell Hall) addirittura si rivelarono nulli, non
essendoci stato per essi alcun successo di mercato. Da parte del Tully aver
coinvolto Arthur Bell Nicholls nella trama come colui che ‘distribuiva’ e si
intendeva di veleni risulta ancora più ridicolo e infondato visto che la
presenza del tranquillo curato irlandese nella vicinanze della canonica o
durante la messa domenicale era stata per anni completamente ignorata dalle
figlie del reverendo Brontë: da ragazze educate secondo i rigidi canoni
vittoriani, le tre sorelle non avevano alcuna possibilità di scambi verbali con
quel curato che frequentava la casa solo per preparare sermoni con il loro
padre o per sorseggiare il tè settimanale insieme agli altri prelati della
zona(scena poi immortalata magistralmente nel primo capitolo di Shirley). Piuttosto l’aver posto quello
che poi divenne il marito di Charlotte al centro di questo presunto complotto
ha tracciato nel tempo un percorso pericoloso che ha portato negli ultimi anni,
come dicevo prima, a vedute e pareri distorti riguardanti tutti i membri della
famiglia Brontë. Infatti stranamente, dal 2000 in poi, ogni sedicente
pseudo-biografo di Charlotte si è arrogato il diritto di dire la sua sulla
personalità di Nicholls e sul sentimento sincero, interessato, discutibile o
meno da lui nutrito per lei prima e dopo il loro troppo breve matrimonio.
Da studiosa brontëana e
appassionata di anglistica continuerò sempre a rigettare decisamente ciò che il
Tully anni fa ha cercato di diffondere con furbizia e frode.
Maddalena
De Leo
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