Ardis
Autrice: Sandra Ludovici
(Dai
papiri di Aster, della flora di Ardis)
“L’acqua è
evaporata da ogni pertugio e le lune ci hanno sputato sull’immenso pianeta
velenoso e pieno di dolore. Abbiamo messo le radici, accettato le condizioni di
vita più estreme, siamo cresciute.
Piante
simbolo del sole, Ardis, accusate di aver provocato il degrado dei prati e dei
pascoli artificiali degli umani, abbiamo scontato i devastanti effetti dei
tentativi di estirpazione. Trapiantate senza colpa tra gli orrori del creato,
tessitore e protagonista immondo di un inferno di sangue, carne e metallo,
siamo state trasformate in olio e carta. Abbiamo nutrito gli incubi sciolti nel
delirio delle macchine senzienti e insensibili all’umanità dei creatori, dedite
soltanto a se stesse e all’onnipotenza della loro vita, parto di cimiteri
escrescenti e di un acquitrino di male che non vuol seccare. Siamo state usate come
cibo per le larve degli insetti frutto di ventri orridi, ammassi cellulari che morendo
rinascono all’infinito in un algido tormento.
Siamo
state bruciacchiate, sciolte nelle ciotole d’acqua, esposte al lucore della notte
in attesa che gli dei della guerra e dei fulmini ravvivassero il colore
rugginoso dei nostri fiori carnosi per dare corpo alle più insensate leggende.
Siamo fuggite strisciando sotto terra lontano dal puzzo della ferraglia
vibrante, dal lezzo degli uomini soggiogati dal loro presente, dal loro sentire
e dal loro vedere.
Nonostante
il terrore che ora hanno di noi, siamo consapevoli della fragilità di
un’esistenza da cui ci sentiamo imbrigliate e prigioniere. Non abbiamo voce ma
le nostre anime non sono mute e vorremmo urlare l’ostilità e il disgusto per la
nostra condizione avvilita. Oggi, la sottomissione finirà. Attraverseremo il
deserto letale in cui siamo state confinate e silenzieremo le paure da cui,
nonostante tutto, abbiamo tratto l’essenza vitale restando aggrappate alla speranza
di esserne liberate, un giorno.
Dopo, non
ci saranno più occhi a guardare.”
Il fantasy e l’orrido si mescolano in questo
racconto di Sandra Ludovici, efficacissimo
nel delineare un passaggio purtroppo sempre possibile: il naturale che diventa
a noi estraneo. L’uomo che continua a cementificare, asfaltare, estirpare,
preferendo l’artificiale, il costruito da lui, potrà un giorno giungere a
considerare inutile o addirittura dannosa ogni manifestazione della natura,
compresa l’erba.
Sandra
Ludovici fa parlare chi vive l’orrore di sentirsi reietto,
escluso, sistematicamente eliminato, ed è la condizione di ogni “straniero”. Il
suo è un linguaggio che “prende” il lettore e lo trasporta nel vortice del
dolore, facendogli notare la sofferenza che c’è dietro l’apparente superficie levigata:
“l’inferno di sangue, carne e metallo” che non può non farsi avanti, se l’uomo
cerca di dimenticare le sue origini.
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