Il salto nel vuoto
Autore: Giovanni Minio
Quel giorno ero
di ritorno a casa verso l'ora di pranzo, con mio figlio e mia moglie. Avevo un
appuntamento per le due ma guidavo lentamente e con i riflessi rallentati a
causa dell'iniezione che mi avevano somministrato all'altro capo della città,
non capivo bene per cosa.
Stavo meditando
alla guida della mia "Punto", quando l'occhio mi andò sullo
specchietto retrovisore e vidi un carro funebre, nero, di quelli con tanti
fiori che mi seguiva.
Lo feci notare a
mia moglie e quando la macchina scura ci superò, lei, divertita e meravigliata
esclamò: “Ma ci sei tu là!”
Rimasi
sorpreso, stupefatto, ammutolito.
Sul feretro
c'era scritto il mio nome, cognome, il mio luogo e data di nascita, e il giorno
della mia morte, quello!
Arrivo a casa,
mi butto sul letto, sono confuso, ricordo qualcosa.
La terra stava
per entrare in un buco nero, serviva un volontario per salvarla. Mi ero offerto
io. Mi avevano portato all'ospedale per l'iniezione. C'erano strani fenomeni
elettrici nel cielo.
Gli aerei
stavano impazzendo, i radar erano fuori uso. Il volontario, io, era saltato
dentro il buco nero.
Oppure no, non
era andata così... Erano quarant'anni che mi facevano quelle iniezioni. Il
fisico e la mente non avevano più retto ed ero morto mentre guidavo.
O forse no...
Ero ancora vivo... ce l'avevo fatta!
Racconto surreale, questo di Giovanni
Minio, dal ritmo svelto e “spezzato” che vuole sorprendere ma anche
disorientare il lettore, spiazzandolo. Il protagonista vive tra angoscia e
assenza di punti di riferimento, e questo è ciò che vuole esprimere chi scrive.
Ci riesce, comunicando con efficacia il “salto nel vuoto” che inquieta, mette
ansia, quella sprigionata dalla constatazione crescente di non avere appigli,
certezze.
Giovanni Minio dosa le parole che devono trasmettere
(e non è poco) tutto questo, le porge con tempi che cambiano fino a confondere
presente, passato e futuro. Un salto nel vuoto è inevitabilmente sinonimo di
confusione, e anche gli strumenti linguistici vengono qui utilizzati al fine di
“confondere”. Ci si ritrova proiettati in una dimensione insolita, mentre le
certezze cadono una ad una.
Che l’autore sia riuscito nell’intento lo si comprende dopo l’esclamazione
finale, che non lascia alcuna sensazione “netta” in chi legge, al contrario. Il
tutto è racchiuso in un racconto molto breve: ulteriore dimostrazione, questa,
della bravura dello scrittore.
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