16 giugno 2010
IL MATTINO.it
di Erminia Pellecchia
Estate del 1969, Francesco Rosi è a Scario. Ospite del regista che, con «C’era una volta», ha celebrato la Certosa di Padula, l’inquieto Josè Ortega, occhi mobili, inquieti, divertiti, l’atteggiamento spavaldo da hidalgo della Mancha. Un Don Chisciotte pittore, esule per scelta, antifascista convinto, combattente, sempre, in nome della libertà. Una passeggiata casuale e ORTEGA scopre Bosco, un nugolo di case, sorta di avamposto di pietra e verde verso San Giovanni a Piro. Ad accoglierlo è la piazzetta con la chiesa di San Rocco. Si ferma a leggere la lapide sulla facciata: «Bosco, per tirannica vendetta combusta nel 1828, perchè prima spiegò il tricolore, risorta dalle ceneri, con fede immortale esalta i martiri suoi». È il segno della patria ritrovata. Quel borgo contadino è simile a quello della sua infanzia, la storia si intreccia al suo vissuto, il potere borbonico con la dittatura di Franco che ha combattuto dall’età di quindici anni, pagando con il carcere e l’addio all’amata Spagna. Si ferma a parlare con gli abitanti, poveri, il viso scurito e indurito dal sole come la sua gente, conosce un medico, Nicola Cobucci, leale, schivo, generoso. Nasce un’amicizia che durerà fino alla morte. A Bosco ORTEGA compra un terreno, disegna e costruisce la sua casa studio, un pizzico di atmosfere moresche tra i monti del Cilento. Disegna tutto, pavimento, mobili, arredi. Nel giardino della chiesa su cui affaccia la sua terrazza scolpisce una roccia simile alla montagna che lo sovrasta e da cui osserva levarsi libero il volo delle aquile. Passa le giornate a dipingere, deposita colori, pennelli, quadri, bozzetti, prove di cartapesta, ceramiche dappertutto: li vediamo ancora oggi così, malgrado siano passati vent’anni dalla morte, affastellati sulle pareti e a terra, mescolati ai libri degli amici poeti e scrittori. E, per i martiri di Bosco lascia sulla strada provinciale all’ingresso del paese un segno: un murales che inneggia alla libertà, «il suo sermone - dice commosso Cobucci - di impegno civile alle generazioni presenti e future». Mentre per la famiglia di quel giovane che considera ormai un fratello innalza un monumento funebre nel cimitero: una costruzione bianca, mediterranea, all’interno forgia una vetrata che si illumina ai raggi del sole: lui ateo rappresenta un albero, ma quei rami intrecciati al tronco hanno la dolce impronta di un Cristo in croce. L’eredità di ORTEGA è preziosa per Bosco. E non solo. Il sindaco di San Giovanni a Piro, Maria Stella Giannì, d’intesa con il presidente del Parco del Cilento Amilcare Troiano, ha dato il via ad una cordata per la salvaguardia di un patrimonio d’arte unico in Campania e forse in Italia. Ha già parlato con il prefetto Sabatino Marchione, per le celebrazioni dell’Unità d’Italia, il prossimo marzo, realizzerà, complice il consigliere delegato alla cultura Giovanna Tripari, una mostra con le opere dell’artista, custodite gelosamente da molti residenti. La location è la vecchia scuola, un palazzotto ottocentesco recuperato con i finanziamenti del Parco. «Sarà - annuncia - la sede del museo Ortega, per la cui costutuzione stiamo predisponendo un progetto per la Regione». D’accordo anche il soprintendente per i Beni artistici e storici di Salerno Fabio De Chirico che, da parte sua, si farà carico del restauro del murales. Anzi azzarda un’ipotesi ancora più ardita, che vede un entusiasta Troiano: una rete museale con i luoghi di Ortega, Chieti, Matera, Cosenza, Bosco, ovviamente, capofila.
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