Calogero Esposito
Autrice: Mirta De Riz
Il sabato
sera, la cerimonia di premiazione del Premio di Poesia si sarebbe svolta
l’indomani, si fece festa all’hotel Miralago. Otello, cameriere eclettico, dopo
aver sbrigato le normali incombenze, regalato qualche sorrisino alle opulente
“frauen” presenti in sala, intratteneva con frizzi e lazzi, travestito da
Monsignore, una comitiva di Tedeschi.
L’allegria
coinvolse tutti, anche noi, quattro Poeti che lì condividevamo allegria e
attesa.
Calogero
Esposito, Vate proveniente da Catanzaro aveva uno sguardo profondo e
trasognato.
I suoi
capelli color sabbia bagnata, spettinati e di varie lunghezze avevano consegna
di nascondere buona parte del suo viso.
Aveva
labbra sottili ed esangui, un segno di barba, spalle leggermente piegate in
avanti, testa e occhi fissi su qualcosa che non mi era dato di vedere sul
tavolo.
M’intrigava
e desideravo intrecciare parole con Lui.
Pensai per
un po’ prima di rivolgergli la parola; alla fine uscì dalla mia bocca la più banale
ed obsoleta delle frasi… Ebbene sì, ebbi l'impudenza di chiedergli: “Che ore
sono?”.
Alzò gli
occhi, mi guardò distrattamente e sbadigliò. Sbadigliò anche il mio nascente interesse
per Lui. Perse, d’improvviso, l’aria bohemien e acquisì quella di “uno che non
ne può più dalla stanchezza”.
Calogero
si alzò per accomiatarsi dall’improvvisata comitiva ma fu travolto dagli
eventi.
Una “
dicke frau” lo abbracciò in vita, lo strinse e lo svegliò con una squillante
risata.
Impallidì
il Poeta, rendendosi conto di quello che stava succedendo; poi si riprese e
accettò, come poco piacevole ma inevitabile, la realtà che andava mano mano
palesandosi.
Tutti
volevano che il Vate recitasse ”lasuapoesiadapremio”. Calogero si fece pregare
a lungo. Sapeva che ben poche persone l'avrebbero capita e apprezzata. Spiegò
allora a gesti, più che a parole, che era stanco, cercando nel frattempo di
avvicinarsi alla più vicina via di fuga. Ogni passo che faceva verso la porta
era una conquista ma alla porta non riuscì ad arrivare.
La
battaglia si protrasse, ma il nemico era forte e ben armato di... calici di
barbera e proprio… un goccio di Barbera trovò, alla fine, la giusta strada e
pizzicò la sua gola.
Purtroppo
Calogero era completamente astemio.
Dopo il
secondo bicchiere, la Poesia si recitò quasi da sola, uscì dalla bocca fluendo
come ruscello a primavera. Nessuno la intese, chi perché era avvezzo ad altra
lingua, chi per il chiacchiericcio di sottofondo. L’applauso però fu dirompente
e prolungato.
Per
festeggiare il Poeta si alzarono i calici al cielo, e che? Proprio Calogero non
beveva?
Il Vate
dopo un po' cercò di appoggiarsi al tavolo, ma le sue mani trovarono solo la
tovaglia che non gradì la presa, così che calici, vino e tovaglia si trovarono,
in un abbraccio appassionato nonché disordinato, sul lucido pavimento della
sala. Calogero si sbilanciò ed era lì lì per cadere, quando una serie di
robuste braccia gli risparmiarono siffatta onta e lo sorressero,
accompagnandolo alla stanza numero diciassette.
Manifestazione
rigorosa, un po’ snob il giorno seguente nella stupenda Villa dove si svolgeva
la Premiazione del Concorso di Poesia.
Nessuno si
alzò quando fu invitato sul palco il Poeta Calogero Esposito da Catanzaro per
ritirare il premio, perché nessuno era riuscito a svegliarlo.
Il suo
lunghissimo viaggio di ritorno Verbania-Catanzaro fu senza medaglia, senza
onore nè gloria.
Per contattare
l’autrice: mirta-deriz@libero.it
Mirta De Riz ci accompagna, con squisito tocco brillante,
nel mondo delle cerimonie dei premi letterari, “luoghi” che permettono l’incontro
di realtà spesso distanti una dall’altra. Il protagonista viene descritto con
umorismo e ironia, ma anche con tenera partecipazione, in un uso esperto del
linguaggio che sa soffermarsi sui particolari che contano.
Il colore e la lunghezza dei capelli, “lasuapoesiadapremio”,
il goccio di Barbera: pochi particolari ma più che efficaci per far “svolgere
la scena” davanti agli occhi del lettore.
Mirta De Riz ci regala
un piccolo gioiello, ricco di acume descrittivo e di sapienza costruttiva: le
varie fasi del racconto sono tutte indirizzate a descrivere la coralità della scena
e i “movimenti/spostamenti” del “Vate”, vittima di eventi ai quali non riesce a
sottrarsi.
Particolarmente valida,
a chiusura, l’immagine del lunghissimo viaggio di ritorno, con quel “senza” che
si ripete a sancire la netta, immancabile imprevedibilità della vita.
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