Non è la prima volta che L’ArgoLibro pubblica un testo
di Michele Di Lieto. Nel 2013 questa Casa editrice ha pubblicato un volume di
Memorie che, anche dal titolo, poteva sembrare il canto del cigno di un
magistrato prestato alla narrativa. Invece no: perché Michele Di Lieto ha
trovato tempo e voglia di scrivere un altro libro, che sembra esulare dai
moduli (prevalentemente autobiografici) dei libri precedenti, e costituisce una
novità anche per l’Editore. Pubblichiamo qui uno scambio di idee (qualcosa più
di un’intervista) sul libro appena uscito.
Michele Di
Lieto: “La casa sul poggio”. Perché questo titolo? La casa sul poggio è quella in copertina?
La casa sul poggio non esiste e, se esiste, esiste
solo in copertina. Ma la casa sul poggio è molto più che la casa in copertina:
è il motivo ispiratore del libro. La casa alla quale mi sono ispirato è una
delle tante disseminate nelle nostre campagne, nella gran parte abbandonate (le
case e le campagne), una casa né più né meno come quella in copertina, col
tetto crollato, i muri cadenti, avanzi di chiese e conventi, una casa
abbandonata, aperta a qualche coppia di innamorati, a gruppi di rom o di
drogati. Ecco, nel vedere quelle case abbandonate, quei tetti crollati, quei
muri cadenti, mi sono spesso chiesto se case, muri e tetti potessero parlare,
quante storie, quanta Storia potrebbero narrare. E perché quelle storie, quella
Storia non la narro io. Con quel poco o quel tanto di fantasia che sorregge qualsiasi
testo di narrativa. È così che mi sono messo a scrivere. È così che la casa sul
poggio è diventata motivo ispiratore del libro.
“La casa sul
poggio” ha un sottotitolo: Storia e storie del Cilento. Può spiegarci di che si
tratta?
Certamente. Anche il sottotitolo merita una
spiegazione. Ho già detto altrove che esso non ha valore esplicativo, ma è un
omaggio, una sorta di dedica alla terra nella quale ho trascorso gran parte di
vita. A ben guardare, si tratta però di un sottotitolo riduttivo. Riduttivo
perché può generare l’idea che il libro tratti la Storia del Cilento, mentre la
Storia è quella di Napoli e del meridione, la città e le campagne attraverso i
secoli. Riduttivo perché può indurre a pensare che le storie che attraversano
il libro siano piccole storie legate a beghe di paese, mentre per me si tratta
di storie simbolo: la lotta tra il bene e il male, il contrasto tra ricchi e
poveri, il potere che opprime i poveri cristi. Che io abbia ambientato queste
storie nella terra che mi ha adottato è un puro caso: penso che, volendo, avrei
potuto collocarle anche in un ambito diverso. Resta il fatto che si tratta di
storie false e storie vere, di personaggi veri e personaggi inventati, non
legati necessariamente alla terra nella quale sono collocati. Non è un caso che
la stessa città che fa da cornice alle mie storie sia anche nel nome una città
mai esistita. Spinazze non esiste: esiste Spinazzo, ma è una località che non
ha niente a che fare con le storie del libro.
La casa sul
poggio: storia vera e storie false, figure inventate e figure realmente
esistite. Non è un motivo che ricorre in altri suoi libri?
È vero. In tutti (o quasi tutti) i libri che ho
scritto c’è un insieme di storia vera e storia falsa. I personaggi, le figure,
i protagonisti dei miei libri sono in parte veri, in parte falsi. Si prenda
Tsunami, il mio terzo libro. Tsunami è, almeno nella prima parte, la storia di
un uomo di sinistra, professore di filosofia con la tessera del PCI, che tra lo
Stato e le Brigate rosse, sceglie (idealmente) le Brigate rosse, e dopo
l’assassinio di Moro, che egli attribuisce a colpa della DC ma anche del PCI,
abbandona la scuola, abbandona lo Stato, abbandona anche il PCI. Basterebbe
questo per capire come Tsunami, quanto meno nella prima parte, sia anch’esso un
miscuglio di storia vera (le Brigate rosse, gli anni di piombo, la morte di
Moro) e di storia falsa (la storia del protagonista).
Storia vera
e storia falsa. La casa sul poggio è forse un romanzo ‘storico’?
Può darsi, io non ne sono convinto. Già nella
avvertenza iniziale parlo volutamente, e più genericamente, di un libro metà
saggio metà romanzo: e, per quanto ne sappia, il romanzo ‘storico’ non è, non
può essere un saggio. In ogni caso, non è l’autore il soggetto più adatto a
catalogare il libro che ha scritto. Questo è compito del critico e, come tutti
sanno, non v’è in letteratura, ma non solo in letteratura, peggior critico di
se stessi. Quel che posso dire è che La casa sul poggio è la storia di una
casa, e di una famiglia attraverso i secoli. Inizia dal seicento, dalla
costruzione della casa, e arriva fin quasi ai tempi nostri, con una serie di
storie inserite nella Storia del secolo cui appartengono. Storia vera, che non
fa solo da cornice. Storia vera, talvolta, ma non sempre, liberamente
ricostruita. Così, ne La casa sul poggio si parla della peste del seicento,
della carestia del settecento, del colera dell’ottocento, del terremoto del
novecento. Tutti eventi negativi, perché di eventi negativi è intessuta la
nostra Storia. Eventi negativi naturali, eventi negativi quelli che si
accompagnano agli eventi naturali: non a caso nel libro parlo della legge per
il risanamento, varata dopo il colera del 1884, che diede luogo alla prima
colossale speculazione edilizia della storia unitaria, non a caso parlo degli
scandali e dei fenomeni corruttivi del dopo terremoto del secolo scorso. Tutti
eventi negativi, come di eventi negativi è intessuta la storia della famiglia
da me ricostruita. Una famiglia che nasce, cresce, e torna ad essere una
famiglia contadina. Almeno fino a che è esistita una famiglia contadina.
Storia vera,
storia falsa. Non c’è spazio, in questo libro, per motivi autobiografici?
Ce n’è. Ce n’è e come. Ho detto, e scritto altrove,
che ogni opera di narrativa, racconto novella o romanzo che sia, è
autobiografia. Ho detto, e pure scritto, che in ogni opera di narrativa, se non
è autobiografico il protagonista, lo è l’alter ego, se non questo il
personaggio secondario, se non questo, l’ambiente, il paesaggio, lo sfondo che
fa da cornice. Non ho detto, e neppure scritto, che l’opera di narrativa può
essere autobiografia per un altro motivo: perché nasce da emozioni, sensazioni,
ricordi che sono solo di chi scrive. In questo senso, e non solo in questo, La
casa sul poggio è autobiografia. Gli esempi potrebbero essere infiniti. A
partire dalla casa, la casa sul poggio, la casa in copertina. Per finire alla
malattia di Isabella Vanacore vedova del Mastro, o alla battaglia elettorale
dell’Amalia Formigli, o al naufragio dell’Andrea Doria, che trovano tutti
radice in ricordi personali di chi scrive.
Non Le pare
di dilatare di molto il concetto di autobiografia includendo anche ciò che
nasce da sensazioni, emozioni, ricordi che sono solo di chi scrive? Non è che
così facendo qualsiasi opera di narrativa diventa autobiografia?
È proprio quel che io sostengo: che non esiste
inventiva allo stato puro, e che ogni opera di narrativa affonda le sue radici
in ricordi propri di chi scrive. Ma, a parte questo, ne La casa sul poggio c’è
qualcosa di molto più autobiografico. In questo libro vi sono almeno due
figure, e non sono figure secondarie, ma protagonisti, che mi somigliano:
quanto meno, io volevo mi somigliassero. Il primo. È un sognatore: anche io,
forse tutti noi siamo, o siamo stati dei sognatori. Viene dalla terra: anche
io, forse tutti noi veniamo dalla terra. È un giurista, attaccato al rigore dei
principi: anche io sono (ero) attaccato al rigore dei principi, e ho sempre
rifiutato ciò che sapeva di cavillo o artificio. Il personaggio del mio libro è
un politico prima che giurista: anche a me avrebbe fatto piacere fare il
politico più che il magistrato. Il personaggio non è, e non vuol essere uomo di
tutte le stagioni, pronto a cambiar casacca secondo il vento spira: anche io ho
cercato, nei limiti del possibile, di tener la schiena sempre dritta. Non è
uomo di potere, non è uomo di danaro. Lascio a chi legge il compito di
giudicare se e quanto mi somigli. E veniamo al secondo protagonista. Lo
definirei l’uomo del dubbio, l’uomo che non ha certezze. Anche io sono stato
l’uomo del dubbio, sono stato e sono un uomo che non ha certezze. Nel mio
mestiere: convinto com’ero, lo sono tuttora, che ragione e torto non si
dividono mai di netto, e che la verità delle carte è ben diversa dalla verità
vera, sottostante e nascosta alle carte processuali. Nella mia vita: il dubbio
essendo parte di me, al punto tale che potrei dire, copiando Sant’Agostino,
dubito ergo sum, o qualcosa che vi si avvicina. Ma bando alle litanie. Mi
servivano solo per dire quanto mi somigliano i protagonisti del libro, quanto
nel libro v’è di autobiografia. Perché non vi è libro di narrativa che non sia
autobiografia.
Anche il
romanzo ‘storico’?
Certo: anche il romanzo ‘storico’, ammesso e non
concesso che La casa sul poggio sia un romanzo ‘storico’. Non citerò Manzoni, e
i suoi Promessi Sposi, che sono il primo e il più famoso dei romanzi ‘storici’,
dove numerosi sono i personaggi costruiti a misura dell’Autore. Farò l’esempio
di uno scrittore più recente, anzi di una scrittrice. Dacia Maraini e La lunga
vita di Marianna Ucria. Non vi è critico letterario che, a proposito di
Marianna Ucria, non abbia parlato di romanzo “storico”. Pure, nella collana dei
grandi romanzi italiani pubblicata qualche anno fa a cura del Corriere della
sera, Isabella Bossi Fedigrotti, una che di romanzi se ne intende, ne fa un
romanzo autobiografico, identificando nell’autrice la protagonista del romanzo,
e nelle vicende narrate esperienze proprie dell’autrice. Questo per dire che
non vi è romanzo che non sia autobiografia. Che anche il romanzo ‘storico’ può
essere autobiografia. Che anche un libro metà saggio, metà romanzo come io preferisco
definire “La casa sul poggio” può essere autobiografia.
Michele Di
Lieto: “La casa sul poggio”. Se lei dovesse fare una raccomandazione a chi si
accinge a leggere il libro, che cosa gli direbbe?
Bella domanda. Me la potrei cavare invitando il
lettore a leggere il libro: tutto il libro. Ma, poiché La casa sul poggio è
fatto di Storia vera e di storie false, a non saltare la parte di Storia vera.
Che è la Storia della repubblica partenopea del ’99, una delle pagine più
gloriose della storia del Meridione, è la Storia delle migrazioni di fine
ottocento, che tanto serve a capire fenomeni migratori a noi vicini, è la
Storia degli anarchici del New Jersey, socialisti, idealisti, utopisti, come il
personaggio che mi somiglia. Ma, soprattutto, inviterei il lettore a una
riflessione attenta sulla quarta parte, che io ho voluto intricata, piena zeppa
di riferimenti tecnici, o politici, o giuridici, solo per indicare gli
intrighi, i cavilli, gli artifici, di cui è fatta la giustizia dei “poveri
cristi”.
A proposito
della quarta parte, il protagonista, Antonino Ognissanti, fa la fine di Coppi.
C’è un motivo particolare che giustifichi il ricordo di Coppi?
La ringrazio della domanda. Perché il ricordo di Coppi
è uno dei tanti ricordi che affiorano dalla vita dello scrittore, e ha
anch’esso un contenuto autobiografico. Quando è morto Coppi, agli inizi del
’60, io ero ricoverato, e mi dibattevo tra la vita e la morte in una stanza
d’ospedale per una epatite virale che tutto era fuorché epatite. Il ricordo di
quei medici che, giornali alla mano, facevano i sapienti e cantavano messa (così
si chiamava il primario del reparto) per la sorte di Coppi, mentre non
riuscivano a risolvere il mio caso, che era quello di una appendicite quasi
peritonite, mi rimase impresso. Al punto tale che, per il mio protagonista, ho
scelto quella morte, o una morte che le somiglia. E anche questo è
autobiografia.
Lo scambio
di idee può dirsi terminato. La ringrazio.
Ringrazio lei, ringrazio Milena Esposito per la pazienza
che ha avuto, per la cura che mette in ogni libro edito da L’Argolibro. In
bocca al lupo per me, per la casa editrice, e così sia.
(intervista a cura di Francesco Sicilia)
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