venerdì 13 febbraio 2015

I RACCONTI DI VENERdì - Elisabetta Mattioli



Il ricordo di un salice (piangente)

Nella villa in cima alla collina il giardino era curato nei minimi particolari, nulla poteva essere lasciato all’incuria, anche la pianta più insignificante era considerata alla stregua di un’orchidea pregiata. Ogni mattina Rodolfo, l’abile giardiniere, si alzava molto presto e cominciava il lavoro, impegnandosi fino allo stremo delle forze, senza interessarsi delle stagioni, nulla poteva fermarlo, nemmeno la pioggia battente…
Se doveva terminare la mansione affidatagli dai datori di lavoro, rimaneva nel giardino assieme alla sua fedele zappa, indossava i robusti stivali di gomma, la camicia marrone a scacchi, i pantaloni mimetici, oltre a un ingombrante cappello giallo. Nell’aria si sentiva il rumore sordo dell’attrezzo, immerso nella terra, che diventava ancora più pesante a causa dell’acqua; senza il minimo cedimento il buon Rodolfo continuava a combattere contro le zolle, solamente dopo aver finito riposava le stanche membra sotto un albero. Trascorsi sessantun minuti, si destava dal sonno, sgranchiva le gambe e ripartiva più baldanzoso che mai verso la prossima mansione.
Il nome dell’albero pregiato era il preferito di Rodolfo e il muto testimone di un antico ricordo, si trattava di un…
Un meraviglioso salice, che da tanti anni era l’attrazione principale dei proprietari della villa; ovviamente il giardiniere (non più giovane, per rispetto non vi dirò l’età) l’aveva notato subito, quando era stato assunto, dal Signor Cabaccini, il futuro padrone di casa. Rodolfo rimase subito colpito da quello strano albero, non eccessivamente maestoso rispetto ai giganteschi abeti presenti nel parco della villa, però capace di trasmettere un’insolita allegria  per chi lo vedesse, in controtendenza al suo infausto nome. Una volta terminato il lavoro intorno al giardino, Rodolfo faceva una piccola siesta ai piedi del salice, appoggiando l’ingombrante cappello giallo sulla faccia, fischiettando di tanto in tanto.
Durante una siesta sentì il rumore di passi a lui non conosciuti, vide volare via il cappello giallo: una ragazza vestita con una camicetta azzurra, glielo aveva strappato e stava ridendo di lui. Invece di arrabbiarsi, Rodolfo guardò nei profondi occhi color nocciola della ragazza, ne rimase incantato, fino al punto di non proferire nemmeno una parola.
La giovane disse di chiamarsi Clarissa e si allontanò da lui con passo veloce. Il giorno seguente Rodolfo venne a sapere che si trattava della nuova cameriera assunta dal Signor Carabaccini, quindi decise che l’avrebbe conquistata a ogni costo.
Purtroppo i primi tentativi furono fallimentari… All’inizio del corteggiamento, investì la ragazza con frasi inerenti alla sua bellezza, ponendo l’accento sulla meravigliosa chioma castana, paragonandola alla Dea Artemide, mentre gli occhi nocciola erano talmente profondi da essere simili a una grotta in Slovenia. La bella Clarissa non fu scalfita. Ascoltava in silenzio il povero uomo innamorato; solo dopo avere udito quelle parole, lo guardava negli occhi, si metteva a ridere e tornava al lavoro.
Il secondo tentativo consistette nel ricoprire la ragazza con profumati gigli, che ordinava dal migliore fioraio di sua conoscenza. Pur di avere i fiori, il povero Rodolfo spendeva quasi la metà dello stipendio, ma il risultato non cambiava e Clarissa, invece di apprezzare il gesto, fissava nuovamente l’uomo negli occhi, dopo strappava davanti a lui ogni petalo, gettando il resto dei gigli dentro il cestino dei rifiuti.
Rodolfo era disperato, a quel punto non sapeva veramente dove sbattere la testa… Fu allora che gli venne un’idea: inforcò la Cinquecento azzurra e andò in banca, dove aveva depositato su un conto corrente tutti i suoi risparmi. Ritirò circa la metà del denaro, corse immediatamente dal miglior gioielliere della città. Guardò avidamente tutti gli anelli in vetrina, però non trovo nulla in grado di colpire la sua attenzione. Fu allora che si armò di coraggio ed entrò nel negozio, chiese al proprietario di mostrargli gli anelli più belli che aveva. Il negoziante mise davanti agli occhi di Rodolfo un anello tempestato di brillanti e zaffiri. Il giardiniere se ne innamorò, gli costò quanto la cifra prelevata in banca.
Però amara fu la sorpresa quando Rodolfo diede il gioiello a Clarissa. Invece di esserne felice, tirò il prezioso anello in testa al corteggiatore, che incassò stoicamente il colpo e rimase zitto, sotto la risata gracchiante della donna, che si allontanò da lui.
Giunti a questo punto, qualsiasi uomo si sarebbe arreso, peccato che Rodolfo fosse di altra idea. Un giorno condusse la ritrosa Clarissa ai piedi del salice e…
L’innamorato giardiniere prese la ritrosa Clarissa tra le braccia, la strinse forte al petto, fino a quasi non farla respirare, baciandola con tutta la passione, quando le chiese per quale motivo, non si fosse ribellata, lei rispose che il suo uomo, doveva essere capace di farla stare zitta…
Ora capite perché il salice era l’albero preferito di Rodolfo.


Elisabetta Mattioli ci regala una nuova favola, deliziosamente immersa in una contemporaneità che il lettore non fa fatica a sentire vicina, prossima. La struttura di fondo è semplice, e da essa si diramano infinite sfumature che ci rendono sempre più partecipi della “piccola” storia Rodolfo e Clarissa.
Le dinamiche amorose sono ben chiare, nella mente di chi scrive, e illuminante è anche l’accostamento alla natura “addomesticata”, plasmata dall’uomo che è consapevole della propria forza. Elisabetta Mattioli ci presenta una protagonista femminile apparentemente capricciosa, in realtà anche lei consapevole dei propri desideri.
“Il ricordo di un salice (piangente)” è lettura molto godibile, piacevole, una nuova prova di bravura dell’autrice.

Per contattare l’autrice:  elyamatty@gmail.com

Della stessa autrice: Mary e Alexis

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