Autrice: Monica Fiorentino
(tratto da _l’allodoladallepiumescalze)
Lettera 21.
“Caro Hermes,
come vorrei che questi petali di
ciliegio che cadono così lievi adesso, potessero ricoprire col loro manto le
brutture di questa guerra. Questo mondo di creature perennemente in lotta fra
loro.”
Osservava la giovane Nausicaa, la
pioggia di fiori mossi dal vento, a cadere dietro i vetri della sua finestra,
stretta nella sua veste bianca e le braccia conserte, perdendo lo sguardo oltre
il buio della città addormentata.
“Come sarebbe bello se questa coltre
rosa potesse fungere stanotte da velo separatore, da silenzio, da pace, da
ri-costruzione; portando con sé di nuovo la serenità di notti di luna, di
sogni, di fuochi in cielo che non fossero di bombe, cancellando l’eco in
lontananza di pianti di morte e urla disperate”
Abbassò gli occhi, legando i suoi lunghi
capelli rossi, sistemandoli a modo, sollevandoli alti sulla nuca, lasciando
libera la sua schiena liscia, vuota di piume scalze, triste; cullata dal sonno
beato del suo fedele cagnone lì accanto.
“Come sarebbe bello se si potessero
udire di nuovo i grilli e le cicale come una volta, ad annunciare la primavera,
e l’aria potesse tornare a profumare ancora di viole e fiori d’arancio. Senza
dover più drizzare l’orecchio, teso, al richiamo del nemico ad avvisare col suo
incedere, il proprio passaggio di devastazione e massacro, nella folle,
insensata corsa verso l’ultimo fucile da imbracciare, per ripartire.”
Giunse i pugni sulle sue matite sparse
alla rinfusa, sulle immagini di petali rosa e cremisi incollati ai resti di
carne umana esposta allo sguardo per le strade, cadaveri ammassati, pullulanti
di mosche e sciami d’api, fermo-istante di labbra riarse, sdentate, cervella
schiuse a impastarsi con la polvere senza riguardo alcuno, tranci di sparute braccia
violacee spalancate a croce lungo marciapiedi a far da cimitero senza nome “Come sarebbe bello…”
Nel modo di una stilettata, di colpo, un
dolore sordo le trapassò il petto facendola fremere, e lente le sue dita
tremanti, presero a carezzare quel respiro sconosciuto, dolcemente, con
delicatezza infinita, con cura lungo tutta la sua riga, portandoselo al seno -
furioso a battere di sofferenza infinita - scaldandolo col proprio fiato,
affondando dentro quei sospiri, chinandosi d’istinto a poggiarvi le labbra.
Un’altra anima era salita al cielo, fra lamenti di preghiere e rose. La guerra
mai sazia aveva bevuto ancora altro sangue, divorando della carne che le veniva
offerta, in sincrono respiro e cuore; lei poteva sentirlo quel rantolo, aveva
imparato a riconoscerlo, ad accompagnare il trapasso con cautela. Lenta segnò con un punto fermo l’ennesimo haiku, in
blu, assieme agli altri che raccoglieva in un quaderno a righe col nome di
“Lettera Ventuno”, riproponendosi un giorno di pubblicarne l’intera collezione Senza sangue / la musica del silenzio/ una
lacrima, lasciando l’inchiostro ad asciugare sulla carta.
“Come lo desidererei…”
Quanto tempo avrebbe potuto dormire quella notte, prima che il segnale
d’allarme avesse preso a trillare ferocemente invitandoli al risveglio? E a
dover chiudere lei, tenera allodola, il suo corpo di donna, in un logoro
scialle per fuggire? Chiuse di lontano lui
i suoi occhi, due braci viola di dolore acceso, ripiegandosi fra le sue
piume, muto. La notte non era fatta per la guerra, e il cielo per ospitare la
rabbia degli uomini …
Del desiderio. Potrebbe intitolarsi
anche così, il nuovo capitolo della storia raccontata con dovizia di
particolari e con ampio respiro da Monica
Fiorentino.
Nausicaa continua a registrare gli
orrori della guerra, sa che deve scriverne perché è l’unica ragione di vita in
un mondo votato all’odio e quindi alla morte. La scrittura artistica può e deve
essere baluardo contro il disfacimento, lei lo sa.
Monica Fiorentino investe tutta
la sua (grande, immensa) forza artistica nella contrapposizione odio/amore,
pace/guerra, facendo notare al lettore le sostanziali differenze.
L’istintivo chinarsi su labbra ormai
inerti è un fermo-immagine”
meravigliosamente potente”, nel descrivere la differenza tra vita e morte, tra
l’esserci e l’assenza dolorosa che è l’unico effetto duraturo dell’odio.
Della stessa autrice: Adrian
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