venerdì 30 maggio 2014

I RACCONTI DI VENER dì - Monica Fiorentino



Nausicaa

Autrice: Monica Fiorentino

(tratto da _l’allodoladallepiumescalze)

Lettera 21.
“Caro Hermes,
come vorrei che questi petali di ciliegio che cadono così lievi adesso, potessero ricoprire col loro manto le brutture di questa guerra. Questo mondo di creature perennemente in lotta fra loro.”
Osservava la giovane Nausicaa, la pioggia di fiori mossi dal vento, a cadere dietro i vetri della sua finestra, stretta nella sua veste bianca e le braccia conserte, perdendo lo sguardo oltre il buio della città addormentata.
“Come sarebbe bello se questa coltre rosa potesse fungere stanotte da velo separatore, da silenzio, da pace, da ri-costruzione; portando con sé di nuovo la serenità di notti di luna, di sogni, di fuochi in cielo che non fossero di bombe, cancellando l’eco in lontananza di pianti di morte e urla disperate”
Abbassò gli occhi, legando i suoi lunghi capelli rossi, sistemandoli a modo, sollevandoli alti sulla nuca, lasciando libera la sua schiena liscia, vuota di piume scalze, triste; cullata dal sonno beato del suo fedele cagnone lì accanto.
“Come sarebbe bello se si potessero udire di nuovo i grilli e le cicale come una volta, ad annunciare la primavera, e l’aria potesse tornare a profumare ancora di viole e fiori d’arancio. Senza dover più drizzare l’orecchio, teso, al richiamo del nemico ad avvisare col suo incedere, il proprio passaggio di devastazione e massacro, nella folle, insensata corsa verso l’ultimo fucile da imbracciare, per ripartire.” 
Giunse i pugni sulle sue matite sparse alla rinfusa, sulle immagini di petali rosa e cremisi incollati ai resti di carne umana esposta allo sguardo per le strade, cadaveri ammassati, pullulanti di mosche e sciami d’api, fermo-istante di labbra riarse, sdentate, cervella schiuse a impastarsi con la polvere senza riguardo alcuno, tranci di sparute braccia violacee spalancate a croce lungo marciapiedi a far da cimitero senza nome  “Come sarebbe bello…”
Nel modo di una stilettata, di colpo, un dolore sordo le trapassò il petto facendola fremere, e lente le sue dita tremanti, presero a carezzare quel respiro sconosciuto, dolcemente, con delicatezza infinita, con cura lungo tutta la sua riga, portandoselo al seno - furioso a battere di sofferenza infinita - scaldandolo col proprio fiato, affondando dentro quei sospiri, chinandosi d’istinto a poggiarvi le labbra. Un’altra anima era salita al cielo, fra lamenti di preghiere e rose. La guerra mai sazia aveva bevuto ancora altro sangue, divorando della carne che le veniva offerta, in sincrono respiro e cuore; lei poteva sentirlo quel rantolo, aveva imparato a riconoscerlo, ad accompagnare il trapasso con cautela. Lenta  segnò con un punto fermo l’ennesimo haiku, in blu, assieme agli altri che raccoglieva in un quaderno a righe col nome di “Lettera Ventuno”, riproponendosi un giorno di pubblicarne l’intera collezione Senza sangue / la musica del silenzio/ una lacrima, lasciando l’inchiostro ad asciugare sulla carta.
“Come lo desidererei…”

Quanto tempo avrebbe potuto dormire quella notte, prima che il segnale d’allarme avesse preso a trillare ferocemente invitandoli al risveglio? E a dover chiudere lei, tenera allodola, il suo corpo di donna, in un logoro scialle per fuggire? Chiuse di lontano lui  i suoi occhi, due braci viola di dolore acceso, ripiegandosi fra le sue piume, muto. La notte non era fatta per la guerra, e il cielo per ospitare la rabbia degli uomini …


Del desiderio. Potrebbe intitolarsi anche così, il nuovo capitolo della storia raccontata con dovizia di particolari e con ampio respiro da Monica Fiorentino.
Nausicaa continua a registrare gli orrori della guerra, sa che deve scriverne perché è l’unica ragione di vita in un mondo votato all’odio e quindi alla morte. La scrittura artistica può e deve essere baluardo contro il disfacimento, lei lo sa.
Monica Fiorentino investe tutta la sua (grande, immensa) forza artistica nella contrapposizione odio/amore, pace/guerra, facendo notare al lettore le sostanziali differenze.
L’istintivo chinarsi su labbra ormai inerti  è un fermo-immagine” meravigliosamente potente”, nel descrivere la differenza tra vita e morte, tra l’esserci e l’assenza dolorosa che è l’unico effetto duraturo  dell’odio.

Della stessa autrice: Adrian

Per contattare l’autrice: angelo.dicarta@libero.it

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Per le tue poesie c’è Lunedì Poesia


"incostieraamalfitana.it" - 8a Edizione



…la letteratura è umanità, per il suo tramite 
tocchiamo la realtà. 
(Aharon Appelfeld) 

Parte l'ottava edizione de "incostieraamalfitana.it", Festa del Libro in Mediterraneo: presentazioni, concorsi nazionali, performance artistiche, premi letterari, concerti, mostre, degustazioni e tanto altro ancora.
Fino al 13 luglio, tutta la costiera amalfitana (ma non solo) sarà coinvolta in un evento che vedrà la partecipazione di artisti provenienti da tutt'Italia.
Cliccate qui per visitare il sito ufficiale, qui trovate il programma completo e dettagliato.

Anche L'ArgoLibro sarà presente! 





Giovedì 5 Giugno, alle ore 20.00, a Minori, Giovanna Della Porta, Milena Esposito, Antonella Nigro e Giuseppe Salzano cureranno una presentazione speciale di “Lizzie Siddal”, il libro dedicato all'affascinante figura dell'artista conosciuta in Italia quasi esclusivamente per essere stata "la modella dei Preraffaelliti". Invece era un'artista a tutto tondo: poetessa, pittrice e altro ancora. Quest'opera a lei dedicata lo dimostra e sottolinea.
Cliccate qui per leggere tutte le info. 

giovedì 29 maggio 2014

Un fine settimana al Giardino Altieri a Salerno

Sabato 31 maggio e domenica 1 giugno, il Giardino Altieri di Salerno (in Via Tasso n. 5) ci accoglie con una serie di eventi particolarmente interessanti. La manifestazione è curata dall'Associazione culturale Adorea (qui il sito).
Vi segnaliamo, in particolare, l'intervento della Dottoressa in Filosofia Luciana Capo, domenica 1 giugno alle ore 11,00: "Averroè, filosofo e medico ispiratore della Scuola Medica Salernitana".
Ecco la locandina (cliccate sull'immagine per ingrandirla).


lunedì 26 maggio 2014

Lunedì poesia - Elisabetta Mattioli




Non dimenticare di spogliarti…

Autrice: Elisabetta Mattioli

Spogliati
delle emozioni odierne
dei racconti passati
delle persone in realtà figuranti
di un amore (finto incanto)
di volti senza nome
di nomi con la faccia
di un fantasma ormai inesistente
spogliati completamente
di quello che è stato
mantenendo lo sguardo
lungo il nuovo sentiero
ma lasciando le ciglia
dietro di te…

Il gesto dello spogliarsi, del “lasciarsi indietro qualcosa”, viene analizzato da Elisabetta Mattioli in questa poesia che ha le cadenze di un denso elenco, ma non solo. C’è un crescendo dato da inviti forti, decisi, energici; circostanziati. Ogni verso possiede una propria autonomia ma al tempo stesso è perfettamente integrato nell’insieme del componimento.
Elisabetta Mattioli si conferma artista capace di “sorvolare” e penetrare al tempo stesso, sguardo acuto e al tempo stesso capace di spaziare, di allargare il nostro orizzonte.
Meravigliosa, poi, l’immagine delle ciglia da lasciare alle proprie spalle, a ricordarci che anche le decisioni più nette non sono – né potrebbero – essere definitive: qualcosa rimane, fosse pure solo qualcosa di inerte.

Della stessa autrice: Anche io

Per contattare l’autrice:  elyamatty@gmail.com

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sabato 24 maggio 2014

Concorsi & Concorsi

Partecipa anche tu ai concorsi letterari nazionali de "Gli Occhi di Argo" e "L'ArgoLibro"! 
Clicca sui nomi per leggere i bandi completi.



per opere edite di poesia, narrativa e saggistica



per poesie brevi inedite

venerdì 23 maggio 2014

"Identità e ricerca delle origini" ad Agropoli

Vi segnaliamo un importante incontro di studio ad Agropoli dedicato all'argomento dell'adozione.
Importante: l'incontro non si terrà presso la Sala "Giovanni Paolo II" ma presso l'Aula Consiliare del Comune di Agropoli.
Appuntamento a sabato 24 maggio dalle ore 9 e 30


I RACCONTI DI VENER dì - Monica Fiorentino



Adrian

Autrice: Monica Fiorentino

(tratto da _ilpasserodagliocchid’ambra)

Lettera 21. Era là, gelido, bellissimo, disteso sul basamento, supino, inerte, sorriso radioso fermo sulle labbra, la fronte fiera nel sonno addormentato, il sonno degli eterni, il volto di gesso, istantanea di un attimo fermato dal tempo a divenire infinito, le mani lungo i fianchi, non giunte come il caso avrebbe voluto, o meglio il protocollo imponesse, ma libere, lungo il corpo, il palmo rivolto verso il basso. La crivella di munizioni che gli era stata scaricata in pieno petto, si diceva gli avesse lasciato più di un proiettile ancora incastonato fra le trame del cuore, steso, immobile, il giovane vestito ancora della sua alta uniforme, compìto, superbo, composto nella postura dritta dell’attenti, non sembrava affatto un cadavere agli occhi di lei, ma soltanto lui, il suo amato, il suo compagno, visto da una diversa angolatura, ritratto orizzontale, pronto per scattare ai comandi, come sempre, come sempre era stato, all’erta ad ogni ordine, segugio scaltro, lupo stratega, furbo, abile, passero bellissimo dagli occhi d’ambra e il canto blu come il cielo. Come lei l’aveva conosciuto, anni addietro, un giorno per caso attraversando la strada, fermando lo sguardo fra i tavolini di un bar all’aperto. Il suo dolce sposo di qualche ora appena. Odorava la stanza ferale di sangue rappreso, il suo sangue, il sangue di quel cuore, il suo cuore, il cuore che l’aveva scaldata, amata, conosciuta, in cui si era ri-conosciuta, che l’aveva resa donna, le aveva insegnato la gioia, l’amore. Le mani ancora sporche, erano state ripulite in fretta dagli altri commilitoni con polvere di scagliola, per renderle presentabili, ma non in modo perfetto, doveva essersi portato d’istinto le mani al petto e aver stretto forte più volte, premendo, nel sentire il piombo trapassargli il petto e l’anima, all’atto di essere colpito; le sue dita, le stesse che l’avevano carezzata, amata, mille e mille volte, troppo, troppe poche ore. Nausicaa lo guardò in volto, serrando subito d’istinto le palpebre, come per cancellare l’immagine di una realtà troppo grande per lei, presa a prestito da un libro di macabra fantasia, e chinando lenta il capo, strinse i pugni in grembo, inginocchiata al suo cospetto; inebetita, incredula, risollevò a fatica la testa nuovamente per ripercorrere con lo sguardo quelle labbra esangui, carne, lunascarlatta di festa e di gioia, spente, e muta una lacrima le scese lungo le gote, rigandole i pensieri. “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior” ripeteva sempre lui lo stesso ritornello ogni giorno, fin quasi a sfinirla, a farle levare gli occhi in alto, la voce che udiva già provenire dalla scale ad annunciarle il suo ritorno a casa, la sua filosofia; l’amava lui quel Fabrizio De Andrè, Faber con più affetto, sempre in direzione ostinata e contraria, l’amava in modo smisurato, e  lei a furia di sentirlo ne aveva imparato a memoria i testi. Infondo piaceva molto anche a lei quel poeta della musica, e ascoltando le sue storie, minute filastrocche, scriveva gli haiku più belli appuntandoli in un vecchio quaderno a righe “Li pubblicherai tutti! Diverrai una grande scrittrice di haiku, la più grande!” sorrideva lui, quando ancora non erano sposi, e vivevano già insieme, abbracciandola stretta di notte nel loro letto di nuvole e sogni, era un gran sognatore, forse più di lei, che intesseva fra i propri versi trame d’angeli dalle lunghe ali, silenzi di seta e gli occhi viola puliti a mirare l’orizzonte; e puntualmente curiosa gli chiedeva d’indicarle lo haiku più bello Niente di me / Una piuma blu, lune storte/ Fogli sparsi, segnava ogni volta lui “Perché sei tu!”.
Portandosi in piedi, Nausicaa, facendosi forza sulle ginocchia piegate in preghiera in prima fila, in quella stanza adorna di bandiere e fiori, gli si avvicinò e posò le sue dita sul dorso di quella mano, dov’era ancora infilata la vera, lucida d’oro e sangue, e con la mente lo strinse a sé il suo amore, quasi a volergli ri-dare col proprio fiato la vita, angelo, fantasma, di colpo sposa e vedova, martire di guerra, una parola senz’anima, senza sangue, guerra: quella violenza gratuita che nelle loro strade stava facendo incetta di carne, carne d’Essere Umano, fusello fragrante, divorandone ad libitum il meglio, spezzandone midollo e ossa. Le bombe avevano brillato ancora quella mattina sventrando piazze e scuole, i caseggiati antistanti erano stati completamente rasi al suolo e le fiamme alte avevano divorato gli alberi agli argini, investendo il cielo di resti macellati, quelli degli sventurati malcapitati troppo vicini allo scoppio; uno degli ennesimi agguati, lo si era definito “in gergo” quell’agire di vigliaccheria, supplizio e strazio erano le parole più semplici: ma vere.
Nell’aprire gli occhi Nausicaa posò al suo fianco una rosa: blu. Lui amava le rose, tantissimo, in special modo quelle bianche e quelle blu, bianca come lei, diceva sempre, e blu ribatteva di rimando lei “Come Te!”.
“Bluebelle”, “La rosa Bluebelle” avrebbe chiamato quella, posta accanto al suo sonno, perché bella quanto lui, il suo amore, quella rosa, lui. L’ultimo anelito di vita in terra, di un giovane uomo macellato all’alba al suo supplizio, un flagello troppo cruento, violento, feroce, per restare relegato ad un pezzo di paradiso soltanto e non essere urlato al mondo intero, come ingiusto sacrificio carnale: goccia d’inchiostro sopra boccioli candidi d’anima di rugiada bagnati.

Quando l’odio sovrasta ogni altro sentimento, quando ogni pulsione fluisce in quella categorica della distruzione, la morte domina incontrastata.
In “Adrian”,  Monica Fiorentino ne descrive l’agghiacciante immobilità, mettendo a confronto con sapienza “ciò che è stato” e “ciò che è” il protagonista. Ora un corpo inerte, silenzioso, immobile, lontano. Ieri, sposo per poche ore, animo sensibile ai suoni e ai colori del mondo.
La violenza gratuita ha il potere di fare tutto questo, se glielo permettiamo. Ma può essere fermata, se diventiamo consapevoli di cosa può fare: rubare la vita di chi è vittima diretta, ma anche quella di chi è accanto e non può non chiedersi il perché di ciò che accade.
Monica Fiorentino chiude questo racconto con l’immagine di una rosa blu: bella e rara, come la vita e la delicatezza in uno scenario di guerra.

Della stessa autrice: Tancredi

Per contattare l’autrice: angelo.dicarta@libero.it

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Per le tue poesie c’è Lunedì Poesia

giovedì 22 maggio 2014

"Caro Angioletto" di Vito Rizzo e Milly Chiarelli: presentazione

Presentazione
Sabato 24 maggio ore 18 e 30
Sala Polifunzionale Giovanni Paolo II
Piazza della Repubblica (zona centro)
Agropoli, Salerno



Caro Angioletto
Le preghiere con le parole dei bambini

Testi di Vito Rizzo
Disegni di Milly Chiarelli

Edizioni L'ArgoLibro

I bambini (e i genitori)
sono invitati a partecipare.

per tutte le info sulla presentazione

per tutte le info sull'opera

Il libretto è in vendita presso la
Libreria L'ArgoLibro
Viale Lazio 16 
(adiacente Via Salvo D'acquisto)
Agropoli (SA)

L'Argolibro:
largo ai (buoni) libri!

mercoledì 21 maggio 2014

Fabio Giocondo ad Agropoli



Domenica 1 giugno si inaugura la mostra di pittura dell'artista agropolese Fabio Giocondo. Cornice dell'evento dal titolo “Nueve blanco” è il luogo d'arte Carmine Pandolfi in via Picasso ad Agropoli (Salerno).
Più di trenta opere resteranno visibili fino al 29 giugno, data di presentazione del catalogo, che esporrà un sunto del lavoro dell’artista in  partenza per una personale in una nota galleria di Milano.

VERNISSAGE: Domenica 01 Giugno ore 20,00

Possibilità di visitare la mostra tutti i giorni a partire dalle 17 e 30. Per qualsiasi info e prenotazione visite: 3292298259 - 3274019392

LUOGO D’ARTE “CARMINE PANDOLFI”, Via Picasso, 4 (nei pressi dell'Ufficio postale Succursale di San Marco)- Agropoli (SA)

INFO:
3292298259-3274019329
fabgiocondo@libero.it

venerdì 16 maggio 2014

KERAMOS - LA TUA POESIA SU CERAMICA ARTISTICA - Prorogato al 31 maggio!


L’Associazione Artistica e Letteraria, "Gli Occhi di Argo", in collaborazione col Centro Artistico Guida, con il Patrocinio del Comune di Agropoli (SA), con l'intento di valorizzare i poeti emergenti, organizza la Quarta Edizione del Premio Nazionale di Poesia “KERAMOS”, il quale si articola nelle seguenti sezioni:
- Sezione A : Poesia dedicate alla Dea Madre e/o al Mito Greco.
- Sezione B : Poesia dedicate al fuoco e/o alla terra.
- Sezione C : Poesia dedicate al mare e/o alla luna.
- Sezione D : Poesia dedicate al Cilento.




L'argilla è la materia per fare la ceramica. Keramos, in greco, vuol dire "argilla" o meglio indica l'oggetto di ceramica finito. Nella mitologia Keramos era il dio protettore dei ceramisti cioè di coloro che lavoravano l'argilla. Dio notturno e mediterraneo del fuoco e della Terra. A lui è dedicato questo Concorso.

1. È possibile partecipare ad una o più sezioni con una sola poesia inedita per sezione (LUNGHEZZA MAX 8 VERSI, SONO CONSIGLIATI VERSI BREVI) da inviare via e.mail all’indirizzo: occhidiargo@hotmail.it corredata di allegato contenente i dati anagrafici, indirizzo completo, numero telefonico e la dichiarazione che l'opera presentata al Premio di Poesia “KERAMOS” è inedita e frutto del proprio intelletto.

2. Per ogni sezione alla quale si partecipa è richiesto un contributo di € 10,00 da versare sul conto Postepay:

FRANCESCO SICILIA
numero carta: 4023 6006 4045 4684
Codice fiscale: SCLFNC69E19A091G

3. Le poesie, con acclusa scansione della ricevuta dell'avvenuto versamento, devono pervenire entro e non oltre il 31 maggio 2014. La e.mail deve essere completata da tutti i dati dell'autore, incluso indirizzo e numero di telefono. L'oggetto della mail deve riportare il nome Keramos e la lettera della sezione o delle sezioni scelte.

4. I nominativi della giuria, il cui giudizio è insindacabile ed inappellabile, saranno resi noti il giorno della premiazione che si terrà ad Agropoli (Sa) in periodo estivo; seguirà cerimonia di affissione delle Ceramiche Artistiche.

5. I vincitori saranno premiati con una Targa di Ceramica Artistica sulla quale sarà trascritta a mano la propria poesia, con la pubblica lettura durante la premiazione, con un Attestato di Merito e con la pubblicazione della poesia sulle copie de I 2MILA SEGNALIBRI.

6. Le Targhe di Ceramica Artistica saranno realizzate dallo Studio d’Arte Guida e non saranno consegnate agli autori ma, in una pubblica manifestazione, saranno affisse ai muri della Città di Agropoli.

7. Ogni poeta è tenuto a ritirare personalmente o tramite proprio delegato il premio assegnatogli. I premi non ritirati rimarranno a disposizione dell'organizzazione. N.B.: tutte le Targhe di Ceramica Artistica dei vincitori saranno comunque affisse ai muri comunali.

8. Tutte le spese di partecipazione restano a carico dei partecipanti.

9. L'organizzazione si riserva la facoltà di pubblicare e divulgare, a propria discrezione, gli elaborati pervenuti senza che gli autori abbiano nulla a pretendere come diritto d'autore.
I diritti rimangono comunque di proprietà dei singoli autori.

10. La partecipazione al Premio implica la conoscenza e la piena accettazione del presente regolamento, l'inosservanza costituisce motivo di esclusione.

11. In relazione agli articoli 13 e 23 del D.lg n. 196/2003, l'organizzazione del Premio assicura che i dati personali acquisiti vengono trattati con la riservatezza prevista dalla legge e saranno utilizzati esclusivamente per l'invio di informazioni culturali e per gli adempimenti inerenti il concorso.


I RACCONTI DI VENER dì - Monica Fiorentino



Tancredi

Autrice: Monica Fiorentino

(tratto da _ilgabbianodallacodabianca)

Lettera 21.  A volte i ricordi sono come fiori d’acciaio, quando si è soli a contemplare la luna, senza lei da stringere, lei da abbracciare, lei da ascoltare, lei con cui condividere la vita, il tempo, un altro sogno in più, un altro passo ancora, lei dalla miriade di colori così simili ai propri.
Pensava lui, bicchiere vuoto fra le mani. Vuoto. Come i suoi pensieri senza più lei. Era morta Monica, la sua Monica, il ferro inclemente di un fucile nello scandire violento della sua danza, aveva bevuto di lei anima e sangue, il suo sangue, nutrendosi di ogni sua fibra, crivella insaziabile, macellandole i muscoli, battendole la testa, risucchiandole ogni ansito, di spalle come il più ignobile degli assassini; l’aveva ri-trovata lui, riversa, rosa rossa fra le dita, avvolta nel sudario delle sue stesse cervella sparse a far da corona, incensata da quell’odore acre di corpo umano che restava delle sue viscere ancora calde, e a quella vista il soldato, lo scienziato e l’uomo non aveva retto. Scienziato, prestato al servizio della guerra, aveva pagato con la carne di colei che amava il suo scotto, il prezzo della guerriglia, della fiera umana, cieca a fare razzia.
Monica. La sua donna, la sua amante, la sua confidente, compagna, amica, il suo sorriso, quelle dita che l’accarezzavano sfiorando le corde più intime dei suoi sensi, pizzicando le sue voglie, laddove sapeva poi farle divenire passione incontrollata nel modo più sublime, Monica, il seno sopra cui aveva dormito notti di luna, la madre di sua figlia, quel grembo, lei, divenuta di colpo su quel pavimento, muta bambola di plastica dalla bocca spalancata. Senza respiro.
Infilando una mano fra i capelli, Tancredi girò il capo, cacciando indietro l’ultima immagine che aveva di sua moglie, facendo tintinnare il ghiaccio rimasto contro le pareti del bicchiere, cercando oltre, nel buio del giardino qualcosa, anche solo un dettaglio che potesse permettere una pausa di requie ai suoi pensieri. Due grandi occhi luminosi dietro un cespuglio, curiosi, lo stavano osservando da chissà già quanto tempo, e nel ricambiarne il saluto lui s’accorse di aver abbozzato un sorriso, forse la loro Gala era in amore, non in “calore” l’avrebbe corretto subito lei, posandogli un dito sulle labbra, Monica non adorava certe “parole”, l’aveva imparato col tempo, e sapeva sempre correggerle al momento giusto; ed a dirla tutta a lei non erano mai piaciuti neppure in modo tanto plateale gli amici felini, il giorno in cui lui si era presentato a casa con quella micia fra le braccia per regalarla alla loro bambina, lei per tutta risposta gli aveva messo subito il broncio, sicura che la bimba l’avrebbe avuta vinta e la gatta sarebbe rimasta. Uno dei loro rari battibecchi, quelli che lei finiva puntualmente per dimenticare travolta dai suoi baci, una volta nel loro letto, stretta fra le sue braccia, fra quelle lenzuola dove entrava il cielo intero. Il loro modo di far pace. Così diverso dalla pace degli Uomini. Da quelle mitraglie a ripetizione, quelle urla agonizzanti, il crollare dei palazzi, le sirene perennemente spiegate, i pugni stretti, le bombe a brillare sul pianto di innocenti. “I bambini in terra sono angeli”, lui le aveva detto un giorno,  tenendola stretta a sé cercando di raddrizzarle il passo barcollante, sotto l’ennesima pioggia di proiettili e grida a sventrare le loro strade, mentre Monica aggrappata al suo braccio tentava di trovare nuova energia per avanzare, facendosi forza, spossata dalla corsa, proteggendo con le mani quel suo pancione enorme.

La sua Monica. Non apriva più quel quaderno lui, da quanto tempo? L’aveva dimenticato, il quaderno in cui lei appuntava i suoi haiku, con inchiostro blu e in rosso. Era così,  Monica scriveva in blu e poi gli haiku che lui sottolineava come i più belli, lei li riscriveva in rosso. Era fatta così. Erano fatti così loro, quando il tempo significava felicità. Insieme. 
Posò il bicchiere, sperando di essere riuscito a lasciarvi dentro il cuore. “Tancredi!” solo lei sapeva scandire così bene il suo nome, ed alle volte a lui   sembrava di udirla ancora, scendere in giardino a cercarlo come soleva fare quando s’attardava a leggere, sotto il patio di notte, godendo dei pochi momenti in cui il frastuono della guerra sembrava voler lasciar pace alle loro orecchie. Lo stesso autore che piaceva ad entrambi, quel Baricco di cui lei parlava spesso con la luce negli occhi, Monica nel trovarlo intento nella lettura si soffermava al suo fianco e ne carezzava le pagine, per risalire poi con la mano ad aggiustargli gli occhiali sul naso, sorridendo di riflesso alla smorfia che lui faceva d’istinto, aggrottando la fronte al suo tocco, scoppiando a ridere ogni volta; dopo la guerra avrebbe voluto costruire un luogo dove poter leggere e stare insieme, facendo ri-fiorire le piante, e sorridere di nuovo i bambini. Alessandro Baricco, la prima volta lei stessa gli aveva regalato “City”, ma lui non le aveva mai chiesto quale titolo le piacesse maggiormente.
A grandi passi attraversò la veranda per entrare di nuovo in casa, il sonno ritmico della loro bambina lo accolse come ossigeno a gonfiare i polmoni. La loro piccola, lui l’aveva messa in lei - nido d’allodola - facendo germogliare quel seme nel suo ventre. Ora era così bella a dormire serena, l’aveva messa al mondo Monica, con grida inumane, ricordava bene quel giorno, ogni minima espressione, ogni centimetro di quella mattina d’estate che aveva cucito la loro pelle in un unico intreccio di trame e sangue, per sempre. Amava quella bambina, l’amava profondamente. Il lieve refolo della sera fece frusciare quel prezioso scrigno di haiku appuntati in blu ed in rosso, sfogliandolo Musica nuda /La mia finestra sul mondo/ Un pettirosso. Si sorprese Tancredi a pensare se in fondo, fosse stato mai davvero quello, l’autore preferito di lei.

“Lente le ali di lui si chiusero, attorno alla creaturina addormentata, prendendola fra i suoi sogni, respirando dello stesso fiato del padre, là accanto a lei, mentre i suoi occhi di un viola acceso si riempivano di dolore, angelo dalle piume blu a cullarne il sonno. Era vero, talvolta i ricordi sono come fiori d’acciaio”
    

Continua la lunga descrizione di Monica Fiorentino dedicata alla contrapposizione – lucida, puntuale, precisa – tra l’orrore e la pace, tra le pennellate della morte e i colori vividi della vita. Per dire davvero “no!” al’odio con profonda coscienza, dobbiamo essere consapevoli fino in fondo di ciò attraverso l’odio perdiamo: questo l’autrice lo sa e ce lo fa notare.
Leggendo “Tancredi” e tutti gli altri racconti di Monica Fiorentino, l’importanza dei “piccoli” particolari della quotidianità balza subito agli occhi: potenza dell’arte, che – sola – può far risaltare il valore immenso di un gesto. Questa possibilità ci fa ribadire che, se l’artista fosse ascoltato, le guerre cesserebbero davvero.
Leggete e rileggete lentamente questo racconto e vi accorgerete di quale straordinario inno alla vita è racchiuso in esso! Un inno che chiede solo di essere ascoltato.

Della stessa autrice: Monica

Per contattare l’autrice: angelo.dicarta@libero.it

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mercoledì 14 maggio 2014

Soli come il sole: intervista radiofonica




Continuano gli appuntamenti con lo splendido romanzo "Soli come il sole" di Silvia Mentasti e Marco Durpetti, Edizioni L'ArgoLibro. 
Questa volta vi segnaliamo l'intervista radiofonica realizzata da Radio Missione Francescana, nel programma "Varese è..." realizzato da Chiara Ambrosioni. Una nuova occasione di riflessione insieme agli autori.

Cliccate qui per ascoltare l'intervista in streaming e qui per tutte le info sull'opera.