mercoledì 14 novembre 2012

Marguerite Yourcenar e il Cilento





Di Antonio Capano

L’ultimo “Settembre Culturale” organizzato quest’anno ad Agropoli dedicato alla Yourcenar, la relazioni sul tema e la prossima commemorazione del giorno della sua morte, mi inducono  ad approfondire i riferimenti al Cilento nell’opera di Marguerite Yourcenar, pseudonimo di Marguerite Cleenewerck de Crayencour. Nata a Bruxelles (8 giugno 1903) e morta a Mount Desert ( 17 dicembre 1987), prima donna eletta alla Académie Française (1980), è conosciuta per i temi esistenzialistici, soprattutto  quello della morte. Ella compie, tra l’altro, numerosi viaggi in Italia; quello del 1924 le permette la visita di Villa Adriana, che offre a lei, appassionata di storia, l’ispirazione per  i Carnets de notes de Mémoires d'Hadrien (Taccuini di note di Memorie di Adriano), cui seguono  La denier du rêve (“La moneta del sogno”) (1932-36), un romanzo ambientato nell'Italia dell'epoca e, dopo il suo trasferimento in America (1939-1953), le Mémoires d'Hadrien (“Memorie di Adriano”), il suo libro di maggior successo. A partire da questo momento la Yourcenar comincia una serie di viaggi in giro per il mondo. Sono da menzionare anche L'Œuvre au noir (“L'Opera al nero”, 1968), altro romanzo di genere storico ambientato nel tardo Rinascimento con protagonista il medico-filosofo Zénon, e, soprattutto, per quanto ci riguarda, Anna soror (1981), racconto del 1982 ambientato soprattutto nel Cilento  (Agropoli e Paestum), nei  mesi di agosto-settembre 1595, e  in una Napoli aristocratica sotto il dominio spagnolo, ispirato alla scrittrice dal verso dell'Eneide in cui Didone si rivolge alla sorella dicendole: "Anna, sorella, in cuor mi brucia l'antica fiamma" e 
 dalla sensualità che – ella dichiara per sua esperienza - che si respirava nell'aria  a Napoli durante la settimana santa
.
“Anche qui l’immagine plumbea di un mondo dilacerato e su cui incombe la morte dei componenti la famiglia del nobile e potente marchese Alvaro De la Cerna, ma con una fiamma d’amore tendenzialmente incestuoso”,  che segue il tema della trasgressività, come nell’altro racconto Alexis o il trattato della lotta vana (1928), relativo alla storia di un musicista che dichiara la propria omosessualità alla moglie, ma in definitiva solo spirituale tra la figlia Anna e il fratello Miguel. Questi dev’essersene accorto; è turbato, e quando le attenzioni della sorella si fanno più evidenti le rifiuta sdegnato. Eppure anche lui ne è attratto e, dopo la morte della madre Valentina per malattia, va incontro alla morte in uno scontro navale con i pirati turchi.  Ci sarà un matrimonio d’interesse, mentre suo padre il marchese, tormentato dai fantasmi del suo passato di padre autoritario e indifferente agli affetti ,qualche anno dopo si ritirerà nel monastero di San Martino retto dal priore Ambrogio Carafa.
Anna è sposata al ricco Egmont de Wirquin, un'unione squallida, cui le gravidanze non conferiscono gioia. Verso i sessant’anni ella lascia tutte le proprietà, ed estranea al mondo che la circonda,  si ritira in convento dove la figlia aveva preso il velo. Alla fine le sfugge un «Mi amado . . . » pensando al fratello Miguel.
I rapporti tra i due fratelli si erano consolidati fin dal soggiorno nelle tenute del Marchese della Cerna, “vasti possedimenti interrotti da acquitrini e che rendevano poco. Consigliato dai suoi intendenti, tentò di acclimatare nella tenuta di Agropoli i migliori vitigni di Alicante. Il risultato fu mediocre; Don Alvaro non si scoraggiava e ogni anno presiedeva personalmente alla vendemmia”. Dopo tre giorni di viaggio da Napoli la madre e i due figli giungono al castello di Agropoli.  “La dimora, costruita al tempo degli Angioini di Sicilia, aveva l’aspetto di una roccaforte. All’inizio del secolo vi era stato addossato un fabbricato intonacato a calce, una specie di rustico con il porticato che aggettava nel cortile interno, il tetto piatto su cui seccavano i frutti del giardino e una fila di frantoi di pietra. Vi abitava l’intendente con la moglie sempre incinta e una masnada di bambini. Il tempo, la mancanza di manutenzione, le intemperie avevano reso inabitabile il grande salone invaso dai prodotti della fattoria. Cumuli di uva già immersa nel suo succo rendevano vischioso l’impiantito di piastrelle moresche, abitato dalle mosche; fasci di cipolle pendevano dalle volte e la farina che straripava dai sacchi si insinuava dovunque insieme alla polvere; l’odore di formaggio di bufala prendeva alla gola.
Donna Valentina e i ragazzi si insediarono al primo piano. Le camere di fratello e sorella erano l’una di fronte all’altra”.
Miguel “ attraverso le finestre strette come feritoie poteva scorgere l’ombra di Anna che andava e veniva al chiarore di un  lume; lei che  scioglieva i capelli, forcina dopo forcina, poi porgeva il piede alla domestica perché le togliesse la calzatura. Si guardavano in silenzio, prima che la loro madre “di buon’ora” andata a dormire li richiamasse; lo colpiva il piede nudo della sorella inginocchiata a pregare ed ogni suo incontro.
Cure quotidiane erano per Valentina e la figlia trascorrere parte del giorno “nella malandata farmacia” a preparare rimedi ai contadini malarici, alcuni dei quali, colpiti dalla febbre, non abbandonavano più il loro giaciglio, altri, indeboliti dal male, vacillavano nelle vigne, come ubriachi. Era un periodo di torbidi e malcontenti del popolo contro gli ufficiali e gli intendenti spagnoli, di monaci  che “rinnegavano Dio o lo
maledicevano, e si diceva che complottassero con i pirati turchi che stavano all’ancora in fondo alle baie”. Valentina aveva vietato a Miguel di allontanarsi dal castello, ma il giovane “si alzava all’alba, sellava di persona il cavallo e si lanciava all’avventura molto lontano, nelle pianure. Il terreno si stendeva nero e nudo; i bufali immobili, sdraiati in masse oscure, sembravano nella lontananza blocchi di roccia precipitati dalla montagna. “Giunto presso un colonnato, sapeva vagamente di essere in una di quelle città in cui erano vissuti i saggi e i poeti… uomini che avevano vissuto senza l’angoscia dell’inferno spalancato davanti a loro”. Qui incontra una fanciulla dagli occhi gialli e dalla carnagione grigia, che ricorda nella medesima solitudine la vecchietta custode delle rovine dell’Heraion in Carlo Belli.  Anche in questo caso il silenzio, che lo stesso Ungaretti sentirà tra le rovine di Elea, è carico solo dei rumori della natura: “… a Miguel parve di sentire che il silenzio era pieno di fremiti, di fruscii, di ondeggiamenti; ogni specie di bestia velenosa strisciava nell’erba. Delle formiche correvano, ragni tessevano le loro tele fra due busti”. Ma la ragazza, figlia di un incantatore di serpenti di origine saracena, di Lucera, gli rivela che le vipere “strisciano dovunque, senza contare quelle che si hanno nel cuore… E ricordatevi che ci sono serpenti anche altrove”. Anche l’acqua, gli dice durante un loro casuale incontro presso una fonte, “serpeggia, si contorce, guizza e scintilla e il suo veleno vi gela il cuore”, e profetizza con la sua voce sibilante: “Vostra sorella vi attende qui vicino con una coppa piena di acqua pura. Berrete insieme”, facendo riferimento ai loro reciproci turbamenti d’amore.
La vita scorre nel castello. Al tramonto “scomparivano ad una ad una le strette pozzanghere luccicanti degli acquitrini; non si scorgevano le luci dei villaggi; sul nero denso delle montagne e della pianura s’incurvava l’oscurità limpida del cielo”; la domenica, “Miguel e Anna andarono ad ascoltare la messa nella cappella del castello. Il curato di Agropoli, uomo grossolano spesso un po’ avvinazzato, officiava per loro”.
Il peggioramento delle condizioni di Valentina costringe Miguel a raggiungere Salerno per chiamare un medico che, oltre a dichiarare che “il brodo di vipera è un rimedio non disprezzabile”, sottopone la donna ad un salasso che ne aggrava la salute.  “Bisognò far tacere le domestiche, che suggerivano cure prodigiose; una propose di umettare la fronte dell’ammalata col sangue di una lepre squartata viva”. Ma ella muore e si conclude il triste soggiorno della famiglia ad Agropoli; il trasporto del feretro a Napoli dura con il pesante carro quasi una settimana. Quando si fermavano per pernottare, “la sera, dei contadini  cenciosi portavano, in mancanza di fiori, grandi fasci di erbe aromatiche… ogni mattina si cospargevano di acqua profumata” o di aceto aromatizzato.

*Pubblicato su “Il Saggio, Mensile di Cultura, anno XVII n. 200, novembre 2012, pp. 22-23. Bibl. essenziale: M. Yourcenar, Come l’acqua che scorre. Tre racconti, Einaudi 2010, pp. 5-60.
Inoltre, it.wikipedia.org/wiki/Marguerite_Yourcenar; Andrea Hynynen , The erotic in Marguerite Yourcenar’s Anna soror… and Alexis: transgression and discretion , in www.inteedisciplinary.net/ci/transformations/sexualities/s2/hynynen... · File PDF; www.ircnapoli.com/forum/1767497-0-anna-soror.html. C. Belli, Passeggiate in Magna Grecia. Rive del Sud, Edizioni della Cometa, Roma 1985, pp. 38-39;  G. Ungaretti,  Elea e la primavera, in Il deserto e dopo, Mondadori, Milano 1961. Su questo autore che nelle rovine dell’antichità, dichiara “lo stupore” di sentire ancora “il respiro della sua gente”…”, cfr. A. Saccone, Ungaretti, Salerno Editrice, Roma 2012,  p. 157. Ancora, tra gli altri,  A. Capano, Il mare e la costa cilentana nella letteratura contemporanea, in Idem (a cura di),  Il Cilento e il mare, Pro Loco “Agropoli Turistica”, Agropoli 2001, pp. 57-58.

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