mercoledì 24 aprile 2013

“Henry Hastings” e “ Il segreto”: le recensioni di Eufemia Griffo




Quest’inverno è stata presentata ad Agropoli la prima edizione della fiera per piccoli editori “L’Incantesimo del Libro", e tra i tanti volumi in vendita ho scorto tra gli espositori, due libri di Charlotte Brontë inediti: “Hanry Hastings” ed “Il segreto” tradotti per la prima volta in Italia a cura della Albus Edizioni.
Dopo averli ammirati e rigirati più volte tra le mani (il miracolo della carta e della sua attrazione sulla sua sottoscritta), ho "fiutato" l'affare e li ho comprati immediatamente. A parte i noti Jane Eyre e Villette, opere mature della Brontë, in Italia mancavano le cosiddette opere Juvenilia di una Charlotte sconosciuta al grande pubblico.
Qui è doverosa una parentesi sull'autrice, sulla sua figura e sulle sue opere. È dal libro “La vita di Charlotte Brontë”, opera di Elizabeth Gaskell, scrittrice ed amica di Charlotte, che raccolse un’enorme quantità di notizie, dati e testimonianze sulla famiglia, che è possibile ricostruire la sua biografia.
Charlotte Brontë nacque il 21 aprile 1816 a Thornton, nello Yorkshire, ma visse quasi sempre a Haworth. Terza dei sei figli del reverendo irlandese Patrick Brontë, condivise con le due sorelle Emily ed Anne e il fratello Branwell un’infanzia spensierata e ricca di “sperimentazioni letterarie”. Dopo una breve esperienza come istitutrice e dopo un soggiorno di due anni a Bruxelles, nel 1846 pubblicò con le sorelle un libretto congiunto di poesie, ma la fama giunse nel 1847 con Jane Eyre, romanzo che ebbe e ha ancora oggi un successo incredibile (da cui sono state tratti anche diversi film). Charlotte scrisse altri famosi romanzi (Shirley, Villette) e nel 1854 sposò il reverendo Arthur Bell Nicholls, curato del padre. Morì però meno di un anno dopo, il 31 marzo 1855, nei primi mesi di gravidanza. Il suo romanzo The Professor fu pubblicato postumo.
Charlotte Brontë era poco più di una bambina quando insieme al fratello Branwell creò un regno immaginario di nome Angria, situato nell'Africa occidentale e governato dal dispotico Duca di Zamorna, personaggio enigmatico e misterioso, che nel corso dei racconti diventerà il protagonista preferito della stessa Charlotte.
Durante l'adolescenza Charlotte e Branwell, scrissero diversi racconti dedicati ai luoghi e ai personaggi partoriti dalla loro fantasia, con trame intricate e infine avventurose, capaci di attrarre il lettore per i temi affrontati (avventura, ideali, valori, mistero) e soprattutto perché sullo sfondo di ogni storia vengono narrate vicende amorose assai amate dal pubblico dell'epoca e non solo. Ora è da sottolineare che questi racconti che non erano destinati alla pubblicazione, andarono in parte persi e quelli giunti fino a noi sono stati salvati da Arthur Bell Nicholls, marito di Charlotte, che dopo la morte della moglie, portò in Irlanda i libricini inediti con i racconti del ciclo di Angria. Di questo ciclo ricordiamo “Henry Hastings”, “Il segreto” e “All’Hotel Stancliffe”.
Dobbiamo alla bravura e alla competenza della professoressa Maddalena De Leo (con la quale ho avuto il piacere di avere una cordialissima conversazione telefonica lo scorso Dicembre), la traduzione italiana degli Juvenilia di Charlotte Bronte.

Henry Hastings”
Malgrado il titolo, non è Henry Hastings il protagonista dell’omonimo romanzo, ma sua sorella Elisabeth, un personaggio femminile tipico dell’epoca vittoriana nella quale si ambienta il romanzo. Tuttavia Elisabeth possiede qualcosa di più ed è ben lontana dalle fanciulle svenevoli e fragili che caratterizzarono i romanzi di quel periodo storico: è una donna forte, determinata, indipendente, non per sua scelta ma per contingenze esterne ed è soprattutto capace di badare a se stessa da sempre e non si piega davanti a niente, neanche davanti al sogno di un amore agognato eppure sfuggente ed irreale, perché non vuole perdere la cosa più importante: se stessa.
 “Siete la piccola e industriosa direttrice della vostra vita”, le sarà detto nel libro, oppure “Era abituata a cavarsela da sola e non c’era nulla al mondo che potesse intimorirla”.
La storia narra del giovane Henry Hastings, un giovane pieno di talento e carisma, nonché  valoroso capitano del diciannovesimo reggimento dell'esercito di Angria. Da giovane Henry era stato un ragazzo educato e benvoluto, soprattutto dalla sorella Elisabeth, ma negli anni si abbandona agli eccessi e alla depravazione, e quando un suo superiore, stanco della sua condotta, lo affronta apertamente, Henry, ferito nell'orgoglio, in un accesso d'ira, gli spara. Troppo vigliacco per affrontare le proprie responsabilità e con un'accusa di omicidio che lo porterebbe alla fucilazione, Henry scappa e cerca rifugio presso l'amata sorella. Dopo essere stato scoperto e catturato, Henry sarà infine scagionato e gli sarà restituita la libertà e così Elisabeth, potrà a sua volta tornare a vivere, di un’esistenza dignitosa ed indipendente. Quando la storia sembra volgere al termine, accade l’episodio chiave che terrà incollato il lettore alle pagine e che ci presenta il terzo protagonista del romanzo– che nel corso della vicenda ha comunque interagito sia con Henry sia con Elisabeth – e che ora assume uno dei ruoli chiave dell’intera vicenda narrata. Parliamo di Sir William Percy, giovane aristocratico snob e sarcastico, che nel corso della storia dà la caccia a Henry e che, inizialmente sdegnoso nei confronti della ragazza, finirà per subirne l'insolito fascino. Dapprima descritta come “una giovane insignificante e di aspetto umile, ma con degli occhi brillanti, una profonda sensibilità e un ostinato orgoglio”, Elizabeth non può lasciare indifferente Sir William che le chiederà di diventare la sua amante, confessandole il suo amore devoto, ma non scevro – come il lettore si rende ben conto – di fini meno nobili.
 La donna, durante lo svolgimento dei fatti, comprende di essere a sua volta innamorata di William; “Quella donnina ardente sognava Sir William Percy… E ciononostante indugiava a ricordarne la voce, lo sguardo e il modo di parlare con un’intensità di sentimenti tale che pochissime persone al mondo possono anche lontanamente concepire”,  tuttavia non cederà alle sue lusinghe ed il finale inatteso, e con un epilogo sorprendente che lascia attonito il lettore (confesso che mi attendevo tutt’altra cosa!), dà il senso della forza morale di questa donna-eroina. “Mio padre e il signor Warner mi chiamano ostinata e sdegnosa ma ambedue sono orgogliosi di come sia riuscita a dirigere la mia vita, sempre mantenendomi nei limiti della rettitudine”.
Ed è qui che emerge tutta la bravura della professoressa De Leo, con una traduzione di altissimo livello capace di affascinare il lettore e di esaltare l’elemento poetico che permea le pagine finali. Le parole possiedono una rara musicalità che ben si sposa con la poesia che sembra avvolgere ogni battuta, ogni sentimento che caratterizza Elisabeth e l’amato Percy. La donna parla col cuore, ma le sue non sono parole di circostanza e quel che emerge è una sorta di pathos che tiene avvinti al paragrafo e che ben si esprime con un forte tensione lirica.  Come si è già detto la  Brontë fu anche autrice di liriche e questo è ben evidente nel linguaggio giovanile, che già in nuce, conteneva i semi della grande scrittrice, autrice del famosissimo Jane Eyre, di Villette e di  Shirley. Personalmente, come autrice di poesie, ho trovato bellissimo l’epilogo di Henry Hastings, pagine intrise di amore, devozione, sentimento dell’assoluto, smorzato però dal coraggio e dalla determinazione della sua protagonista, che fanno da contraltare alla bellezza e al romantico dialogo che avviene tra la donna e l’uomo di cui è innamorata.
Si leggano i seguenti passaggi: “Non potrei fare a meno di amarvi così come la Luna non può evitare il suo scintillio”. Oppure: ” Quanto è triste morire dovendo nascondere la pena d’amore”. Infine, “Si ripromise di abbandonare la visione e cercare l’animato tumulto della vita, perché ben sapeva che nel sonno di Sir William non c’era per lei alcun pensiero”.
La Poesia viene tuttavia smorzata dall’ironia, brillante, acuta e a tratti pungente che mette in evidenza la capacità di Charlotte di sorridere alla vita rivelandone un lato spiritoso e satirico e strappando al lettore, diversi sorrisi. Ironia che le permette di descrivere i personaggi con sguardo indagatore, attento ai particolari, ai gesti, agli atteggiamenti peculiari degli attori della storia, mettendone in luce il carattere, i vizi e le virtù. Tratteggiando il personaggio di Elizabeth ci si rende ben presto conto che ella è diversa dalla tipologia femminile delle donne vittoriane, spesso affette da un male d’amore incurabile o come già sottolineato in questa trattazione, creature svenevoli. Così la protagonista di Henry Hastings diventa il primo esempio di tipica  eroina bronteana, ossia una donna dotata di intelligenza, passione ed integrità morale. Per questo motivo Elisabeth rimane intimamente donna, capace di abbandonarsi ai suoi sogni senza però mai perdere di vista la realtà. Esattamente come accadrà alla protagonista del romanzo più famoso di Charlotte, il già menzionato Jane Eyre, la cui protagonista è una donna determinata e padrona del suo destino e che deve moltissimo ad Elisabeth Hastings che negli scritti di Charlotte, la precede, poiché in nuce, possiede tutti i tratti che diventeranno determinanti nel tratteggiarla. Come Elisabeth, anche Jane non ha paura di lottare per ciò in cui crede ed entrambe risultano essere realmente e totalmente umane.

Il segreto”
Anche nell’altro lavoro inedito di Charlotte “Il segreto”, è una donna la protagonista della storia, benché assai diversa da Elisabeth, poiché non ne possiede – a mio avviso – la stessa forza morale. Marian Hume, marchesa di Douro e moglie del marchese di Douro, in seguito Zamorna, al pari di Elisabeth, è combattuta tra senso del dovere e l’amore. Una promessa fatta alla madre in punto di morte non le lascerà la possibilità di abbandonarsi all’uomo di cui è innamorata (il Duca di Zamorna) fin quando il fantasma del promesso sposo non le appare per sciogliere le sue remore. Il fantasma non è altri che l’uomo scelto dalla famiglia di Marian per la figlia e che la stessa giovane ha promesso di sposare innanzi al capezzale della madre in punto di morte. Sulla scena entrano via via altri personaggi come la signorina Foxley, sua ex istitutrice, che ricompare dopo anni nella sua vita per metterla al corrente di un segreto che dovrebbe, nelle sue malvagie intenzioni, sconvolgerle la vita e che è racchiuso in un anello. Marian si avventura di notte per scoprire questo terribile segreto, sfidando personaggi di dubbia fama pur di salvaguardare la propria famiglia. Quale sia questo mistero lo  scopriamo nelle ultime pagine del libro, dove i cattivi della storia saranno smascherati e puniti come meritano e dove i buoni prevarranno e assumeranno un ruolo eroico nella vicenda. L'amore, anche in questo racconto, diventa il tema dominante intrecciandosi però ad altri elementi, come l'avventura ed il mistero. 
Apparentemente "Il segreto", a differenza di “Henry Hastings”, potrebbe sembrare una storia ingenua ma considerato che Charlotte lo scrisse all’età di 17 anni, ciò che emerge è che siamo comunque davanti  a una prosa molto “visiva” pur nella sua semplicità, e la narrazione appare fluida e ben costruita al punto che il lettore viene totalmente "scaraventato" dentro le pagine, sembrando quasi di vivere gli eventi in prima persona.
Altri elementi del romanzo assumono rilevanza e meritano di essere sottolineati, come per esempio l’aspetto gotico della storia, assai comune alla letteratura inglese dell’epoca, legato per lo più alla presenza di  figure misteriose o a spettri che ritornavano per dare segni della loro presenza. Posto tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento, il revival gotico è ben evidente negli scritti di Ann Radcliff  - di cui il romanzo gotico classico trova la sua più grande ed importante rappresentante -  e anche in Jane Austen con  “L'Abbazia di Northanger “ che si pone come una parodia dei romanzi sentimentali e soprattutto gotici del periodo che va tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento. Ma è nel Frankenstein di Mary Shelley che nasce uno dei più grandi capolavori della letteratura gotica inglese. Ovviamente anche “Il segreto” si colloca in questa tradizione letteraria dell’età vittoriana.
Il secondo elemento che mi preme evidenziare è “Il lieto fine” che, nonostante i numerosi intrighi che caratterizzavano le opere del periodo vittoriano, era quasi d’obbligo.  Vi è da sottolineare però che  esso è agognato quasi con disperazione, là dove tutti gli eventi volgono al termine e in maniera drammatica; nel caso del libro in esame, il lettore viene trascinato con forza nella disperazione di Marian e solo alla fine la luce smorzerà quel velo di tenebra che le pervade l'anima.
Marian non è Elisabeth e non ne possiede la stessa statura morale, ma è comunque una donna tenace che combatte in nome della verità; infatti questo romanzo, così come viene evidenziato nella premessa del libro, là dove si parla dell’opera e della vita di Charlotte Bronte, contribuì all’epoca della sua pubblicazione (1849) a rendere  più universale l’esigenza di emancipazione della donna.
L’ottocento vittoriano ci presenta dunque personalità molto forti, autrici che hanno gettato solidissime fondamenta nella letteratura e ritengo che queste opere costituiscano un grande patrimonio letterario. Per concludere, benché io abbia fornito numerosi indizi sull’esito dei due romanzi, lascio comunque ai lettori che vorranno scoprirne la bellezza di entrambi, il gusto della lettura addentrandosi tra le pagine delle opere giovanili di Charlotte Brontë.


Eufemia Griffo


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