martedì 30 aprile 2013

Intervista a Maddalena De Leo


Abbiamo chiesto alla professoressa Maddalena De Leo, graditissima ospite della presentazione di domenica 21 aprile ad Agropoli dedicata ad alcune opere giovanili di Charlotte Brontë, di rispondere anche per iscritto alle domande che le sono state rivolte durante l’incontro. Per informazioni sulle attività della professoressa De Leo, studiosa internazionale della Famiglia Brontë, clicca qui.






Le tre sorelle Brontë pubblicarono i loro romanzi firmandosi con gli pseudonimi di Currer, Ellis e Acton Bell.
Esiste però il libro della scrittrice Michele Carter, non tradotto in italiano, che indica Charlotte come unica autrice di tutta la produzione dei Bell, tu che opinione hai in merito? Potrebbero tutti i romanzi delle tre sorelle che firmavano le opere con nomi maschili, essere in realtà stati scritti solo da Charlotte?

È ormai da più di un decennio che la famiglia Brontë è oggetto di speculazione da parte di sedicenti autori, soprattutto americani, che presupponendo uno scoop giornalistico gettano fango (e continuano a farlo imperterriti di anno in anno) su questi genii letterari ormai sacri nel mondo della letteratura. Dal 2000 in poi c’è stata infatti in America sulla vita e l’opera delle Brontë un’incredibile fioritura di libri che definisco decisamente ‘rubbish’ (spazzatura) perché si è capito che queste autrici, come Shakespeare, producono denaro e curiosità a non finire se si vuole andare a scavare nei meandri della loro vita di fatto non ben conosciuta. I lettori creduloni, quelli che non conoscono nulla di questi autori letterari, immancabilmente cadono nella trappola e il tutto si trasforma in un gossip letterario senza fine (vedi anche il recente film Anonymous per quanto riguarda il bardo di Stratford). È quindi importantissimo operare una smentita, da parte degli studiosi o da chi è preposto a tutelare l’integrità letteraria di autori di spessore, per cui sono ben felice di poterlo fare rispondendo a questa vostra domanda.
A quanto pare questa tale Michele Carter con un libro di ben cinquecento pagine (il titolo è Charlotte Brontë’s Thunder, in cui costei gioca con il significato greco di ‘tuono’ del cognome) ha elaborato una apparentemente credibile e inappuntabile teoria, tesa soprattutto a sminuire l’importanza letteraria di Emily, ma anche di Anne, attribuendo tutto il merito dei sette romanzi Bronë alla sola Charlotte. Personalmente non ho letto il libro perché mi rifiuto di leggere o acquistare qualunque speculazione al riguardo né lo farò mai, e spero davvero che nessuna casa editrice italiana intenda far tradurre nella nostra lingua per scopi prettamente commerciali l’insieme di supposizioni erronee portate avanti da questa americana. Ecco perché ho esigenza di confutare, anche a nome di alcuni amici della Brontë Society da me consultati, quanto proditoriamente asserito da costei.
Che la mano sia triplice è presto detto, malgrado la Carter sia di diverso parere. Partendo dai tre diversi pseudonimi, è facile capire che all’epoca le donne per pubblicare dovevano necessariamente nascondersi sotto nomi diversi; nel nostro caso le sorelle scelsero addirittura nomi quali Currer, Ellis e Acton che erano sia maschili che femminili. Anche all’epoca, a metà Ottocento, fu contestata la paternità dei tre romanzi tanto che Charlotte e Anne si presentarono di persona e a sorpresa a Londra dall’editore George Smith (Emily era troppo schiva per accompagnarle) col preciso intento di dimostrare di non essere uno solo ma tre autori. Ma la differenza fondamentale che ne fa una triade è da individuare nello stile delle loro opere. Io che traduco da anni i testi di Charlotte e che al momento sto operando sui componimenti scritti a Bruxelles su uno stesso tema da ambedue le sorelle (si tratta del mio nuovo lavoro, di futura pubblicazione) posso rendermi conto da vicino e saggiare con mano la differenza stilistica tra lei e Emily. Forse il punto è che la signora Carter ha dimenticato di confrontare proprio la qualità dei due stili. Quello di Charlotte, ricco di aggettivi, esuberante e ricercato, quasi sempre cadenzato e descrittivo, è molto diverso dal modo di esprimersi di Emily, rapido, stringato e soprattutto essenziale. Anne poi, anche lei autrice di due romanzi che all’epoca della loro pubblicazione sconvolsero per molti versi l’opinione pubblica, descrive e parla solo di ciò di cui è a conoscenza e che ha potuto sperimentare con mano ed è quindi sempre realistica. Assolutamente non si può parlare quindi di un solo autore ma di tre menti simili per formazione ed educazione ma sostanzialmente diverse.

Sempre Michele Carter ritiene che la scrittura di Charlotte sia caratterizzata da anagrammi molto inquietanti, pare che la Brontë fin da piccola fosse molto brava nell'utilizzarli, tu hai eseguito un pregevole lavoro di traduzione di due suoi racconti, credi che la Carter possa avere ragione? Esiste un codice segreto, si può parlare di crittografia nei suoi scritti?

Che Charlotte sapesse fare anagrammi e si dilettasse ad utilizzarli per divertimento, come lo facevano del resto tutti i membri di questa super-dotata famiglia, è più che normale. Non ci dimentichiamo che Charlotte già da giovanissima riusciva a scrivere ad occhi chiusi e Branwell, il fratello, era ambidestro. Credo che la Carter, pur informatissima sulla Massoneria e le sue regole, abbia deliberatamente forzato la mano facendo apparire Charlotte quasi come una strega o una maga imbevuta di misteri e criptografia, ha voluto leggere cioè, con gli innumerevoli esempi che fa nel suo libro, anche quel che non c’è sfidando, come dicevo poc’anzi, e attirando intenzionalmente nella trappola del ‘gossip’ il solito lettore credulone e poco informato.

Charlotte, a venticinque anni, si recò con Emily a Bruxelles per frequentare una scuola di perfezionamento, dove migliorò la conoscenza del francese e del tedesco e dove si innamorò del professor Heger. Charlotte, tornata in Inghilterra, scrisse ad Héger alcune lettere, eccone un breve frammento (durante la presentazione di domenica 21 letto dall'attrice Maria Cristina Orrico):

… Vogliate perdonarmi dunque, signore, se decido di scrivervi ancora. Come posso sopportare la vita se non cerco di alleviarne le sofferenze?
So che vi spazientirete leggendo questa lettera. Direte ancora che sono un’esaltata, che ho pensieri cupi, eccetera. E sia pure, signore, non cerco di giustificarmi, accetto ogni rimprovero, io so soltanto che non posso, che non voglio rassegnarmi a perdere interamente l’amicizia del mio maestro, preferisco subire i più terribili dolori fisici piuttosto che avere il cuore lacerato da cocenti rimpianti. Se il mio maestro mi priva interamente della sua amicizia perderò ogni speranza, se me ne dà un poco, molto poco, sarò contenta, felice, avrò un motivo per vivere, per lavorare.

… Dirò francamente che nell’attesa ho cercato di dimenticarvi, poichè il ricordo di qualcuno che si crede di non dover più rivedere e che tuttavia si stima molto tormenta troppo lo spirito, e quando si è stati vittime di tale inquietudine per uno o due anni si è pronti a tutto per ritrovare il riposo. Ho fatto di tutto, ho cercato di occuparmi, mi sono rigorosamente proibita il piacere di parlare di voi anche a Emilie, ma non ho potuto vincere i miei rimpianti né la mia impazienza, è molto umiliante non saper dominare i propri pensieri, essere schiave di un rimpianto, di un ricordo, schiave di un’idea fissa e dominante che tiranneggia lo spirito. Perché non posso avere per voi soltanto l’amicizia che voi avete per me né più né meno? Allora sarei tranquilla, libera potrei restare in silenzio sei anni senza sforzo.
Charlotte Brontë

Chiediamo un tuo commento a questa lettera, in base anche alla tua conoscenza della Brontë e delle sue eroine che sembrano antesignane nel desiderio di riscatto di genere e d'indipendenza, orgoglio femminile e onestà intellettuale.

In realtà questi sono due frammenti tratti dalle ultime due delle quattro commoventi lettere scritte al professor Heger da Charlotte Brontë negli anni 1844-45 una volta tornata nella solitudine di Haworth. Quest’anno, fra l’altro, si celebra il centenario della loro donazione al British Museum da parte di Paul e Louise Heger, figli del professore, che dopo averle preservate e custodite nel tempo, ritennero di doverle cedere alla nazione inglese in quanto documento letterario. A tutt’oggi le lettere si trovano presso la British Library di Londra e sono bellissime, delle vere e proprie lettere d’amore dalle quali traspira il grande trasporto che legò la piccola alunna anglosassone a quel professore di letteratura burbero e impenetrabile che riuscì a incalanarne la prosa sino ad allora troppo fantasiosa. Dopo la lezione di vita impartita da Heger a Bruxelles, piegata dalle circostanze che la obbligavano a riscattare il suo amor proprio con l’allontanamento da lui, Charlotte non fu mai più la stessa in quanto vittima di un amore unilaterale e respinto, impossibile anche razionalmente in quanto l’uomo era sposato con figli. Dalle ceneri di quella passione Charlotte elaborò però da quel momento con la sua penna il ritratto di eroine forti e oneste che, come aveva fatto lei, non potevano piegarsi a compromessi di alcun genere. Frances e Jane, giovani donne povere e combattive non sono altro che l’alter-ego della Charlotte innamorata che lotta sino allo stremo per affermare la propria personalità forte e volitiva. Ce ne saranno poi altre di protagoniste come Caroline, Shirley e Lucy, ma tutte porteranno in sé la forza di andare avanti senza alcun aiuto nell’ispido sentiero della vita, così come fece la loro coraggiosa autrice.

Secondo l'opinione dei maggiori critici, fin dall’infanzia, Charlotte intese la scrittura come un mezzo per lenire la sofferenza dei lutti familiari, uno svago ai rigidi dettami inculcati dal padre e dall’istituto di Cowan Bridge, ma Medail Cesare il 9 giugno 1999 sul Corriere della Sera riportava questa notizia:
Charlotte Bronte serial killer? Giallo sulla morte delle sorelle La selvaggia brughiera dello Yorkshire, dove vissero le sorelle Bronte, fu teatro di una delle piu' sordide tragedie della storia delle lettere? Charlotte Bronte, avrebbe ucciso le due sorelle scrittrici, Anne e Emily oltre a Branwell, il fratello alcolizzato. Lo sostiene il criminologo inglese James Tully nel saggio "I delitti di Charlotte Bronte", sulla base del manoscritto di una domestica secondo la quale le sorelle litigavano di continuo nella canonica dove vivevano. Charlotte era invidiosa del successo di Emily e del fatto che anche Anne si fosse fatta apprezzare con dei romanzi. La circostanza poi che Emily, Anne e Branwell siano morti tutti nel giro di pochi mesi, dal settembre 1848 al maggio ' 49, è per lo meno inquietante; tanto più che la presunta serial killer avrebbe poi ereditato beni e diritti delle sorelle. Complice di Charlotte sarebbe stato suo marito, il coadiutore del padre reverendo Nichols, intenditore di veleni come l'arsenico, il laudano e l'antimonio. Singolare la reazione della "Bronte society", formata dai cultori delle tre sorelle, il cui portavoce ha detto che quelle morti "somigliano agli avvelenamenti a fuoco lento". Sei una socia storica della Bronte Society, come commenti questa notizia: potrebbe essere vera?

 Quando sento menzionare James Tully vado ancora su tutte le furie anche se ormai sono trascorsi quattordici anni dall’infamia da lui sostenuta. All’epoca lessi il libro (in prestito) e nauseata lo restituii quasi subito non riuscendo a ‘digerire’ per mesi tutte le calunnie sostenute da questo presunto criminologo. La Brontë Society pur non essendo d’accordo con le teorie di Tully, lo ospitò per ricerche ed anche poi all’uscita del libro per le varie presentazioni anche se nel negozio della canonica di Haworth il libro in questione non è poi mai apparso sugli scaffali per la vendita. A quanto pare il vero scopo del tizio era quello di avere qualcosa di cui vantarsi e vanagloriarsi, e cosa c’era di meglio che inventare un giallo in cui ci fosse  un’anima ‘nera’ coadiuvata da un intenditore di veleni? Intervistato dopo qualche tempo dall’amico Richard Wilcocks, ideatore e organizzatore del Brontë Parsonage Blog, il Tully dichiarò di essere molto divertito dall’effetto che la sua teoria produceva sugli appassionati delle Brontë e, essendo ormai ‘seccato’ da Charlotte, di voler passare ad un personaggio storico (indubbiamente per infamarlo!). All’epoca, parliamo del 1999, la nostra sezione italiana della Brontë Society si oppose fermamente alle notizie balorde provenienti dai tabloids di oltre Manica e la nostra rappresentante italiana, prof.ssa Franca Gollini, obiettò con forza all’articolo tendenzioso e superficiale pubblicato dal settimanale Gente pretendendo a ragione una smentita sul numero successivo (cosa che puntualmente avvenne e di cui conservo copia fra le mie carte). Anche l’infelice frase citata e attribuita ad un portavoce della Brontë Society è da guardare con circospezione perché proprio in quegli anni ci fu qualcuno all’interno di questa più che centenaria società letteraria che creò ad essa pericolosi problemi di immagine. Senza dubbio a costui sono da attribuire tali parole.
Una teoria come quella di James Tully non è ammissibile in quanto tutti i Brontë si portavano dentro i germi della tisi e quindi una salute precaria che prima o poi, con il freddo clima del luogo in cui vivevano, li avrebbe inesorabilmente portati alla morte; purtroppo il fratello e le due sorelle morirono a breve distanza temporale l’uno dalle altre proprio per tale fatalità. Inoltre le sorelle di Charlotte non avevano beni di cui lei avrebbe potuto impadronirsi e i diritti dei loro romanzi (Cime Tempestose – Agnes Grey – L’Inquilina di Wildfell Hall) addirittura si rivelarono nulli, non essendoci stato per essi alcun successo di mercato. Da parte del Tully aver coinvolto Arthur Bell Nicholls nella trama come colui che ‘distribuiva’ e si intendeva di veleni risulta ancora più ridicolo e infondato visto che la presenza del tranquillo curato irlandese nella vicinanze della canonica o durante la messa domenicale era stata per anni completamente ignorata dalle figlie del reverendo Brontë: da ragazze educate secondo i rigidi canoni vittoriani, le tre sorelle non avevano alcuna possibilità di scambi verbali con quel curato che frequentava la casa solo per preparare sermoni con il loro padre o per sorseggiare il tè settimanale insieme agli altri prelati della zona(scena poi immortalata magistralmente nel primo capitolo di Shirley). Piuttosto l’aver posto quello che poi divenne il marito di Charlotte al centro di questo presunto complotto ha tracciato nel tempo un percorso pericoloso che ha portato negli ultimi anni, come dicevo prima, a vedute e pareri distorti riguardanti tutti i membri della famiglia Brontë. Infatti stranamente, dal 2000 in poi, ogni sedicente pseudo-biografo di Charlotte si è arrogato il diritto di dire la sua sulla personalità di Nicholls e sul sentimento sincero, interessato, discutibile o meno da lui nutrito per lei prima e dopo il loro troppo breve matrimonio.
Da studiosa brontëana e appassionata di anglistica continuerò sempre a rigettare decisamente ciò che il Tully anni fa ha cercato di diffondere con furbizia e frode.
Maddalena De Leo


Per vedere le fotografie dell’incontro di domenica 21 presso lo Spazio CREA di Anita Fersula clicca qui e qui
Per leggere le recensioni della scrittrice e poetessa Eufemia Griffo clicca qui
Per info sulle due opere presentate, edite per la prima volta in Italia da Albus Edizioni, clicca qui e qui

Nessun commento:

Posta un commento