Di Antonio Capano
L’ultimo “Settembre Culturale” organizzato quest’anno ad Agropoli dedicato
alla Yourcenar, la relazioni sul tema e la prossima commemorazione del giorno
della sua morte, mi inducono ad
approfondire i riferimenti al Cilento nell’opera di Marguerite Yourcenar, pseudonimo
di Marguerite Cleenewerck de Crayencour.
Nata a Bruxelles (8 giugno 1903) e morta a Mount Desert ( 17 dicembre
1987), prima donna eletta alla Académie Française (1980), è conosciuta per i
temi esistenzialistici, soprattutto quello della morte. Ella compie, tra l’altro,
numerosi viaggi in Italia; quello del 1924 le permette la visita di Villa Adriana,
che offre a lei, appassionata di storia, l’ispirazione per i Carnets de notes de Mémoires d'Hadrien
(Taccuini di note di Memorie di Adriano), cui seguono La denier du rêve (“La moneta del sogno”)
(1932-36), un romanzo ambientato nell'Italia
dell'epoca e, dopo il suo trasferimento in America (1939-1953), le Mémoires
d'Hadrien (“Memorie di Adriano”), il suo libro di maggior
successo. A partire da questo momento la Yourcenar comincia una serie di viaggi
in giro per il mondo. Sono da menzionare anche L'Œuvre au noir (“L'Opera al
nero”, 1968), altro romanzo di genere storico
ambientato nel tardo Rinascimento con protagonista il
medico-filosofo Zénon, e, soprattutto, per quanto ci riguarda, Anna soror (1981), racconto del
1982 ambientato soprattutto nel Cilento
(Agropoli e Paestum), nei mesi di
agosto-settembre 1595, e in una Napoli
aristocratica sotto il dominio spagnolo, ispirato alla scrittrice dal
verso dell'Eneide in cui Didone si
rivolge alla sorella dicendole: "Anna, sorella, in cuor mi brucia l'antica
fiamma" e
dalla sensualità che – ella dichiara per sua esperienza - che si respirava nell'aria a Napoli durante la settimana santa.
“Anche qui l’immagine plumbea di un mondo dilacerato e su cui incombe la morte dei componenti la famiglia del nobile e potente marchese Alvaro De la Cerna, ma con una fiamma d’amore tendenzialmente incestuoso”, che segue il tema della trasgressività, come nell’altro racconto Alexis o il trattato della lotta vana (1928), relativo alla storia di un musicista che dichiara la propria omosessualità alla moglie, ma in definitiva solo spirituale tra la figlia Anna e il fratello Miguel. Questi dev’essersene accorto; è turbato, e quando le attenzioni della sorella si fanno più evidenti le rifiuta sdegnato. Eppure anche lui ne è attratto e, dopo la morte della madre Valentina per malattia, va incontro alla morte in uno scontro navale con i pirati turchi. Ci sarà un matrimonio d’interesse, mentre suo padre il marchese, tormentato dai fantasmi del suo passato di padre autoritario e indifferente agli affetti ,qualche anno dopo si ritirerà nel monastero di San Martino retto dal priore Ambrogio Carafa.
dalla sensualità che – ella dichiara per sua esperienza - che si respirava nell'aria a Napoli durante la settimana santa.
“Anche qui l’immagine plumbea di un mondo dilacerato e su cui incombe la morte dei componenti la famiglia del nobile e potente marchese Alvaro De la Cerna, ma con una fiamma d’amore tendenzialmente incestuoso”, che segue il tema della trasgressività, come nell’altro racconto Alexis o il trattato della lotta vana (1928), relativo alla storia di un musicista che dichiara la propria omosessualità alla moglie, ma in definitiva solo spirituale tra la figlia Anna e il fratello Miguel. Questi dev’essersene accorto; è turbato, e quando le attenzioni della sorella si fanno più evidenti le rifiuta sdegnato. Eppure anche lui ne è attratto e, dopo la morte della madre Valentina per malattia, va incontro alla morte in uno scontro navale con i pirati turchi. Ci sarà un matrimonio d’interesse, mentre suo padre il marchese, tormentato dai fantasmi del suo passato di padre autoritario e indifferente agli affetti ,qualche anno dopo si ritirerà nel monastero di San Martino retto dal priore Ambrogio Carafa.
Anna è
sposata al ricco Egmont de Wirquin, un'unione squallida, cui le gravidanze non
conferiscono gioia. Verso i sessant’anni ella lascia tutte le proprietà, ed estranea
al mondo che la circonda, si ritira in
convento dove la figlia aveva preso il velo. Alla fine le sfugge un «Mi amado .
. . » pensando al fratello Miguel.
I rapporti tra
i due fratelli si erano consolidati fin dal soggiorno nelle tenute del Marchese
della Cerna, “vasti possedimenti interrotti da acquitrini e che rendevano poco.
Consigliato dai suoi intendenti, tentò di acclimatare nella tenuta di Agropoli
i migliori vitigni di Alicante. Il risultato fu mediocre; Don Alvaro non si
scoraggiava e ogni anno presiedeva personalmente alla vendemmia”. Dopo tre
giorni di viaggio da Napoli la madre e i due figli giungono al castello di
Agropoli. “La dimora, costruita al
tempo degli Angioini di Sicilia, aveva l’aspetto di una roccaforte. All’inizio del
secolo vi era stato addossato un fabbricato intonacato a calce, una specie di
rustico con il porticato che aggettava nel cortile interno, il
tetto piatto su cui seccavano i frutti del giardino e una fila di frantoi di
pietra. Vi abitava l’intendente con la moglie sempre
incinta e una masnada di bambini. Il tempo, la mancanza di manutenzione, le
intemperie avevano reso inabitabile il grande salone invaso dai prodotti della
fattoria. Cumuli di uva già immersa nel suo succo rendevano vischioso l’impiantito
di piastrelle moresche, abitato dalle mosche; fasci
di cipolle pendevano dalle volte e la farina che straripava dai sacchi si
insinuava dovunque insieme alla polvere; l’odore di formaggio di bufala prendeva alla
gola.
Donna
Valentina e i ragazzi si insediarono al primo piano. Le camere di fratello e
sorella erano l’una di fronte all’altra”.
Miguel
“ attraverso le finestre strette come feritoie poteva scorgere l’ombra di Anna
che andava e veniva al chiarore di un lume; lei che scioglieva i capelli, forcina dopo forcina,
poi porgeva il piede alla domestica perché le togliesse la calzatura. Si
guardavano in silenzio, prima che la loro madre “di buon’ora” andata a dormire
li richiamasse; lo colpiva il piede nudo della sorella inginocchiata a pregare
ed ogni suo incontro.
Cure
quotidiane erano per Valentina e la figlia trascorrere parte del giorno “nella
malandata farmacia” a preparare rimedi ai contadini malarici, alcuni dei quali,
colpiti dalla febbre, non abbandonavano più il loro giaciglio, altri,
indeboliti dal male, vacillavano nelle vigne, come ubriachi. Era un periodo di
torbidi e malcontenti del popolo contro gli ufficiali e gli intendenti
spagnoli, di monaci che “rinnegavano Dio
o lo
maledicevano,
e si diceva che complottassero con i pirati turchi che stavano all’ancora in
fondo alle baie”. Valentina aveva vietato a Miguel di allontanarsi dal
castello, ma il giovane “si alzava all’alba, sellava di persona il cavallo e si
lanciava all’avventura molto lontano, nelle pianure. Il terreno si stendeva
nero e nudo; i bufali immobili, sdraiati in masse oscure, sembravano nella
lontananza blocchi di roccia precipitati dalla montagna. “Giunto presso un
colonnato, sapeva vagamente di essere in una di quelle città in cui erano
vissuti i saggi e i poeti… uomini che avevano vissuto senza l’angoscia
dell’inferno spalancato davanti a loro”. Qui incontra una fanciulla dagli occhi
gialli e dalla carnagione grigia, che ricorda nella medesima solitudine la
vecchietta custode delle rovine dell’Heraion
in Carlo Belli. Anche in questo caso
il silenzio, che lo stesso Ungaretti sentirà tra le rovine di Elea, è carico
solo dei rumori della natura: “… a Miguel parve di sentire che il silenzio era
pieno di fremiti, di fruscii, di ondeggiamenti; ogni specie di bestia velenosa
strisciava nell’erba. Delle formiche correvano, ragni tessevano le loro tele
fra due busti”. Ma la ragazza, figlia di un incantatore di serpenti di origine
saracena, di Lucera, gli rivela che le vipere “strisciano dovunque, senza
contare quelle che si hanno nel cuore… E ricordatevi che ci sono serpenti anche
altrove”. Anche l’acqua, gli dice durante un loro casuale incontro presso una
fonte, “serpeggia, si contorce, guizza e scintilla e il suo veleno vi gela il
cuore”, e profetizza con la sua voce sibilante: “Vostra sorella vi attende qui
vicino con una coppa piena di acqua pura. Berrete insieme”, facendo riferimento
ai loro reciproci turbamenti d’amore.
La
vita scorre nel castello. Al tramonto “scomparivano ad una ad una le strette
pozzanghere luccicanti degli acquitrini; non si scorgevano le luci dei
villaggi; sul nero denso delle montagne e della pianura s’incurvava l’oscurità
limpida del cielo”; la domenica, “Miguel e Anna andarono ad ascoltare la messa
nella cappella del castello. Il curato di Agropoli, uomo grossolano spesso un
po’ avvinazzato, officiava per loro”.
Il
peggioramento delle condizioni di Valentina costringe Miguel a raggiungere
Salerno per chiamare un medico che, oltre a dichiarare che “il brodo di vipera
è un rimedio non disprezzabile”, sottopone la donna ad un salasso che ne
aggrava la salute. “Bisognò far tacere
le domestiche, che suggerivano cure prodigiose; una propose di umettare la
fronte dell’ammalata col sangue di una lepre squartata viva”. Ma ella muore e
si conclude il triste soggiorno della famiglia ad Agropoli; il trasporto del
feretro a Napoli dura con il pesante carro quasi una settimana. Quando si
fermavano per pernottare, “la sera, dei contadini cenciosi portavano, in mancanza di fiori, grandi
fasci di erbe aromatiche… ogni mattina si cospargevano di acqua profumata” o di
aceto aromatizzato.
*Pubblicato su “Il Saggio, Mensile di Cultura, anno
XVII n. 200, novembre 2012, pp. 22-23. Bibl. essenziale: M. Yourcenar, Come l’acqua che scorre. Tre racconti, Einaudi 2010, pp. 5-60.
Inoltre, it.wikipedia.org/wiki/Marguerite_Yourcenar; Andrea Hynynen ,
The erotic in Marguerite Yourcenar’s Anna soror… and Alexis: transgression and discretion , in www.inteedisciplinary.net/ci/transformations/sexualities/s2/hynynen... · File PDF; www.ircnapoli.com/forum/1767497-0-anna-soror.html.
C.
Belli, Passeggiate in
Magna Grecia. Rive del Sud, Edizioni della Cometa, Roma 1985, pp.
38-39; G. Ungaretti, Elea e la
primavera, in Il deserto e
dopo, Mondadori, Milano 1961. Su questo autore che nelle rovine
dell’antichità, dichiara “lo stupore” di sentire ancora “il respiro della sua
gente”…”, cfr. A. Saccone, Ungaretti, Salerno
Editrice, Roma 2012, p. 157. Ancora, tra
gli altri, A. Capano, Il mare e la costa cilentana nella letteratura contemporanea, in Idem (a
cura di), Il Cilento e il mare, Pro Loco “Agropoli Turistica”, Agropoli 2001,
pp. 57-58.
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