Ecco
un interessantissimo articolo sulla poesia contemporanea di Andrea Inglese,
segnalatoci dall'amico poeta e scrittore Ermanno Crescenzi, tratto dal sito
"Nazione Indiana".
Cosa
ne pensate?
Ecco
un interessantissimo articolo sulla poesia contemporanea di Andrea Inglese,
segnalatoci dall'amico poeta e scrittore Ermanno Crescenzi, tratto dal sito
"Nazione Indiana".
Cosa
ne pensate?
Per una poesia irriconoscibile
«[...] la
scrittura poetica si pone non solo in conflitto con l'ideologia dominante e i
suoi modelli di percezione della realtà, ma anche con qualsiasi discorso
"edificante"...». [Andrea Inglese]
di
Andrea Inglese
C'è
qualcosa di così palesemente inattuale nella figura del poeta da renderla
nonostante tutto ancora allettante e carismatica. Nessuno sa più bene cosa
farsene, ma sembra impossibile rinunciarvi una volta per tutte. Ciò dipende,
credo, da una buona ragione. Si percepisce oscuramente che il poeta è un po'
l'antitesi degli eroi del nostro tempo: i manager, gli imprenditori, le
star dello sport e dei media di massa, gli scrittori di best-seller planetari.
D'altra
parte, la poesia nella sua forma moderna, ossia lirica, nasce con questa
precisa connotazione ideologica: nella metropoli ottocentesca, l'attitudine del
poeta, almeno da Baudelaire in poi, si costruisce per opposizione a quella
dell'uomo d'affari; da un lato, l'enunciato lirico che corrisponde alla
singolarità di un oggetto o di un'esperienza, dall'altro, il denaro come equivalente
universale e la ratio economica che ne governa l'uso[1].
A
questa buona ragione, però, se ne aggiungono alcune cattive, che
contribuiscono a mantenere vivo, seppure in modo intermittente e disinvolto, il
culto del poeta.
Le
pagine culturali dei quotidiani ce ne forniscono alcuni esempi quando
saltuariamente decidono di evocare le bizzarre vicende biografiche di un poeta
defunto, oppure di onorarne la senile saggezza. L'antitesi di cui sopra, con
tutto ciò che implica di irrisolto e problematico, diviene nella versione
giornalistica una pacifica divisione del lavoro: al poeta, il privilegio di
predicare e di promettere un supplemento d'anima, a tutti gli altri di
dedicarsi impietosamente, per quanto è possibile, alle carriere redditizie e ai
lauti consumi.
Da
qui una convinta retorica della resistenza, che piace molto ai poeti del
nuovo secolo, giovani e meno giovani. Ecco allora la poesia farsi custode di
autenticità, di valori antichi (bellezza formale), di cura artigianale per il
linguaggio, di rurale immaginazione, ma anche di civili indignazioni e velleità
epiche. Di fronte alle minacce dell'incultura e dello spettacolo ad oltranza, la
poesia sarebbe l'espressione, e dunque la garanzia, di una qualche
incontaminata interiorità: sentimenti schietti, immagini profonde,
significati ultimi.
Questo
vario fronte poetico, che resta in qualche modo dominante in Italia, e
soprattutto ben riconoscibile all'interno del mondo letterario, ignora però - o
si comporta come se le ignorasse - alcune circostanze storiche: nella
società tardo-capitalistica in cui viviamo, l'autenticità è una merce, e
l'intimità un mercato estremamente dinamico e in espansione.
L'industria
dell'informazione ha compiuto meglio di qualsiasi altra il ciclo che va dalla
produzione generalista a quella individualizzata. E soprattutto ha fornito ad
ogni individuo, come nel sogno delle avanguardie novecentesche, le protesi
tecnologiche per una (sedicente) libera creazione di sé. Ogni consumatore
degno di questo nome è oggi sorgente e terminazione di un flusso in entrata e
in uscita di immagini ed enunciati, che gli forniscono l'illusione di essere
padrone se non della propria vita, almeno della fetta più intima di essa -
quella comprimibile in uno smartphone o nella propria pagina Facebook.
Nessuno
vuole qui dire che il doppio flusso non comporti un qualche grado di
creatività, di libera e marxiana produzione di se stessi, a patto però di
riconoscere a monte una coesistenza inestricabile di stereotipi e invenzione,
d'idiozia e intelligenza, di autonomia e alienazione, di regressione ed
emancipazione.
Solo
accettando di esplorare questo intreccio in modo assolutamente spregiudicato,
mi sembra sia possibile alimentare ancora oggi la componente critica insita
nella poesia. Ciò significa che la scrittura poetica si pone non solo in
conflitto con l'ideologia dominante e i suoi modelli di percezione della
realtà, ma anche con qualsiasi discorso edificante, fosse pure quello associato
a prospettive antagoniste e rivoluzionarie. La scrittura poetica, infatti,
si fa carico soprattutto di ciò che mina quella indispensabile articolazione
tra discorso e azione, tra dicibile e visibile, su cui si erge ogni ordine
sociale, ma anche ogni organizzata forma di contestazione[2].
Da
qui il carattere tendenzialmente non narrativo della scrittura poetica,
che si specializza nella configurazione di paesaggi più o meno disastrati e
discontinui. Gli elementi primi di questi paesaggi sono inevitabilmente "parole
vuote" e "oggetti muti", e più generalmente residui
inerti di flussi che tendono a fondersi con l'inesauribile e insignificante
materialità del mondo. Per questo motivo chi pretende di scrivere in nome o a
difesa della nostra umanità si muove nel cerchio rassicurante di ciò che dà
senso e corrisponde alle figure conosciute dell'umano, senso e figure ogni
giorno smentite non solo dal volto disumano della storia, ma anche dalla
distruzione del non-umano a cui la nostra specie è dedita con crescente
successo.
Il
"partito preso delle cose" significa, allora, privilegiare
nella costruzione del paesaggio tutto ciò che non è umano, viaggiando
attraverso salti di scala che oscillano tra il micro e il macro, e discontinuità
temporali che giustappongono cronologie individuali e collettive, di specie e
planetarie. La concentrazione sul dato materiale e oggettivo non implica la
riproposizione di qualche caricaturale azzeramento del soggetto.
Il
soggetto, infatti, è ciò che ogni volta, seppure in modo incompiuto e
provvisorio, tenta di comporre il paesaggio di cui fa parte. È una sorta di
agente rivelatore, che con cura lascia emergere quanto le narrazioni
individuali e collettive della società attuale lasciano nell'ombra, sorta di
universo residuale, estraneo ai piani ordinari di soddisfacimento o
sfruttamento dell'esistente. Ma l'orientamento all'oggetto neppure dev'essere
salutato come l'occasione per liquidare la specifica materialità del linguaggio
in favore di un'ideale trasparenza comunicativa. Si tenga a mente la nettezza
concettuale del Tractatus di Wittgenstein: "Il mondo si
divide in fatti", "Noi ci facciamo immagini dei fatti",
"L'immagine è un fatto".
Francis
Ponge ce lo ha ricordato
a sufficienza: il poeta vive tra il mondo delle cose e quello delle parole,
mondi diversi, ma entrambi materiali e dotati di un ineliminabile grado di
opacità.
Queste
indicazioni non hanno come scopo di indicare tendenze o poetiche, che
dovrebbero garantire in qualche modo della qualità letteraria di chi scrive
poesia. La poesia che più ci interessa, oggi, non è (spesso) nemmeno
riconosciuta come tale. Invece di resistere si fa invadere o invade, invece
di esprimere l'interiorità si fa strumento di ricezione dell'esteriorità del
mondo, invece di procedere secondo ordini formali ereditati costruisce di
volta in volta forme al limite del disordine, invece di celebrare i grandi
significati si espone al non-senso e all'insignificanza. A dirla tutta, molti
scrittori in Italia rinuncerebbero volentieri ai dubbi privilegi della figura
del poeta, per praticare semplicemente, indifferenti alle corsie editoriali e
alle tassonomie critiche, una letteratura generale.
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Note:
[1] "Ma economia monetaria e dominio
dell'intelletto si corrispondono profondamente. (.) L'uomo puramente
intellettuale è indifferente a tutto ciò che è propriamente individuale, perché
da questo conseguono relazioni e reazioni che non si posso esaurire con
l'intelletto logico - esattamente come nel principio del denaro l'individualità
dei fenomeni non entra." Georg Simmel, La metropoli e la vita dello
spirito [1903], Armando, Roma, 1995, p. 38.
[2] È forse Jacques Rancière, nel suo Politique
de la littérature (2007), ad aver meglio di altri indagato le ragioni che
distinguono la scrittura letteraria dall'oratoria rivoluzionaria.
venerdì
27 settembre 2013
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