Quest’inverno è stata
presentata ad Agropoli la prima edizione della fiera per piccoli editori “L’Incantesimo del Libro",
e tra i tanti volumi in vendita ho scorto tra gli espositori, due libri di
Charlotte Brontë inediti: “Hanry Hastings” ed “Il segreto”
tradotti per la prima volta in Italia a cura della Albus Edizioni.
Dopo averli ammirati e rigirati più volte tra le mani
(il miracolo della carta e della sua attrazione sulla sua sottoscritta), ho
"fiutato" l'affare e li ho comprati immediatamente. A parte i noti Jane
Eyre e Villette, opere mature della Brontë, in
Italia mancavano le cosiddette opere Juvenilia di una Charlotte
sconosciuta al grande pubblico.
Qui è doverosa una parentesi sull'autrice, sulla sua
figura e sulle sue opere. È dal libro “La vita
di Charlotte Brontë”, opera di Elizabeth Gaskell, scrittrice ed amica
di Charlotte, che raccolse un’enorme quantità di notizie, dati e testimonianze
sulla famiglia, che è possibile ricostruire la sua biografia.
Charlotte
Brontë nacque il 21 aprile 1816 a Thornton, nello Yorkshire, ma visse quasi
sempre a Haworth. Terza dei sei figli del reverendo irlandese Patrick Brontë,
condivise con le due sorelle Emily ed Anne e il fratello Branwell un’infanzia
spensierata e ricca di “sperimentazioni letterarie”. Dopo una breve esperienza
come istitutrice e dopo un soggiorno di due anni a Bruxelles, nel 1846 pubblicò
con le sorelle un libretto congiunto di poesie, ma la fama giunse nel 1847 con Jane Eyre, romanzo che ebbe e ha ancora
oggi un successo incredibile (da cui sono state tratti anche diversi film).
Charlotte scrisse altri famosi romanzi (Shirley,
Villette) e nel 1854 sposò il reverendo Arthur Bell Nicholls, curato del
padre. Morì però meno di un anno dopo, il 31 marzo 1855, nei primi mesi di
gravidanza. Il suo romanzo The Professor
fu pubblicato postumo.
Charlotte Brontë era poco più di
una bambina quando insieme al fratello Branwell creò un regno immaginario di
nome Angria, situato nell'Africa occidentale e governato dal dispotico Duca di
Zamorna, personaggio enigmatico e misterioso, che nel corso dei racconti
diventerà il protagonista preferito della stessa Charlotte.
Durante l'adolescenza Charlotte e Branwell, scrissero
diversi racconti dedicati ai luoghi e ai personaggi partoriti dalla loro
fantasia, con trame intricate e infine avventurose, capaci di attrarre il
lettore per i temi affrontati (avventura, ideali, valori, mistero) e
soprattutto perché sullo sfondo di ogni storia vengono narrate vicende amorose
assai amate dal pubblico dell'epoca e non solo. Ora è da sottolineare che
questi racconti che non erano destinati alla pubblicazione, andarono in parte
persi e quelli giunti fino a noi sono stati salvati da Arthur Bell Nicholls, marito
di Charlotte, che dopo la morte della moglie, portò in Irlanda i libricini
inediti con i racconti del ciclo di Angria. Di questo ciclo ricordiamo “Henry Hastings”, “Il segreto” e “All’Hotel
Stancliffe”.
Dobbiamo alla bravura e alla competenza della professoressa
Maddalena De Leo (con la quale ho avuto il piacere di avere una cordialissima
conversazione telefonica lo scorso Dicembre), la traduzione italiana degli
Juvenilia di Charlotte Bronte.
“Henry Hastings”
Malgrado il titolo, non è Henry Hastings il
protagonista dell’omonimo romanzo, ma sua sorella Elisabeth, un personaggio
femminile tipico dell’epoca vittoriana nella quale si ambienta il romanzo.
Tuttavia Elisabeth possiede qualcosa di più ed è ben lontana dalle fanciulle
svenevoli e fragili che caratterizzarono i romanzi di quel periodo storico: è
una donna forte, determinata,
indipendente, non per sua scelta ma per contingenze esterne ed è soprattutto
capace di badare a se stessa da sempre e non si piega davanti a niente, neanche
davanti al sogno di un amore agognato eppure sfuggente ed irreale, perché non
vuole perdere la cosa più importante: se stessa.
“Siete la piccola e industriosa direttrice
della vostra vita”, le sarà detto nel libro, oppure “Era abituata a
cavarsela da sola e non c’era nulla al mondo che potesse intimorirla”.
La storia
narra del giovane Henry Hastings, un giovane pieno di talento e carisma,
nonché valoroso capitano del
diciannovesimo reggimento dell'esercito di Angria. Da giovane Henry era stato
un ragazzo educato e benvoluto, soprattutto dalla sorella Elisabeth, ma negli
anni si abbandona agli eccessi e alla depravazione, e quando un suo superiore,
stanco della sua condotta, lo affronta apertamente, Henry, ferito
nell'orgoglio, in un accesso d'ira, gli spara. Troppo vigliacco per affrontare
le proprie responsabilità e con un'accusa di omicidio che lo porterebbe alla
fucilazione, Henry scappa e cerca rifugio presso l'amata sorella. Dopo essere
stato scoperto e catturato, Henry sarà infine scagionato e gli sarà restituita la
libertà e così Elisabeth, potrà a sua volta tornare a vivere, di un’esistenza
dignitosa ed indipendente. Quando la storia sembra volgere al termine, accade
l’episodio chiave che terrà incollato il lettore alle pagine e che ci presenta
il terzo protagonista del romanzo– che nel corso della vicenda ha comunque
interagito sia con Henry sia con Elisabeth – e che ora assume uno dei ruoli
chiave dell’intera vicenda narrata. Parliamo di Sir William Percy, giovane aristocratico snob e sarcastico, che
nel corso della storia dà la caccia a Henry e che, inizialmente sdegnoso nei
confronti della ragazza, finirà per subirne l'insolito fascino. Dapprima
descritta come “una giovane insignificante e di aspetto umile, ma con degli occhi brillanti, una profonda
sensibilità e un ostinato orgoglio”, Elizabeth non può lasciare
indifferente Sir William che le chiederà di diventare la sua amante,
confessandole il suo amore devoto, ma non scevro – come il lettore si rende ben
conto – di fini meno nobili.
La donna, durante lo svolgimento dei fatti, comprende
di essere a sua volta innamorata di William; “Quella donnina ardente sognava
Sir William Percy… E ciononostante indugiava a ricordarne la voce, lo sguardo e
il modo di parlare con un’intensità di sentimenti tale che pochissime persone
al mondo possono anche lontanamente concepire”, tuttavia non cederà alle sue lusinghe ed il
finale inatteso, e con un epilogo sorprendente che lascia attonito il lettore
(confesso che mi attendevo tutt’altra cosa!), dà il senso della forza morale di
questa donna-eroina. “Mio padre e il signor Warner mi chiamano ostinata e
sdegnosa ma ambedue sono orgogliosi di come sia riuscita a dirigere la mia
vita, sempre mantenendomi nei limiti della rettitudine”.
Ed è qui
che emerge tutta la bravura della professoressa De Leo, con una traduzione di
altissimo livello capace di affascinare il lettore e di esaltare l’elemento
poetico che permea le pagine finali. Le parole possiedono una rara musicalità
che ben si sposa con la poesia che sembra avvolgere ogni battuta, ogni
sentimento che caratterizza Elisabeth e l’amato Percy. La donna parla col
cuore, ma le sue non sono parole di circostanza e quel che emerge è una sorta
di pathos che tiene avvinti al paragrafo e che ben si esprime con un forte
tensione lirica. Come si è già detto
la Brontë fu anche autrice di
liriche e questo è ben evidente nel linguaggio giovanile, che già in nuce, conteneva i semi della grande
scrittrice, autrice del famosissimo Jane Eyre, di Villette e di Shirley.
Personalmente, come autrice di poesie, ho trovato bellissimo l’epilogo di Henry
Hastings, pagine intrise di amore,
devozione, sentimento dell’assoluto, smorzato però dal coraggio e dalla
determinazione della sua protagonista, che fanno da contraltare alla bellezza e
al romantico dialogo che avviene tra la donna e l’uomo di cui è innamorata.
Si leggano
i seguenti passaggi: “Non potrei fare a meno di amarvi così come la Luna non
può evitare il suo scintillio”. Oppure: ” Quanto è triste morire dovendo
nascondere la pena d’amore”. Infine,
“Si ripromise di abbandonare la visione e cercare l’animato tumulto della vita,
perché ben sapeva che nel sonno di Sir William non c’era per lei alcun
pensiero”.
La Poesia viene
tuttavia smorzata dall’ironia, brillante, acuta e a tratti pungente che mette
in evidenza la capacità di Charlotte di sorridere alla vita rivelandone un lato
spiritoso e satirico e strappando al lettore, diversi sorrisi. Ironia che le
permette di descrivere i personaggi con sguardo indagatore, attento ai
particolari, ai gesti, agli atteggiamenti peculiari degli attori della storia,
mettendone in luce il carattere, i vizi e le virtù. Tratteggiando il
personaggio di Elizabeth ci si rende ben presto conto che ella è diversa dalla
tipologia femminile delle donne vittoriane, spesso affette da un male d’amore
incurabile o come già sottolineato in questa trattazione, creature svenevoli.
Così la protagonista di Henry Hastings diventa
il primo esempio di tipica eroina
bronteana, ossia una donna dotata di intelligenza, passione ed integrità morale.
Per questo motivo Elisabeth rimane intimamente donna, capace di abbandonarsi ai
suoi sogni senza però mai perdere di vista la realtà. Esattamente come accadrà
alla protagonista del romanzo più famoso di Charlotte, il già menzionato Jane
Eyre, la cui protagonista è una donna determinata e padrona del suo destino
e che deve moltissimo ad Elisabeth Hastings che negli scritti di Charlotte, la
precede, poiché in nuce, possiede tutti i tratti che diventeranno determinanti
nel tratteggiarla. Come Elisabeth, anche Jane non ha paura di lottare per ciò
in cui crede ed entrambe risultano essere realmente e totalmente umane.
“Il segreto”
Anche
nell’altro lavoro inedito di Charlotte “Il
segreto”, è una donna la protagonista della storia, benché assai diversa
da Elisabeth, poiché non ne possiede – a mio avviso – la stessa forza morale.
Marian Hume, marchesa di Douro e moglie del marchese di Douro, in seguito
Zamorna, al pari di Elisabeth, è combattuta tra senso del dovere e l’amore. Una
promessa fatta alla madre in punto di morte non le lascerà la possibilità di
abbandonarsi all’uomo di cui è innamorata (il Duca di Zamorna) fin quando il fantasma
del promesso sposo non le appare per sciogliere le sue remore. Il fantasma non
è altri che l’uomo scelto dalla famiglia di Marian per la figlia e che la
stessa giovane ha promesso di sposare innanzi al capezzale della madre in punto
di morte. Sulla scena entrano via via altri personaggi come la signorina
Foxley, sua ex istitutrice, che ricompare dopo anni nella sua vita per metterla
al corrente di un segreto che dovrebbe, nelle sue malvagie intenzioni, sconvolgerle
la vita e che è racchiuso in un anello. Marian si avventura di notte per
scoprire questo terribile segreto, sfidando personaggi di dubbia fama pur di
salvaguardare la propria famiglia. Quale sia questo mistero lo scopriamo nelle ultime pagine del libro, dove
i cattivi della storia saranno smascherati e puniti come meritano e dove i
buoni prevarranno e assumeranno un ruolo eroico nella vicenda. L'amore, anche
in questo racconto, diventa il tema dominante intrecciandosi però ad altri
elementi, come l'avventura ed il mistero.
Apparentemente
"Il segreto", a differenza
di “Henry Hastings”, potrebbe
sembrare una storia ingenua ma considerato che Charlotte lo scrisse all’età di
17 anni, ciò che emerge è che siamo comunque davanti a una prosa molto “visiva” pur nella sua
semplicità, e la narrazione appare fluida e ben costruita al punto che il
lettore viene totalmente "scaraventato" dentro le pagine, sembrando
quasi di vivere gli eventi in prima persona.
Altri elementi
del romanzo assumono rilevanza e meritano di essere sottolineati, come per
esempio l’aspetto gotico della storia, assai comune alla letteratura inglese
dell’epoca, legato per lo più alla presenza di
figure misteriose o a spettri che ritornavano per dare segni della loro
presenza. Posto tra la fine del
Settecento e l'inizio dell'Ottocento, il revival gotico è ben evidente negli scritti di Ann Radcliff - di cui il romanzo gotico classico trova la
sua più grande ed importante rappresentante -
e anche in Jane Austen con “L'Abbazia
di Northanger “ che si pone come una parodia dei romanzi sentimentali e
soprattutto gotici del periodo che va tra la fine del Settecento e l'inizio
dell'Ottocento. Ma è nel Frankenstein di Mary Shelley che nasce uno dei più
grandi capolavori della letteratura gotica inglese. Ovviamente anche “Il
segreto” si colloca in questa tradizione letteraria dell’età vittoriana.
Il secondo
elemento che mi preme evidenziare è “Il lieto fine” che, nonostante i numerosi
intrighi che caratterizzavano le opere del periodo vittoriano, era quasi
d’obbligo. Vi è da sottolineare però che
esso è agognato quasi con disperazione,
là dove tutti gli eventi volgono al termine e in maniera drammatica; nel caso del
libro in esame, il lettore viene trascinato con forza nella disperazione di
Marian e solo alla fine la luce smorzerà quel velo di tenebra che le pervade
l'anima.
Marian non
è Elisabeth e non ne possiede la stessa statura morale, ma è comunque una donna
tenace che combatte in nome della verità; infatti questo romanzo, così come
viene evidenziato nella premessa del libro, là dove si parla dell’opera e della
vita di Charlotte Bronte, contribuì all’epoca della sua pubblicazione (1849) a
rendere più universale l’esigenza di
emancipazione della donna.
L’ottocento
vittoriano ci presenta dunque personalità molto forti, autrici che hanno
gettato solidissime fondamenta nella letteratura e ritengo che queste opere
costituiscano un grande patrimonio letterario. Per concludere, benché io abbia
fornito numerosi indizi sull’esito dei due romanzi, lascio comunque ai lettori
che vorranno scoprirne la bellezza di entrambi, il gusto della lettura
addentrandosi tra le pagine delle opere giovanili di Charlotte Brontë.
Eufemia Griffo
Per contattare
la professoressa Maddalena De Leo,
traduttrice delle opere, clicca qui
Per
guardare le foto della presentazione che si è tenuta ad Agropoli presso il
negozio CREA di Anita Fersula, clicca qui
e qui
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