mercoledì 25 aprile 2012

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Filippo Pirro,  Atacama, Edizioni Tracce, Pescara 2011

L’Autore con questo volumetto di poesie ha inteso esprimere la sua partecipaione emotiva ad un dramma che si è consumato, ma per fortuna con esiti felici, nel deserto di Atacama in Cile, ove il 5 agosto 2010,  33 minatori, a seguito di un crollo, sono rimasti imprigionati dal 5 agosto per 17 giorni, prima che i soccorritori fossero certi della loro sopravvivenza. Le operazioni di salvataggio, che si sono concluse ad ottobre, hanno rappresentato un evento di grande impatto mediatico, ripreso dai mass media di tutto il mondo, ed ha fornito ispirazione alla realizzazione di filmati e sceneggiature cinematografiche e televisive.
Pirro è nato e vive a S. Marco in Lamis, in provincia di Foggia, una terra un tempo in parte impaludata (“in lamis”: “tra le paludi”), pervasa da una forte carica di religiosità per essere vicina a S. Giovanni Rotondo, ove è vissuto Padre Pio, ma anche alla Grotta di S. Michele Arcangelo. Questa, già luogo di culto antichissimo, ha rappresentato fin dal Medioevo, grazie anche alla conversione dei Longobardi, uno dei principali santuari, visitato dai pellegrini di ogni nazione, non solo europea, che vi si diriggevano appositamente o vi percorrevano la vicina Via Francigena (o dei Longobardi o delle Crociate), che conduceva non solo a San Giacomo di Compostela ma metteva in contatto l’Oriente con l’Occidente  tramite i porti dell’Adriatico.
Il tema del deserto, luogo di penitenza ma anche di purificazione, richiamato dalle assolate contrade pugliesi, il paradiso terrestre evocato dalla ricchezza di vegetazione ed animali della vicina dolina, rappresentano per l’Autore il richiamo inconscio per  trattare in senso religioso, non senza il rispetto per la dignità “laica” dell’individuo, una tematica di dramma e di resurrezione, in merito alla quale egli ha già ideato un parco dedicato a “Il sentiero dell’anima”, ricco di percorsi artistici, religiosi e letterari.
Protagonisti dell’umana vicenda sono giovani ed anziani minatori che sono entrati nelle viscere della terra, quasi un percorso eroico in cui a pochi come Eracle, era concessa la visita e il ritorno, e che nella “purificazione” dei 69 giorni si sono spogliati, come accade ai serpenti che “mutano”,  e che sono stati sempre considerati il tramite tra il sottosuolo e la terra assolata, della precedente “camicia”, per assumere quella nuova, del rinnovamento. Tiepidi affetti paterni o da coniugi, carriere che avevano preso una svolta diversa, taciuta a parenti, fatue sicurezze di fronte all’imprevedibilità della vita, anche per  l’ingegnere che era certo di aver realizzato idonei impianti di sicurezza, sono sottoposti nell’isolamento ad un “resettaggio” imposto dall’immagine della morte che solo una fede solida o resa tale ha potuto  affrontare come rimedio ad atti estremi se non alla pazzia stessa. La resurrezione per i 33, numero “magico” (gli anni di Cristo!), anch’esso fornito dal “destino”, si accompagna alle orazioni  liturgiche dei momenti della giornata monastica che  ci insegnano, insieme all’Autore, che è ricorso al complesso gioco degli acrostici, uno per ogni sopravvissuto, la speranza in ogni difficoltà, anche la più estrema, che solo l’umiltà e la disponibilità generosa verso il prossimo può tenere accesa di fronte all’enigma dell’esistenza.
                   Antonio Capano

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