Del romanzo di Pino Imperatore - Benvenuti in casa Esposito - mi ha colpito da subito la scrittura alla Camilleri. La narrazione è in perfetta lingua italiana. I dialoghi, invece, sono in napoletano, che più che un dialetto è da considerare una vera propria lingua in via di estinzione come tutte le parlate regionali e locali in genere. Le ragioni sono ormai note a tutti: la televisione, più degli altri media, oltre ai cellulari e alla politica politicante, tendono a omologare e a manipolare la lingua, riducendola all’essenziale per poter meglio dominare sul popolo, dopo averlo massificato con la pubblicità, la più subdola e sofisticata forma di violenza, che suscita il bisogno del superfluo nella maggioranza delle persone.
L’argomento è la camorra, non già quella autentica, reale, storica del casertano, descritta egregiamente nel saggio Gomorra di Saviano, ma quella di una famiglia tipo, trattata in chiave umoristica, come lascia presagire già il titolo del romanzo Benvenuti in casa Esposito – le avventure tragicomiche di una famiglia camorrista.
Pino Imperatore sceglie questa modalità narrativa per ragioni facilmente comprensibili: non vuole danneggiare i luoghi né suscitare rabbia e vendetta nei malavitosi. Nel romanzo la stessa parola camorra è usata, non a caso, soltanto tre volte.
Trovo particolarmente esilaranti nei diversi dialoghi le storpiature di parole e di frasi: l’uva passera, il matrimonio è la tombola dell’amore, ‘e pumpiniere, abbattiamo le mani, la sposa tirerà il mazzo, siete un pubblico stupefacente e noi vi odoriamo….
Struggente la visita di Tonino - il protagonista negativo - al cimitero delle Fontanelle, dove si svolge il colloquio surreale con la capuzzella del Capitano.
Con pochi tratti l’Autore delinea i caratteri dei singoli personaggi. Di fatto emergono dai colloqui e anche dai soliloqui, come nel caso di Gaetano, il suocero di Tonino, che ama atteggiarsi a intellettuale e a grande amatore, bloccato dalla gelosa consorte, quando non è presa dalla buona cucina. Particolarmente elementare la psicologia di Tonino, orfano del boss Don Gennaro Esposito, che in punto di morte lo affida al suo guardaspalle, che gli succede nella famiglia camorristica, Don Pietro ‘O Tarramoto. Tonino lavora appena tre ore al mese, il ventisette, per raccogliere assieme al giovane Enzuccio il pizzo, anzi “il contributo per la sicurezza”, come precisa il boss, che gli propone di portare il vitalizio da cinque a seimila euro purché se ne stia a casa, senza creare difficoltà.
Tonino vive orgogliosamente nel ricordo del padre, che vorrebbe imitare senza riuscirvi. La moglie Patrizia si adegua alla vita parassitaria del marito, che a modo suo ama, ma cede anche alle voglie del boss che si atteggia a duro e a sciupafemmine. Personaggio drammatico è Manuela, la vedova di Don Gennaro, che l’aveva conosciuta a Firenze durante il servizio militare, prima di diventare capo camorrista. Se ne sta in disparte soprattutto dopo l’assassinio del marito e la scelta obbligata del figlio con il quale vive. Trova qualche sfogo soltanto con la nipote Tina, contestatrice dei genitori che vorrebbero farne una velina, mentre lei sogna diventare giornalista dopo la laurea. Tina è la vera protagonista del romanzo che lascia ben sperare nel futuro.
Nel romanzo non mancano scene esilaranti, come quella del tango delle capinere tra i consuoceri di Patrizia e Tonino, interrotto dalla zuffa tra Assunta e Manuela e dallo svenimento di Gaetano.
Le descrizioni umoristiche servono a stemperare i toni del racconto segnato dai drammatici fatti di camorra.
Gomorra di Saviano vuol essere un documento storico sulla malavita organizzata di stampo camorristico, che dal Casertano va estendendosi nelle zone più ricche del Paese; mentre il romanzo di Imperatore è un racconto umoristico ristretto a una famiglia tipo, che offre uno spaccato della vita tutt’altro che invidiabile della camorra. I due testi sono per certi aspetti complementari. Quello di Imperatore si legge tutto d’un fiato, facendo riflettere il lettore, al di là del riso amaro che suscita in non pochi episodi tragicomici.
In filigrana il romanzo ha una forte componente educativa, come dimostrano gli inviti che arrivano all’Autore dalle scuole di ogni ordine e grado e anche dalle università.
L’unico personaggio positivo è Tina, la figlia di Tonino E Patrizia, che si adattano alla vita di mantenuti del giovane boss, che perdona l’ultima malefatta di Tonino grazie all’intervento della moglie Patrizia, che si concede ancora una volta a Pietro ‘O Tarramoto per calmarlo.
Germano Bonora
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