Gli affreschi di Michelangelo
Autrice: Giuseppina Zupi
La Cappella
Sistina e gli affreschi di Michelangelo, nella inquietante
grandiosità della rappresentazione statica, d’un tratto prendono vita e
fermento. Brusìo, movimento, unitamente al caos e alla perfezione.
La dimensione spazio tempo confluisce in un presente comprensivo del
passato e del futuro.
È giunto il tempo in cui si coniugano il termine e il principio
dell’umanità: un cerchio senza inizio, senza fine.
La schiera di creature è nel contempo indistinta e individuata in ogni
peculiarità.
Una voce pacata ma autorevole, della quale non si individua la provenienza,
senza tono di condanna né di severità né di indulgenza, chiede alla prima
entità: “Quale è stata la colpa più grave della tua vita?”
“La colpa più grave della mia vita è stata quella di non essermi amato, da
questa responsabilità primordiale sono derivate tutte le infinite altre.
Non ho creduto nella magnificenza e nella grandezza del mio essere. Non ho
tentato di realizzare i miei sogni infatti non ho più sognato.
Non ho gioito della vita, anzi a volte è stata così gravosa che ne avrei
desiderato il termine. Ho vissuto una perenne ineluttabile sconfitta. Non ho
considerato e messo a frutto le capacità, il talento e le peculiarità che gratuitamente
mi erano stati elargiti, anzi ho sempre creduto di non possederne.
Non avendo amato me stesso, non ho amato nessuno. Ho preteso da altri
supporto, gratificazione, motivazioni che avrei dovuto far emergere dal mio
essere, rimanendone sempre deluso. Sono stato molto infelice e questa è una
grande colpa.”
“Perché hai fatto questo?”
“Per paura! Ho avuto paura di vivere.”
“Creatura vuoi un’altra possibilità?”
“No, non la voglio perché da vivente ripeterei all’infinito lo stesso
percorso, non saprei individuarne altri, mi ripresenterei tra migliaia di anni
con il peso della medesima colpa. Sono stanco, voglio solo riposare.”
Il secondo essere della infinita schiera è sottoposto alla medesima
domanda:
“Quale è stata la colpa più grave della tua vita?”
“La colpa più grave della mia vita è stata quella di essermi amato a
dismisura! Da questa responsabilità primordiale sono scaturite le infinite
altre. Ho creduto di essere perfetto, onnipotente, di avere capacità e facoltà
tali da poter raggiungere ogni obiettivo, di poter scalare ogni vetta. Ho
considerato gli altri come pioli di una scala che partiva da me e finiva con
me. Il delirio di onnipotenza non mi ha portato nulla, solo tanta solitudine.
Non ho condiviso i talenti e le capacità che gratuitamente mi erano stati
elargiti quindi ho azzerato la mia vita e questa è una grande colpa.”
“Perché hai fatto questo?”
“Perché hai fatto questo?”
“Per paura! Ho avuto paura di vivere.”
“Creatura vuoi un’altra possibilità?”
“Istintivamente vorrei dieci, cento, mille possibilità, ma sarebbe inutile.
Da vivente ripeterei all’infinito il mio delirio. Non conosco alternative. Mi
ripresenterei tra migliaia di anni con il peso della stessa colpa.
Sono stanco, voglio solo riposare.”
“Esseri dell’universo avete prosciugato tutte le gocce di rugiada che
generano vita e con le quali vi avevo copiosamente irrigato. Entrambi, per
motivi opposti, avete calpestato la vostra esistenza, percorrendo il medesimo
sentiero che conduce all’infelicità e alla sofferenza.
Tuttavia entrambi mi siete molto cari, siete stanchi e provati.
Riposate in pace e da questo istante sarete le stelle più luminose nella
notte dei tempi.”
È questo, vivaddio, un racconto che
lascia senza parole. È questo un racconto che non è polemico, non fa la morale,
ma è morale di per sé. Il racconto di Giuseppina
Zupi è profondo, racchiude un’intera filosofia, che filosofia non è, poiché
è realtà. Bello, ben scritto, intenso e godibile. Giuseppina Zupi tratteggia un cerchio perfetto in un unico gesto
preciso e arioso, e in questo spazio temporale, cattura il lettore, che se
trova giusta la prima parte del racconto non può poi non condividere anche la
seconda, poiché ogni cosa è vera e ogni dritto ha il suo rovescio.
È il racconto della dicotomia,
questo, che però non è bipartizione ma unicità e armonia.
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