Autrice: Sandra Ludovici
(e-mail da NB
1732G – reperto catalogato 2177 a.d.)
Ciao Mà, ciao Pà,
lo so. Sento già il commento: “te l’avevamo detto,
San!”
Me l’avevate detto, ma io credevo che… beh, lasciamo
perdere. Eppure i primi tre giorni è stato tutto cosi bello che, a ripensarci,
sento nel cuore un tepore d’amore cosi avvolgente, superlativo da non trovare
le parole per descriverlo. Avreste dovuto essere qui, dico davvero.
Appena arrivati, solo il tempo per le solite formalità
burocratiche alla reception dell’albergo; in men che non si dica, strizzati in
due tute blu elettrico, super aderenti e super tecnologiche, ci siamo buttati a
capofitto in un mare di neve bianca, abbagliante, seducente.
Rotolavamo sulla coperta di gelo come due scolaretti
reduci dall’aver marinato la scuola. Avvinghiati in un solo corpo, un solo
cuore, una sola anima, affogati nel mare denso dei nostri sguardi, privi di
ogni ritegno, le labbra incollate in un bacio senza respiro, fusi nella felicità.
Ho pensato che ci avessero raccontato delle balle sul
paradiso; certo non era quello della foresta vergine con gli odori e il sapore
delle origini. Il paradiso doveva essere fatto di ghiaccio, trasparente e
scintillante, immerso nel candore dei suoi cristalli di neve. Eppure, sia in
quello che in questo, il serpente doveva esserci davvero; lo dico perché all’inizio
del quarto giorno è iniziato qualcosa che ha distrutto l’incantesimo.
Ha iniziato a fare caldo; non parlo del tepore di un
raggio di sole, no, parlo di un caldo oserei dire africano, quello della famosa
bolla di calore, per intenderci.
E, d’un tratto, niente telefono, niente radio, niente
tv. Sul web il turbinio di assurde voci sulle tempeste solari, picchi
energetici e stupidate varie (di cui io, voi lo sapete, non capisco proprio
niente): sciocchezze galattiche.
È su questo che abbiamo cominciato a litigare,
all’inizio quasi ridendo di noi e delle nostre paure.
Ma, dopo, la cosa si è fatta seria e l’afflato dei
nostri giorni più belli si è frantumato.
Sapete qual è
stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso? Una disputa, iniziata a letto
nel bel mezzo di… sulle stelle alpine e le implicazioni ambientaliste.
Merda! Stretta nel mio lenzuolo ho guardato il culo di
Ric scomparire dentro un paio di jeans: ha afferrato al volo le sue cose e
senza il disturbo di un saluto se n’è andato sbattendo la porta.
Capite? M’ha lasciata sola a cuocermi nel brodo… in
tutti i sensi. Brutto… idiota, idiota, idiota!
Cosa pensa, che gli correrò dietro? Se lo può
scordare!
Invece, dopo un minuto, mezza nuda, sono corsa alla
finestra appena in tempo per vedere la sua Panda gialla schizzare via come un
proiettile.
Ma non ho visto solo quella: fuori pioveva.
Voi direte, e allora? Ecco, quella che vedevo non era
la solita pioggia, quella era una valanga d’acqua che cadeva da un cielo color
pervinca senza nemmeno una nuvola!
Sono rimasta a bocca aperta a contemplare la mia
immagine riflessa sul vetro opaco.
Piove a catinelle ormai da tre giorni in un caldo infernale
(e l’aria condizionata non funziona): sui monti la neve è scomparsa, è scesa
tutta giù tra sassi, rami e rifiuti d’ogni genere. L’albergo è allagato, il
liquido sporco e caldo sale di ora in ora.
Non riusciamo ad avere notizie di alcun genere: anche
il web è quasi collassato, il terrore sta diventando palpabile.
Ieri sera, sfidando la pioggia insistente, sono andata
ad affacciarmi alla balaustra della funivia.
In condizioni normali, di lassù, la visione della valle
era qualcosa di inesprimibile, toccava l’anima.
Ora attraverso nubi di vapore, sempre più dense mi
sembra di capire che al posto della valle ci sia un… lago. Un lago?
La luce va e viene, spero di potervi inviare questa
e-mail… e se… Cristo! La luce se n’è andata! Il pc non ha le pile!
Oddio! Possibile che debba capitare tutto a me?
Ho potuto soltanto mettere la data alla mia lettera.
Sapete, oggi è il solstizio d’inverno: 21.12.2012.
Fosse in condizioni normali, sarebbe un bellissimo
giorno. A proposito, tempo fa giravano delle voci su questo giorno: le solite
sciocchezze dei soliti creduloni.
Uffa. Lungo il corridoio stanno gridando: “ Presto,
presto… signora, esca…scappiamo…”.
Scappare, e dove?
Adesso bussano cosi forte che butteranno giù la porta:
“arrivo, arrivo…”. Che diamine, non sarà il diluvio, no?
La paura della “fine” tocca periodicamente la
coscienza collettiva degli uomini, che di fronte ai grandi eventi catastrofici –
o potenzialmente tali – non possono non percepire un senso di impotenza.
Sandra
Ludovici è bravissima nel raccontarci la catastrofe imminente
partendo da qualcosa di “molto piccolo”: una semplice e-mail scritta da una
ragazza incredula e perdipiù ancora immersa nei suoi problemi personali
quotidiani. Abbiamo così due piani di lettura che “crescono” verso il finale
tragico, quella fuga che l’incredula protagonista sa immediatamente disperata.
Quello “Scappare, e dove?” racchiude l’essenza dell’impotenza.
Sandra
Ludovici ci trasmette immagini efficacissime nel loro
svolgersi: forse quella che maggiormente colpisce è lo sguardo che si sposta
dalla Panda gialla dell’(ormai) ex che va via al muro d’acqua che cade da un
cielo irriconoscibile.
La “fine” è questa, è questo: l’incapacità di far
rientrare ciò che accade nei nostri comuni parametri di valutazione, di
giudizio.
Per contattare l’autrice: sludovici99@gmail.com
Della stessa autrice: Ardis
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