Odi et Amo
Autrice: Monica Fiorentino
Lettera 21.
Poggiata con la schiena contro quel
palo, legno di fortuna, dove potersi sistemare per riprendere fiato, lentamente
il capo di Alice si abbassò privo di forza. Seduta fra quella polvere,
percepiva fluire il sangue fuori dal suo ventre come succo caldo. Dolore, solo
quello era ciò che provava, un forte, sconfinato dolore, il sangue le colava
via come una falla, e lei non riusciva ad arrestarlo. Aveva corso tutto il tempo
per fuggire a quei colpi di mitraglia ben assestati, ma tanto spreco di energie
era valso a salvarle la vita, o era stato buono solo ad aumentare l’agonia
prima di perderla definitivamente? Una pioggia di ferro le aveva letteralmente
trapanato la pancia, guerriglieri dal volto coperto, l’avevano assalita, lei,
intenta semplicemente a leggere un libro su di una panca sgangherata, era
divenuta per la loro ferocia bersaglio mobile. Stava perdendo troppo sangue, e
cominciava a sentire le ginocchia molli. Il fiato tiepido di qualcuno al suo
fianco di colpo la fece trasalire, e aprendo gli occhi scoprì due iridi color
dell’ambra puntarla in viso. Un lupo, ce ne erano molti in quei giorni liberi
per il paese, probabilmente scesi dalla montagna in cerca di cibo, anime in
pena a trovare ancor prima la morte, fra i calci di beffa sferrati dai soldati
per gioco. Lenta la giovane sollevò la mano, sapeva per certo che lui non le
avrebbe fatto alcun male, l’altra premuta sull’addome “Enea…” lo chiamò
d’istinto dandogli un nome. Il lupo al suono della sua voce reclinò di sbieco
il capo, quasi in segno di saluto. “Avrà fame poverino…”. Il cibo, chissà se
nella sua gola sarebbe più entrato qualcosa, per finire poi dove? qualcuno in
quel carnaio di cadaveri e teste mozzate a cielo aperto, l’avrebbe mai scorta
rincantucciata in quel posto, per chiamare un medico in grado di ricucirla?. Il
volto di Fabrizio le venne allora dinnanzi in tutta la sua prepotenza e lei
sorrise, incurante della sofferenza. Fabrizio, il suo Fabrizio, proprio lui che
amava tanto la cucina e il cui unico sogno era divenire un cuoco fra i più
stellati. Il sapore dei suoi biscotti fragranti l’invase il palato, il profumo
di zucchero e cannella che aleggiava nella sua cucina, quattro mura piene di
tegami in rame alle pareti, una cucina grossa, quasi marziale, come piaceva a
lui, in stile tedesco; rimasto orfano molto presto era stato grazie alle sue
doti culinarie se era riuscito a farsi strada a gomitate: spaghetti pomodori e
basilico, avvolti con uova e prosciutto, salse squisite, rollè di vitello
arrosto, tortellini in brodo, pollo in crosta, contorni di verdure fresche
fantasia; solo e senza famiglia aveva imparato dapprima a farsi il pane per non
morire di fame, poi a condividerlo con gli altri facendolo divenire vita e
lavoro. “Devo andare, cucinerò per l’esercito intero probabilmente!” le aveva
detto una mattina, sventolando sotto i suoi occhi la cartolina scura di
chiamata alle armi, che più di un giovane stava ricevendo per servire la
propria patria in quel periodo e riportare la pace. E lei aveva cominciato nel
silenzio l’attesa. Chiedendosi solo in quel mentre, seduta nella pozza del suo
stesso sangue, sotto quella luna a inondarle di luce le guancie, se non avesse
abbandonato mestoli e coltelli per imbracciare un fucile. Era stato lui a farla
divenire donna, nella foga dei loro vent’anni, conosciutisi sui banchi di
scuola, avevano consumato l’amore come un fiore in boccio, attraverso la pelle
l’uno dell’altra. Fabrizio coi suoi sorrisi, le sue passioni, capelli a
zazzera, labbra di melograno. Alice guardò le sue gambe imbrattate di sangue e
poggiò la fronte contro quella ispida del lupo. “Amore/ Gronda sulla mia bocca/ il tuo nome” il suo haiku preferito, il suo sogno.
“Fonderai una Casa Editrice Indipendente appena questa dannata guerra sarà
cessata, e la gente riprenderà a leggere, vedrai!” le aveva detto lui, che
vedeva le cose sempre in grande, allargando le braccia “Ed io cucinerò a tutte
le tue serate di gala!” Fabrizio quel lupacchiotto smarrito, occhi scuri,
gabbiano dalle lunghe ali. In quell’istante una fitta la fece inclinare e i
suoi occhi si riempirono di lacrime, in quel ventre non sarebbe più entrato
nulla, Enea le leccò allora il viso “Sapeva ascoltare, e sapeva leggere. Non i
Libri, quelli son buoni tutti, sapeva leggere la gente. I segni che la gente si
porta addosso” Novecento di Alessandro Baricco. Il loro Libro. L’amavano in
due. Fabrizio era tutto in quella frase, era sempre stato così, capace di
leggere le persone, e in quel mentre lei ricordò quel passo sentendolo vicino,
vicino il suo amore. Una folata di vento caldo si levò, facendole provare se
era possibile, ancora più dolore, e a lei parve di vedere Fabrizio chinarsi sul
suo corpo martoriato, tendendole la mano
per aiutarla a risollevarsi, e pensò all’assurdità della guerra e di quel
fragore di bombe in lontananza “Odi et amo”
l’inizio del carme Ottantacinque di Catullo, Odio e Amo, Odio e
Amore, in quel momento non aveva lo
stesso, preciso senso, che il filosofo gli aveva dato all’origine, ma Alice lo
sentì suo “È questa la Guerra !
Illogica sventura del genere umano a farlo piegare, Odio sopra l’Amore!” si
curvò in due all’ennesimo fiotto copioso. Odio una parola che lei non usava
mai, nemmeno nei suoi scritti, mai nei suoi haiku, Amore diveniva in quel
momento, per una ragione insensata parola semplice, su cui poter sputare a gran
voce. E levando gli occhi, con la fronte madida di sudore la giovane chinò il
capo, vinta, contro il muso di Enea a bagnare quel suo ultimo sospiro “Amore… sei
qui Fabrizio!”
“Mentre di lontano, gli occhi viola di quell’angelo sopra la guerra, si
chiusero in segno di lutto”.
L’odio, l’amore, lo scontro: tutta la
potenza espressiva di Monica Fiorentino
è racchiusa (anche) in questo racconto particolarmente denso, toccante: la
morte che arriva e ghermisce, la morte irragionevole della guerra, l’illogica
falce che tutto distrugge.
Grazie alle parole di Monica Fiorentino “sorvoliamo” la zona
di guerra e al tempo stesso riusciamo ad entrate nel cuore dei protagonisti, smarriti
in situazioni più grandi di loro ma anche lucidi nel prendere atto “sul campo”
di quanto l’odio possa essere ottuso, cieco, ingestibile.
La voce profonda di questa grande
artista ci fa rendere conto, una volta di più, della necessità di fermarsi in
tempo.
Per contattare l’autrice: angelo.dicarta@libero.it
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