Ecco le risposte che il poeta Ermanno Crescenzi ha voluto dare a due
delle domande poste durante l’incontro dello scorso sabato a Terni (qui trovate le foto). Ermanno ha voluto
fornirci anche delle risposte scritte, dopo la presentazione, e giriamo le
stesse a tutti i lettori, affinché possano essere stimolo per nuove riflessioni
sulla natura del verso.
«Se la poesia non nasce con la stessa
naturalezza delle foglie sugli alberi, è meglio che non nasca neppure.» (John
Keats) Voi cosa ne pensate? Quanto secondo voi deve essere naturale la poesia?
Mi trova completamente d’accordo.
La naturalezza della poesia deve essere assoluta. Perché credo che essa sia
l’espressione della nostra essenza più intima, che sgorga dal nostro profondo
sentire al cui impulso si legano le parole che danno voce alle emozioni di quel
momento. In questo risiede la naturalezza e autenticità del nostro sentire, che
è spesso anche sofferenza. Questo non significa che poi il pensiero espresso
non debba essere rivisitato dall’autore per renderlo più armonico, musicale e/o
più incisivo, magari dentro regole metriche, senza ovviamente stravolgerne la
sua primordiale naturalezza che, secondo me, rappresenta la maggiore forza
della poesia.
Volendo provocare una discussione rivolta
anche al pubblico, vi riporto una famosa citazione di Gustave Flaubert, che
potrebbe confutare quella di Keats: «La poesia è una scienza esatta, come la
geometria.» Vi chiedo: avete mai pensato alla poesia come una scienza esatta?
Personalmente mai. Se la metrica si
può considerare come la geometria entro le cui regole si muovono i versi, la
poesia se ne deve servire per innalzare il valore del suo messaggio, senza mai
dipenderne. Se la poesia fosse una scienza esatta, a lungo andare diventerebbe
talmente fredda e insensibile da inaridire l’animo umano, perché trasformerebbe
lo scrivere in un piatto esercizio di ricerca di ritmo e di assonanze, svuotato
di quello slancio di passione che possa fornire alle parole la forza d’incidere,
scuotere, riflettere. Credo anche, però, che per quanto disperso e anarchico, per
quanto avverso a canoni e grammatiche, un testo di poesia debba comunque
manifestarsi, esibirsi come presenza significante che l’aiuti a rendere più
poetica la qualità del testo.
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