«… Come è facile scrivere difficile e come è
difficile scrivere facile…», diceva Libero Bovio nel suo «Don Liberato si
spassa».
Nessuna citazione è forse più appropriata per
descrivere l’opera di Luciano De Feo. Dalla lettura delle pagine de «Il
fantasma di Odille Burten» emerge chiara la naturalezza con cui l’autore compie
il nobile gesto dello scrivere. Dovizia di particolari, analisi introspettive
dei personaggi, accadimenti mai banali, colpi di scena frequenti, è attraverso tutto
ciò che Luciano De Feo riesce a costruire quel rapporto fra autore e pubblico
che riproduce quello fra criminale ed investigatore.
Il suo stile pragmatico, senza inutili
barocchismi e con alcune innovazioni formali, è subordinato al conseguimento di
un risultato preciso. La sua capacità di dosare con accortezza indizi e
suspense, logica e azione, è sinonimo di grandi doti intellettuali e di un
profondo rispetto per il proprio pubblico.
Scrivere un giallo richiede l’attenzione ad
un meccanismo particolare di stesura. Ossia, il giallo non va scritto così come
si legge. È un gioco ad incastro, una specie di puzzle, o meglio ancora un
mosaico: prima bisogna preparare le tessere occorrenti. Quando si hanno tutti i
pezzi si può procedere ad ordinarli ed incastrarli, secondo il quadro che si
vuole ottenere, con le opportune zone d’ombra e di luce.
Questo è quello che Luciano De Feo fa nei
suoi racconti, andando anche oltre. L’atmosfera dei suoi racconti si fa tutt’uno
con l’orizzonte d’attesa. Il contesto sociale di riferimento e gli argomenti
trattati, variano da racconto a racconto.
Le sue storie catturano il lettore fin dalle
prime pagine, seducendolo e rassicurandolo.
I personaggi vengono presentati da subito, compiono determinate azioni
ben precise, che permettono ad un lettore attento, di giocare con attenzione le
sue mosse come uno scacchista e cercare di fare scacco matto.
Nei suoi racconti l’autore non ha barato:
tutti i tasselli per poter risolvere l’enigma vengono offerti al lettore in modo
nascosto, non troppo evidente, cosicché solo alla fine egli capisce che, in
fondo, avrebbe avuto tutti gli strumenti per arrivare alla soluzione del caso,
se solo fosse stato un po’ meno distratto. Rispettando così la regola non
scritta secondo la quale sia l’investigatore che il lettore possono risolvere l’enigma.
Giovanna Chirico
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