Il volo
di Khair e di Najm
Autore: Enrico
Giuliano
Khair, l’uccellino
dal petto azzurrino e da una macchia gialla tra gli occhi, volteggiava nella
sua piccola gabbia illuminata dal sole.
Conosceva
ogni angolo di quella maledetta stanza!
La polvere
che come miliardi di stelle brillava nella luce e piroettava ad ogni leggero
spostamento d’aria.
I volti sorridenti
della mia famiglia e dei miei cari, impressi su fotografie ritagliate e
incollate su un grande quadro, appeso al muro logoro, accanto a me.
Condivideva
ogni mio gesto, lo strepito del tornio, il suono delle mie mani mentre
modellavano i vasi di terracotta.
Conosceva
il mio segreto e a volte sembrava piangere insieme a me!
Era una
vecchia gabbia di metallo arrugginito appesa vicino alla finestra, dalla quale
però poteva sentirsi libero di volare in quel paesaggio appena fuori!
Come lui,
anch’io ogni tanto alzavo lo sguardo verso l’orizzonte e sognavo!
Come Khair,
nei sogni ero libero di volare, toccare l’erba profumata, giocare coi miei
figli, ammirare i fiori colorati, danzanti al cospetto del Dio Sole. Sentire
l’acqua impetuosa del ruscello saltellare tra le verdi rocce e giocare con i
pesci. Potevo finalmente sorridere lontano dagli orrori di quella guerra!
Quella guerra assurda che aveva distrutto la mia famiglia!
Ma quella
luce interiore, quella vana illusione ben presto svaniva, come la fiamma di un
misero zolfanello.
E così mi
ritrovavo solo, seduto al mio sgabello con la schiena curva e le mani ruvide a
decorare cocci.
Ora quello
era il mio mondo, la mia vita, tutta racchiusa in quel fosco vano.
Ero parte
integrante di quell’ambiente, ero anch’io una ceramica!
L’odore
della mia pelle ricordava la terraglia e il pulviscolo si addormentava
placidamente sulle mie gambe. E come quelle maioliche dentro mi sentivo vuoto
dove la voce si spegne in un tonfo sordo.
Quella
mattina le nuvole avevano coperto il cielo come a privare il sole da un infausto
presagio.
Aprii la
finestra e subito un alito di vento gelido entrò nel locale vibrando fra gli
oggetti e animando le fotografie. Agitava i detriti che ruotavano come acrobati
del circo sui trapezi arerei. La corrente infuriava intonando un mesto canto.
Aprii la
gabbia del mio caro amico che rimase immobile a guardarmi coi suoi piccoli
occhi scuri, incredulo.
Sorridendo
dissi: “buon viaggio amico mio”. Il volto si irrigidì come una lastra di
ghiaccio mentre la mia mano strinse il capestro.
Lentamente
salii sul vecchio tavolo di legno che gemette dallo sforzo, chiusi gli occhi e
volai dentro i miei sogni.
La scrittura di Enrico Giuliano ci parla
efficacemente dell’incanto, della forza del particolare che illumina la “scena”
della quotidianità. La macchia gialla tra gli occhi, la polvere sospesa nell’aria,
l’odore della pelle, tutto concorre a ben delineare l’atmosfera cupa, pesante e
aperta alla tragedia che il racconto vuole trasmettere.
L’insensatezza della guerra, dell’odio che non
conosce tregua, balzano agli occhi del lettore con una particolare vividezza,
in contrasto con la quiete interiore di un animo che non sopporta più l’assenza
delle persone amate.
Dal contrasto vita/morte Enrico Giuliano fa
scaturire un insegnamento profondo, lasciando però al lettore la scelta del giudizio finale. La splendida immagine del
tavolo che geme è il lamento della vita mentre la morte si fa avanti: l’una all’altra,
poi parallele, e poi ancora a intrecciarsi.
Per
contattare l’autore: gico.art@tiscali.it
Ecco il
concorso giusto per chi scrive racconti. Leggi
in bando!
Per le
tue poesie c’è Lunedì
Poesia
"Il volo di Khair e di Najm" tratteggia con estrema delicatezza il tragico epilogo di un'esistenza chiusa nella ripetitività e schiacciata da un dolore insopportabile. Colpisce la generosità di Najm, che, prima di volar via da questo mondo, regala a Khair la libertà. Bravo, Enrico! Francesca.
RispondiElimina