La rosa di Hermes
Autrice: Monica Fiorentino
Lettera 21. “Caro Hermes,
oggi sono riuscita a trovare quel libro
di cui ti raccontavo, quello che da tempo desideravo ri-leggere, te ne ho
parlato spesso, ricordi? Ce l’ho fra le mani adesso, mentre fuori, fuochi di
luna pare attraversino questo cielo, code di comete, in attesa di Te!”
“Quasi ogni giorno ormai da anni, prende
la penna in mano e le scrive. Non ha nomi e non ha indirizzi da mettere sulle
buste: ma ha una vita da raccontare. E a chi se non a lei?
Lui pensa che quando si incontreranno
sarà bello posarle in grembo una scatola di mogano piena di lettere e dirle:
"ti aspettavo!"
Lei aprirà la scatola e lentamente
quando vorrà leggerà le lettere una ad una e risalendo un chilometrico filo di
inchiostro blu, si prenderà gli anni, i giorni gli istanti, che quell'uomo
prima ancora di conoscerla le aveva regalato.
O forse, più semplicemente, capovolgerà
la scatola e attonita davanti quella buffa nevicata di lettere sorriderà
dicendo a quell'uomo: "tu sei matto!"... e per sempre lo amerà!”
“Oceano Mare” di Alessandro Baricco, le era
bastato leggerlo una sola volta, per adorarlo, aveva trovato scritto fra quelle
pagine ciò che lei in segreto aveva tenuto per sé sin da bambina, durante tutti
quegli anni fino a diventare adulta, quello che aveva sempre cullato nel suo
cuore, prima ancora della guerra, ancora più in quel periodo d’orrore e morte,
quando ogni giorno spossata dalla fatica, scampata alle bombe, coi suoi sogni
ancora caldi nella testa, posava la penna sul foglio, i fogli consunti della
sua moleskine, e iniziava a scrivergli, tenendo accucciato sui suoi piedi il
fedele Roccia, cane, amato compagno, a farle calore.
Lui sarebbe venuto, sarebbe venuto per
salvarla, portarla via da quel posto, quel luogo prima di pace, divenuto
carnaio umano, senza sosta né dignità,
lui con quei suoi occhi viola, velati di dolore, ma ricchi di luce e speranza,
amore, complici, le sue lunghe ali, il petto tracciato di cicatrici e sudore,
gabbiano libero, selvaggio, lupo indomito, pettirosso dalle ali di neve, usignolo potente, sarebbe
venuto per lei: percorrendo quel cielo sopra la guerra, fra il fragore dei
cecchini, il puzzo delle carni arse vive, il sentore di piscio stagnante, i
cuori rinsecchiti divenuti ormai come fagioli nel petto dei cadaveri; sarebbe
venuto col nome di Pace, e lei gli avrebbe mostrato quelle lettere scritte
giorno per giorno, quelle poesie appuntate per lui, che non aveva mai smesso di
vergare, i suoi haiku, il sogno che aveva di pubblicarli un giorno tutti
insieme, in un libro dalla copertina morbida, profumata di stampa e di libertà.
Gli avrebbe raccontato della guerra, di quei giorni, della fame, dei capelli
lavati in catini di zinco insieme agli scarafaggi, le scarpe dalla suola
bucata, i piedi freddi, inzaccherati di sangue, mentre lui l’avrebbe stretta
regalandole il calore di un abbraccio, lei allora gli avrebbe sussurrato di non
smettere mai di stringerla, confessandogli quanto le piacesse essere
abbracciata, e lui sorridendo le avrebbe svelato, posandole le labbra sulle
tempie, che l’aveva sempre saputo.
Con lui avrebbe potuto posare la sua
mitraglia, quella che adoperava per difendersi, dono che un soldato sconosciuto
le aveva fatto un giorno, indicandole di proteggersi.
Di lui avrebbe potuto sentire le mani
callose sulla pelle, sul seno, senza paura, saggiarne la trama, abbandonarsi.
Ci sarebbe stata pace. E insieme avrebbero letto mille altri libri, senza
doverli più soltanto ricordare a mente, inesistenti fra le librerie scosse a
suon di bombe. Lui sarebbe venuto a lei con una rosa, l’avrebbe riconosciuto da
quella, una splendida rosa gialla. E mai più si sarebbero lasciati. “Hermes ti
amo, ti amo amore mio, stanotte più delle altre notti” incise ai lati del foglio “Ti aspetto, non
tardare!” tracciando il suo ennesimo haiku _E resto
/ impigliata /nella tua anima. In attesa di farglieli leggere tutti di un
fiato.
Ma la vita, in guerra, non va come si
vorrebbe, mai.
E chiudendo gli occhi la giovane
Mercedes quella notte, vinta dal sonno, nel suo letto dalle lenzuola dagli
innumerevoli buchi e le coperte infeltrite donate loro dall’esercito,
impregnate del tanfo stagnante delle caserme, stringendo a sé il suo quaderno,
cullata dal dolce cadenzare del suo fedele cagnone a dormire lì accanto, non
vide mai quei fuochi di luna in cielo, prendere i bagliori di una granata e
disperdere le mura del suo rifugio in polvere di pietre e sangue. Canto di
sacrificio intonato all’alba.
I racconti di Monica Fiorentino
continuano a descrivere la guerra, ogni guerra, nelle sue infinite sfumature:
quelle che rimangono nascoste all’apparenza dell’odio, che tutto travolge e
tutto consuma.
“Ma la vita, in guerra, non va come si vorrebbe, mai.”
Si avverte distintamente il peso della fatalità sugli animi, sui paesaggi,
sui pensieri, sui gesti. Di contro, c’è la densa leggerezza dell’arte, che
continua a gettare semi nel terreno sconvolto dalla guerra.
Monica Fiorentino ci conduce nel sogno di Mercedes,
destinato ad essere interrotto da uno dei tanti ordigni esplosi. Ma il
sacrificio finale non sarà più tale, quando il mondo sarà pronto per ascoltare
il canto della parola scritta.
Della stessa autrice: Ginevra
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