domenica 17 aprile 2016

Luciana Capo per "I Borghi dei Misteri"


Ecco la recensione che la Professoressa Luciana Capo ha scritto in occasione della presentazione de “I Borghi dei Misteri” di Gennaro Guida per la Rassegna “Storie di Sera al Serenella”. Qui trovate le foto dell’incontro, qui la pagina dedicata al libro e qui la pagina Facebook dedicata.

Nel leggere l’opera di Gennaro Guida, “ I Borghi dei Misteri”, si ha la sensazione di contemplare degli acquerelli “fotografici” dove il repertorio è così vario che ci permettono di compiere un viaggio nel mondo magico e perduto del Cilento, fra piazze e vicoli, acquerelli che fanno percorrere ampi spazi, che consentono di sbirciare nelle abitazioni attraverso gli austeri portali, che ci fanno soffermare alle fontane pubbliche tra gli edifici, forse, sacri, che ci conducono per le strade toccate da un’atmosfera rarefatta e affascinante, che fa immaginare conversazioni quotidiane o una raccolta di fiori ; tematiche semplici ma ricche di sfarzo e voluttà storica.
Un Cilento, quello dell’autore, legato ad un tempo psicologico, al mito , alla magia e la sua è un’operazione, non di memoria , che sarebbe riduttiva, ma un riconoscimento, anzi, l’accesso ad un giacimento di storie che sono nell’anima dell’uomo e nelle sue radici.
In un secolo molte opere cadono o vengono ricordate, soltanto, come esempi di una evoluzione letteraria, il libro di Guida rientra in un’altra categoria: quella dei libri che segnano un momento della coscienza letteraria e che mantengono anche dei valori maggiori e sono testimonianze.
In effetti “I Borghi dei Misteri” è molte cose insieme: è la storia di una terra che diventa protagonista.
Egli adopera un registro che ricorda i Naturalisti francesi, evitando, però, i colori accesi e riducendo le occasioni memorabili; ha preferito limitare la sua ricognizione all’atmosfera, alla impossibilità di avere grandi sogni, ci ha fatto toccare il grigio e l’indistinto, a volte, ha tratteggiato un sentimento di rinuncia imposta dalla realtà e diventa il cantore del quotidiano, ma si tiene lontano dalla filosofia dell’uniforme ed opta per la poesia che vive ad ogni angolo del Cilento, per entrare in una vita depurata e alla fine trasformata.
Ogni parola del libro travolge il ritmo e le ragioni del quotidiano; e il suo viaggio diventa la nostra esistenza che , attraverso la bellezza di filtri e alambicchi, riesce a trovare una spiegazione e , forse, una verità.
Attraverso le storie, il canto, di un popolo, sommesso e , a volte, spento dalla rassegnazione interiore, l’autore, trova un registro più alto e solenne, la parola di sgomento si trasforma in un grido di dolore, il rifiuto dell’azione e il senso della impossibilità diventano proposito fiabesco di ridurre l’uomo normale a una specie di superuomo, in grado di vincere il dolore.
Ricordo Mallarmé, che nella sua opera “Igitur” pensava che il poeta, il portatore di poesia, potesse ambire alla sostituzione di Dio e avere e dare delle sensazioni inedite; vale l’esempio italiano di D’Annunzio , che voleva fare della vita una favola inimitabile.
A tal proposito il libro di Guida ha, a mio parere, qualcosa di profetico, nel senso che, riassumendo le grandi delusioni, le stanchezze, la fragilità morale di un momento storico, ha avanzato una proposta forse paradossale, ma che comunque appare accettabile: modificare la prosa del quotidiano e renderla audace, è in fondo, la vittoria della creazione, delle fate e della seduzione, sulla ripetizione catalogata e codificata di storie inerti e spente.
A me, sembra, sia la storia di questo Faust del Cilento che ha rivendicato un posto per l’anima e ha restituito all’uomo una dignità maggiore.
Il Naturalismo, si è illuso di ridurre l’uomo a un congegno, il cui segreto è nei principi dell’ereditarietà e dell’ambiente; Guida, con la sua fiaba, ha ricordato che nella composizione c’è qualcosa d’altro e che lo si può esprimere in cento modi diversi, ma sempre sapendo che dietro lo scenario, c’è qualcuno che ci aspetta, lo scrittore è andato ancora più in là, ha intravisto qualcuno che esige una risposta.
L’autore nel suo viaggio ha ridato colore alle orchidee bizzarre e taciturne, ha ridato alle gemme la loro simbologia cristiana cosparsa di malinconia e lacrime ed ha risposto al suo bisogno di respirare aria pura, di scuotere i pregiudizi spezzando i limiti del romanzo tradizionale, di farvi rientrare l’arte, la scienza, la storia, di sopprimere l’intreccio, persino la passione e l’amore, rischiando, anche, di dare alle fiamme quello che si è adorato (Zola).
Tutto il romanzo, con le sue vicende, la sua magia, la sua suggestione è come l’ombra di Erodiade di Mallarmé (“L’epilogo azzurro”) che si dissolve leggera, lasciando intravedere una statua ancora bianca, in un braciere di gemme spente: “O specchio – Acqua fredda, gelata nella tua cornice - Quante volte e per ore intere, cercando i miei ricordi che sono come foglie sotto il tuo vetro, sono apparsa a te come un’ombra lontana. Ma qualche sera nella tua severa fontana, ho conosciuto la nudità del mio sogno disperso”.
L’opera di Gennaro Guida ha maturato un profondo interesse per la propria terra e un desiderio di respirare l’istinto possente di una conoscenza che non può e non deve essere piegata in vecchi paradigmi ma deve fiorire nella integrità e nella fiamma di una vita appassionata.

Professoressa Luciana Capo 

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