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na cosa che vediamo per la prima volta magari ci spaventa, o ci meraviglia, o ci piace da morire: in ogni caso ci emoziona. Se però continuiamo a vederla, la cosa è sempre la stessa, ma noi non ci emozioniamo più. Le emozioni, ripetendosi, diventano sempre più deboli.
In realtà siamo noi stessi a preferire così: provare delle emozioni dà anche fastidio; è faticoso venire continuamente bersagliati dalle freccette delle nostre emozioni che un momento sono tristi e un momento sono allegre: su e giù, è come andare in ottovolante. Allora cerchiamo di difenderci: “Che in ottovolante ci vadano gli altri, io voglio stare tranquillo!”.
Così, a poco a poco, riusciamo a emozionarci sempre meno. Però cominciamo ad annoiarci. Infatti, se è vero che le emozioni possono darci fastidio, abbiamo visto che sono proprio le emozioni a provocare quel misterioso cortocircuito tra noi e la realtà che mette in moto i nostri desideri e i nostri sentimenti e che ha a che fare anche con la nostra memoria, le nostre fantasie, i nostri sogni: senza emozioni, tutto questo si ferma. Allora, che vita è?
Perciò, a un certo punto, ci mettiamo alla ricerca di qualcosa che possa emozionarci di nuovo. Ma siccome siamo diventati meno sensibili ci toccherà fare qualcosa di molto insolito, per esempio un viaggio in Africa. E poi, per le stesse ragioni, anche l'Africa ci verrà a noia.
Il poeta invece fa proprio il contrario: in Africa magari non sente neppure il bisogno di andarci, perché ha già tante emozioni stando a casa sua. Lui le emozioni infatti è contento di averle, anzi, la sua lancetta delle emozioni col tempo diventa sempre più sensibile, finché è capace di fare balzi grandissimi per emozioni da niente: è una lancetta che registra, per così dire, anche i movimenti dei fili d'erba. Lui, le cose, è come se le vedesse sempre per la prima volta. E questo gli è indispensabile. Senza questo modo di “vedere le cose” niente può trasformarsi in poesia.
Ma mentre la maggior parte delle altre persone subiscono le emozioni come uno che prenda alternativamente sulla testa uno scroscio d'acqua e un colpo di sole, il poeta fa quello che un cow-boy fa con i cavalli: invece di spaventarsi, li costringe a lasciarsi cavalcare.
E quando li avrà addestrati, la loro forza selvaggia diventerà perfezione di movimenti, leggerezza, eleganza nel saltare gli ostacoli più difficili. Vi sembra strampalato paragonare un poeta a un cow-boy? Di solito si pensa a un poeta come a qualcuno di triste, pallido, fragile, sospiroso. Niente di più sbagliato. Il poeta dev'essere una persona molto forte, se vuole riuscire a imbrigliare le emozioni.
Certo, i cow-boy corrono anche dei rischi. E ci sono poeti, sbalzati di sella dalle loro emozioni, che qualche volta ci hanno rimesso la vita. Ma in quei casi sarebbero stati ugualmente travolti dai cavalli lasciati a se stessi, in fuga davanti a qualcosa che li riempiva di terrore. Mentre non sono rari i poeti che arrivano a un'età molto tarda ancora dotati di sorprendente energia.
(tratto da La poesia salva la vita di Donatella Bisutti)
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