La
scrittura di Valentina Papa ci trasporta immediatamente, fin dalla prima
pagina, in un mondo colorato dalla leggerezza e da una moltitudine di
particolari evidenziati dallo sguardo attento e amorevole dell’autrice. Già nella
prima pagina del primo capitolo, ad esempio, si legge: “Le sue dita si
strinsero sulla carta ammorbidita dal calore del pane”: ecco, chi sa scrivere
può riuscire a far convogliare l’attenzione del lettore sul particolare, sul piccolo
gesto che – se notato – può dare un senso all’insieme.
La
giovanissima Valentina Papa è già alla sua terza pubblicazione, dopo “Lacrime
di Gioia” e “Le Chiavi di Lolita”, ma prima ancora che la quantità conta,
naturalmente, la qualità, e la sua è una scrittura di alta qualità.
Ne diventiamo
pienamente consapevoli leggendo “Ulisse torna sempre”, romanzo nel quale non
accadono avvenimenti eclatanti, l’attenzione del lettore non viene catturata
sfruttando tecniche quali il colpo di scena o l’immagine forte, né si cerca di
far leva impressionando. Sebbene il principale argomento trattato sia molto
delicato (la presa di coscienza della propria omosessualità da parte del
protagonista Aurelio), Valentina sviluppa la trama con un tatto e una
delicatezza propri di chi si immedesima, si lascia coinvolgere davvero, mentre
scrive.
I
protagonisti sostanzialmente negativi non mancano: ad iniziare dal padre di
Aurelio, quel dottor Angelo stimatissimo in paese ma incapace di rapportarsi
davvero al figlio; ma a chi scrive non interessa la facile condanna. Valentina
si avvicina, e fa avvicinare il lettore, anche ai timori, alle amarezze, alle
delusioni del genitore che fatica a comprendere, guidato – come quasi sempre
accade – dalle aspettative.
Su tutto,
c’è il rapporto speciale tra Aurelio e la nonna, la sola a comprendere fino in
fondo cosa guida e cosa turba l’animo del nipote. Ci sono rapporti che vibrano
all’unisono anche al di là dell’età e delle esperienze, e quello tra Aurelio e
la nonna attraversa tutto il romanzo e ne è protagonista, ancor più delle
stesse persone.
Un altro
protagonista indiscusso è il paese di Torresogno, perfetta cornice agli eventi:
il mare, il faro, le insenature, i colori, le fragranze, i piccoli negozi tra i
quali spicca il panificio di donna Carmela… ogni scorcio è descritto con il
trasporto di chi ama e “vede” i luoghi, e questo aiuta il lettore a
immedesimarsi ancor più nella trama, mentre si svolge.
Qui Ulisse
non è l’eroe greco al quale siamo abituati a pensare, forte e determinato nel
suo allontanarsi da Itaca; Aurelio, invece, ha bisogno di compiere un percorso
personale, intimo, di affrancatura da certe paure, da certi timori che lo
bloccano. Anche in questo è aiutato dalla nonna, artefice della “spinta”
finale.
Il romanzo
si chiude su alcune certezze e molte incertezze, perché questa è la realtà di
tutti noi: un perenne divenire che non conosce traguardi definitivi.
Sicuramente
la certezza più luminosa che chiude la storia è, per il protagonista, la
finalmente raggiunta consapevolezza di essere poeta, e di voler essere il
cantore della terra che lo ha visto crescere. Ecco perché il romanzo si chiude
con la stessa immagine che lo apre: il faro di Torresogno, piccolo marinaio
nella divisa bianca, che saluta chi arriva e chi parte.
Sotto più
di un aspetto Torresogno ricorda Agropoli, la cittadina sul mare alla quale
l’opera è dedicata, e certamente Valentina ha pensato ai suoi paesaggi, mentre
scriveva. In un certo senso, quindi, forse “Ulisse” è anche un po’ lei stessa,
nel suo ritornare nei posti che l’hanno vista nascere. Luoghi finalmente non
sminuiti rispetto alla grande città, che nel luogo comune è sempre considerata
in qualche modo “superiore” al piccolo centro, e invece troppo spesso è dura,
caotica, spersonalizzante.
“Ulisse
torna sempre” è perciò anche un grande omaggio ad Agropoli, al suo mare, ai
suoi colori.
Francesco Sicilia
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