Non senza
trepidazione ho atteso la stesura del nuovo lavoro dell’amico-poeta Ermanno.
Dopo le emozioni vissute in «La rosa dell’usignolo» mi sono così visto rinverdire,
ne «Il Mare dell’Anima», tutte quelle profonde sensazioni che inaspettatamente
i suoi versi mi hanno profuso. Inaspettatamente, ben inteso, solo perché non
ero a conoscenza della sua vena poetica, anche se la sua personalità e
sensibilità mi avrebbero dovuto mettere in guardia.
Pregno della
denuncia, quanto mai penetrante, della condizione di “Miseria umana” della
quale ci sollazziamo, attraverso un richiuderci costante nel nostro egoismo (vedi
“I vinti”, Reclusione”, “Buio” etc..), una cosa che mi colpisce nella nuova
opera è il rapporto incostante che l’autore intrattiene con il sentimento umano
per eccellenza: l’amore. Un amore squallido quando esce sconfitto, pur nella
passione, da una “superba vanità” o scorre lento inesorabilmente “ in direzioni
diverse”, o quando, stanco, si trascina tristemente verso la fine. Un desiderio
d’amore che, pur nelle profonde tenebre, sia capace di risvegliare membra ormai
stanche. Un amore che in “Attesa “, e “Noi”, per citare alcuni esempi, esplode
in miriadi di luci che vincono il rabbuiarsi della sera. Un amore sempre visto,
comunque, come spiraglio unico, insieme alla poesia, verso un’esistenza
donataci e quindi meritevole di essere vissuta.
Nella parte
della silloge “Affetti”, poi, sono rimasto letteralmente esterrefatto. Durante
la lettura, chiudendo gli occhi per un attimo, ho creduto di essere stato
proprio io a comporre quei versi (magari ne fossi capace!!!). Vivo, infatti,
una quasi analoga situazione.
Struggente è
la descrizione della madre che, nella sua sola presenza quotidiana, dà ancora
slancio alla nostra esistenza.
La figura
netta ed inequivocabile di una sorella che passa oltre le sofferenze e
cattiverie della vita, esaltando e onorando quello che è il più
sincero e disinteressato dei sentimenti: l’amore fraterno.
C’è poi il
padre che, benché fisicamente strappatoci prima dal rapporto apparentemente
chiuso, caratteristico della nostra epoca, poi prematuramente dall’inesorabile
malattia, ha comunque lasciato una traccia indelebile nella nostra formazione
caratteriale attraverso il solo esemplare comportamento. Quanto mai veritiero e
sincero il nostro “orgoglio di essere un figlio del popolo”!!!
Ed ora per
concludere, senza voler cadere nella retorica e nella banalità, vorrei
sinceramente ringraziarti, caro Ermanno, per avermi coinvolto, in qualche modo,
in questo tuo percorso artistico perché sei riuscito a tirarmi fuori quelle
emozioni che credevo ormai sopite.
Terni, 8 settembre 2012
Demetrio Cardinali
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