mercoledì 6 ottobre 2010

IL CIELO IN UNA... STRONZA: racconti dal 45 al 76

Racconto numero 45

Supermercato. Tuta. Angolo con gli scaffali delle birre.
C'è una coppia in mezzo alle corsie, ferma. Mi scanso. Li schivo. Mugugno.
Si baciano.
Io sono di fretta. Sudata. Stufa.
Allungo l'orecchio, sono americani.
Lei come un'erica , mollemente si appende alle sue braccia, e bella.
Sembra un po' tonta.
Ringhio, contro gli americani. Il caldo. La tuta.
Sono felice che siano scemi e riformino il solco sul mio callo intollerante.
Come a una scema, lui le dice di spostarsi.
Giovani palpebre si sollevano molli.
Pupille castane mi sfiorano. La tuta e i capelli unti.
Alla cassa, sono dietro di me.
La guardo. Poi la fisso. Mi sembra giovane. E ancora più bella. La sua presenza esaltata dai tre maschi, due goffi e spaesati.
Acqua, patatine, gomme allo xilitolo.
Ha occhi nocciola grandi. I capelli lunghi. Morbidi, cadono mossi con bellezza semplice sul vestito crema (delizioso), maniche a sbuffo e fascia ocra in vita.
Ostento. Lo sguardo.
Gambe depilate. Abbronzate, snelle.
Una borsa rossa patchwork sul braccio, stile hippy-chic, che fa molto fashion.
La contemplo, la rimiro, la scruto, la esploro. Lei mi fissa.
Mi sento vecchia, sudata, malconcia.
Il suo ragazzo è il più bello.
A fine agosto, dove vanno cosa fanno cosa cercano in questo paese smarrito sulla destra del fiume e senza capire una parola di italiano.
Non sopporto il suo accento americano, ma non riesco a smettere di guardarla.
Anche lei mi guarda. Spudorate. Il resto intorno sfuma.
Pago. Esco. Mi segue.
Civettuola, si appoggia in cedevole attesa contro la sbarra dei carrelli.
Io salgo in macchina e accendo la musica. A palla. Morrissey gorgheggia e io con lui, per lei, a dirle che capisco la sua lingua.
Languida, mi osserva. Io metto in moto e vado via.
Abbiamo una cosa in comune, lei e io: 3 uomini. E non volerne nessuno.
E non c'è un cazzo da ridere.

Racconto numero 46

Non si poteva chiamare Romeo, non si poteva chiamare Tristano, né tanto meno Lancillotto. Lei l’avrebbe di sicuro paragonato all’Ulisse di turno. Perché lei odiava Ulisse. Questo disgraziato maledetto, giramondo, con la smania di sfidare gli dei senza preoccuparsi delle ire, delle tristezze, delle disperazioni della moglie. Ecco, Ulisse, il suo Ulisse, era così. Era interessato alle sue glorie, alle sue verità, alle sue aspirazioni e mai una volta che voltasse la testa per rendersi conto se nella sua marcia travolgente verso il mondo, qualcuno si fosse ferito. E lei, Penelope, restava ferita molto spesso: dalla sua sincerità spietata, dal suo realismo cinico, dai suoi umori altalenanti. Penelope non sapeva difendersi, non sapeva sorvolare su nulla, soffriva di tutto perché tutto amava di lui, della loro vita insieme. Per tanto tempo aveva atteso il colpo di scena, aspettava che lui aprisse gli occhi, la vedesse, capisse che Penelope come lei al mondo non ce n’erano più, che stava sprecando la sua unica carta vincente. Ulisse un giorno partì davvero, per una delle sue conquiste, per chissà quale impresa. Fu come svegliarsi da un lungo sonno. Era come se Penelope avesse vissuto in una pellicola dei primi del ‘900 e adesso si rendesse conto che nulla era stato reale. Ulisse tornò, con la voglia di vederla, di amarla, di rifugiarsi in lei. Nonostante ciò che lei credeva, lui era pazzo della sua Penelope. Bella, rassicurante, fedele… Ulisse tornò e lei ancora tutto amava di lui, della loro vita insieme. Quel “lui” però, non era più Ulisse.

Racconto numero 47

Ho sempre amato la musica, che ha fatto da sfondo e accompagnamento a tutti i momenti, belli o brutti, della mia esistenza. Anche adesso, mentre vado a lavoro sballottato in metro tra mille volti sconosciuti, ho l’i-pod che riproduce in maniera casuale i miei brani preferiti. Le dolci note de “Il cielo in una stanza” portano alla mia mente il volto di mia moglie, non com’è ora, ma quello di cui mi sono innamorato: capelli lisci e lunghi, occhi ridenti, bocca morbida e niente trucco. Quando eravamo insieme non c’era solo il cielo in una stanza, ma il mondo intero. La sua voce gentile mi sussurrava “amore mio”, “tesoro”… e poi pian piano le paroline sono diventate parolone, e poi parolacce, mentre con uno strano effetto di morphing la bocca si è assottigliata e si è serrata, e lo sguardo ha assunto una sfumatura di insofferenza e disapprovazione per tutto ciò che mi riguarda. E’ capace di farmi sentire uno scolaretto sempre sotto esame! Non so cosa ha ucciso il suo amore per me. Non so quando è successo, è stato un processo lento, una goccia dopo l’altra, un giorno dopo l’altro tutta la passione e lo slancio sono scomparsi, puf, svaniti. Ho provato a ricreare le atmosfere, ho seguito tutti i consigli rubati alle sue riviste per ravvivare il rapporto, ma niente. A pensarci bene, però, il suo disamoramento è andato di pari passo con l’avanzare della sua sfolgorante carriera e la frequentazione di quel Giorgio, il suo “team leader”, col macchinone e gli abiti firmati. Io sono rimasto fedele al mio grigio e anonimo lavoro di impiegato statale, invece. Chissà se è un caso che ora Gino Paoli abbia lasciato spazio alla voce di Masini e alla sua “Bella stronza”… Ecco, con un bel lucchetto enigmistico, l’epitaffio che può riassumere tutta la mia storia: “Il cielo in una…stronza”!

Racconto numero 48

Ancora qui!
La macchina in doppia fila “per paura che passino gli ausiliari della sosta” – dice lei.
Io l’avrei lasciata tranquillamente nelle strisce blu.
“Non vale la pena spendere un euro per pochi minuti” – dice lei.
Pochi minuti? Ogni volta che la accompagno in un questo negozio non si sbriga mai prima di venti minuti mezz’ora.
“Ho perso un po’ di tempo ma sai come mi piace piacerti.” Sarà. Io so che se ne esce ogni volta con una semplice magliettina, un top o qualche canottierina. Vorrei capire se devi provare un vestito, ma quanto ci vuole per vedere una maglietta? Misteri femminili. E poi la cosa che non capisco è perché dobbiamo venire qui una o due volte la settimana per comprare ogni volta un solo indumento.
“Se ti piacciono – le ho detto – compra tutto una volta e ci leviamo il pensiero. Tanto la carta di credito è la mia.”
“Si vede che non capisci niente” - mi dice lei – “Visto che non vuoi spendere tanto lasciami almeno il piacere di fare shopping ogni volta che mi viene lo sfizio”.
Sì, lo sfizio. Come se poi comprare da vestirsi debba essere uno sfizio e non un semplice modo per non andare in giro nudi. Il primo quarto d’ora è già passato. Fammi fare almeno una telefonata a Francesco, vediamo se riusciamo ad organizzare per il calcetto sabato sera.
“Cazzo, è partita la chiamata a mia moglie. Speriamo non mi freghi la telefonata… No, ha risposto! - “Sì, sì, dai!” - Ehi ma questi lamenti…
E’ la sua voce…
Spengo. Sono scioccato! Meglio calmarsi… potrei commettere qualche pazzia. Apro il portafoglio: prendo gli ultimi scontrini della carta: lunedì € 25, mercoledì € 15, sabato € 18, l’altro mercoledì € 17, il venerdì € 23 …
Sempre in questo negozio di merda.
Ecco a che serve la tracciabilità: a capire tutte le corna che mi ha messo quella stronza.

Racconto numero 49

Una stronza.
Questo sì che è un concorso facile.
Parlare di una stronza. Chi non ne ha mai incontrata una?
Bene, quindi ispirerò la narrazione su qualche stronza incontrata nella mia vita. L’elenco è sicuramente illimitato.
Comincio dai tempi più recenti. La moglie, no. Non è stronza, se lo fosse, sarei stato scemo io a sposarla.
La mia “ex” storica, Giovanna. Ecco, quella sì che meritava quel genere di appellativo, infatti, era stata lei a lasciarmi... forse perché ero uscito con la sua migliore amica.
Non ci siamo.
Rovistando nei ricordi mi sovviene Sara.
Sara. Lei sì che mi aveva trattato male. Mi aveva persino chiamato “mammone” davanti a tutti gli amici. Solo perché il nostro anniversario capitava proprio il giorno in cui era nata mia madre. Non avrei dovuto più festeggiare il compleanno della mia mammina? Ma forse, in fondo, non era tutta colpa sua.
Ecco, ora ricordo, Lia.
Lei era davvero una stronza, Il giorno in cui le avevo detto che tra noi era finita aveva pianto come un vitello, per farmi sentire in colpa. E mi aveva telefonato per un mese di fila. Poveretta, credo mi volesse bene davvero.
Va bene, andiamo al passato remoto. Laura. Quella non aveva mai voluto darmela! Forse perché avevamo dodici anni.
Più indietro ricordo solo la bambina che mi toglieva il cappottino alle elementari. Non mi sembrava cattiva.
Non riesco a trovare una donna abbastanza stronza nella mia vita per scrivere il racconto.
Sono un uomo veramente sfortunato.

Racconto numero 50

Ma come è possibile! Sono finite tutte le scorte di viveri,scatolame vario e surgelati. I pranzi vengono direttamente da “Lucia a’ cinese”.
Ma perché?
Come perché: il CONCORSO!.
Ci risiamo: il concorso. Amm fernute e campà!
“Tesoro, la colazione la fai al bar”?
A pranzo: “Scusa caro, non ho avuto tempo, ho meno di un mese per il CONCORSO,ti ho preparato una bella fettina”.
A cena: “Buonissimi i bastoncini, vero caro”?
E poi:Mozzarella-Rosticceria sotto casa, Tir di tonno in scatola, Scatole di spaghetti precotti, minestroni e tutti gli altri tipi di surgelati,compreso qualcosa che si chiama Pancazzio, la cui sole sillabe finali mi fanno avotare o’ stomaco ed anche le basse appendici! Ma vire se alla mia età m’ attuccava pur’o Pancazzio!
La prima settimana il fisico ancora regge, ma lo spirito deve subire la prova di “CHE TE NE PARE DI QUESTO RACCONTO”? 2 dopo pranzo,2 dopo cena,2 la mattina verso le quattro e 2 alle otto: la notte mica si dorme!
Dopo 15 giorni, la sua vena artistica si sgonfia e a me s’è abbuffato o’ fegato per i pranzetti che mi ha preparato la cara mogliettina. Alla terza settimana mia moglie è posseduta da tutte e’ sette le muse. Ha messo luci rosse in tutta la casa per l’atmosfera creativa,la mia pelle è diventata verde,il medico ha detto che devo mangiare in bianco,oltre al fegato s’è abbuffato pur o’ riesto,mi ricoverano in ospedale.
…Sto meglio,adesso sto meglio,sono sopravvissuto,è quasi primavera, fuori al terrazzo il calore del sole rianima.
Un urlo: “Un nuovo concorso”!!Mi viene vicino.”Questa volta faro’ la PRIMA”. Si avvicina, agitando la cartolina del concorso,l’abbraccio,la sollevo…”Cara, ci penso io a farti fare la prima STRONZA IN CIELO…E VAI!

Racconto numero 51

Incontrare i vecchi amici del mio fidanzato non era l’attività che preferivo per quel sabato a pranzo.Con un bel sorriso stampato ascolto tutti i loro ricordi, uno dei suoi amici è un figo da perdere la testa! Sono tutte storie che conosco già, ma io come una perfetta fidanzata ascolto come se fosse la prima volta. Poi arriva il momento in cui si parla di lavoro. Immaginate tre architetti che parlano dei loro progetti. Non si sa chi la spara più grossa! Io mi stupisco di tutto, e faccio i complimenti a tutti. Il figo è sempre più bello e ascoltarlo mentre racconta balle fin troppo evidenti è un piacere. Poi arriva il momento di lasciarli da soli. Me ne vado sapendo già che chiusa la porta del bar inizieranno a parlare di me, vorrei essere una mosca per ascoltare tutti i discorsi da maschi, lo vorrei da impazzire. Appena svolto l’angolo Puff!!! In un attimo, mi sento come se vibrassi nell’aria, mi volto e vedo riflessa nella vetrina una piccola mosca nera, che svolazza e si muove come mi muovo io, quella mosca sono proprio io! Il mio piccolo cervello di mosca “femmina” mi spinge dentro quel bar, devo e voglio a tutti costi ascoltare quei tre. Arrivo giusto quando iniziano a parlare ... non di me! ma della commessa della libreria sotto casa nostra! Quegli stronzi stanno parlando dell’amante del mio fidanzato! Bastardo! Bastardi tutti e tre! Volo fuori dal bar e mi dirigo a tutta velocità alla libreria non prima di essermi rotolata su una merda. La vedo dalla vetrina. E’ bionda, alta ed ha le tette grosse che al mio fidanzato non piacciono per niente! Che culo sta bevendo un caffè macchiato caldo, mi ci butto a capofitto! Galleggio nella schiuma soddisfatta, sperando che mi sputerà fuori disgustata. Ma all’improvviso un dito mi solleva. Riconosco la voce del mio fidanzato “Che schifo!”
SCIAFF!

Racconto numero 52

Dal primo momento che l’ho visto ho perso completamente la testa. Non perché fosse bello, semplicemente qualcosa mi aveva fatto pensare che fosse l’uomo della mia vita solo scambiandoci uno sguardo! Se solo le mamme dicessero alle proprie figlie che quando sentono questa sensazione è perché hanno di fronte uno psicopatico e la cosa che dovrebbero fare è correre il più lontano possibile senza mai guardare indietro si eviterebbero molti drammi! Purtroppo, per colpa di Walt Disney, ho sempre pensato che vedere le stelline e sentire i cuoricini fosse il segnale dell’innamoramento e non dell’avere un tumore al cervello che produce allucinazioni. Giuro che se mai dovessi avere figli gli farò vedere Grey’s Anatomy al posto di Cenerentola!
Dopo aver conosciuto Alfredo vorrei conoscere Cupido. Prometto solennemente che mi tratterrei dall’ucciderlo. Non sarebbe giusto nei confronti di tutti quei poverini che ancora credono alle favole e non hanno ancora scoperto che se questo dolce bimbo con riccioli dorati e ali sia un puttino ci sia un motivo! Quello che voglio chiedere a Cupido è se è vero che cosi come ci si innamora perdutamente in tre minuti questo funziona anche al contrario e se, come sospetto, ciò non è possibile, vorrei sapere perché mi lancia le sue frecce ogni volta che vede uno psicolabile. Cupido io sono una linguista non una psicologa!
Innamorarsi e disinnamorarsi? Non credo esista neanche questa parola eppure è questo ciò che mi è successo: ieri ti amavo, ma oggi ho cambiato idea…e non puoi neanche dargli del bugiardo e dell’infame perché quando un uomo ti dice “Ho voglia di stare solo” e “Non cercherò più donne da adesso” vuol dire che vuole stare solo con quella che ha appena trovato…nonostante tutto è onesto.


Racconto numero 53

Entri nel gioco e rischi tutto, ma quando ti rendi conto che la fortuna non premia gli audaci è già troppo tardi per uscirne. E, soprattutto, ti rendi conto che non è un gioco.
Il mio si chiamava Chiara. Difficile non innamorarsi: i suoi lineamenti morbidi, le sue gambe di una scultura antica e la sua delicatezza mentre suonava l'arpa muovendo le mani tra quella miriade di corde mi istupidirono. Era fatta, già nel momento in cui la vidi per la prima volta. Figuriamoci nel momento in cui la vidi per l'ultima.
In tanti dicono che ogni storia è un percorso per crescere, un lungo cammino da affrontare insieme, ma dopo due anni che camminavamo senza mai fermarci lei cominciava a essere un po' stufa. Voleva solo una pausa, probabilmente voleva fare pipì dietro a un cespuglio e riprendere a camminare con me. O forse voleva fermarsi in un autogrill, prendere un panino e una coca, spulciare tutto il reparto della cioccolata e comprare un paio di gratta e vinci. O forse nessuna delle due. Solo dopo intere settimane senza mangiare, interminabili giorni in cui ti reggi in piedi solo grazie a un instabile cocktail di caffè, sigarette, birra ed erba, ti rendi conto che quella che doveva essere una breve sosta alla toilette si era trasformata in una notte in albergo con colazione in camera e minibar. E, ovviamente, io non ero in quella camera. In quella camera con leipoteva entrarci chiunque. Ma non io.
Non è facile uscirne, ero come un giocatore d'azzardo ricoperto di debiti. Mi sentivo fottuto, fallito, disperato.
Imparai che la soluzione sta nelle piccole cose. Tirai fuori dal cassetto le sue foto, rividi quel volto che mi lacerava ogni volta che provavo a guardarlo. Mi venne in mente che lei soffriva di meteorismo e iniziai a ridere come un pazzo. Non sei una musa, per niente!

Racconto numero 54

Il giorno in cui la mia compagna mi chiese di sposarla, prima dissi di sì, perché era la cosa giusta da fare, poi uscii al volo da casa, volevo solo scappare. Pioveva, ero fermo al semaforo quando qualcuno salì in macchina senza essere stato invitato.
Mi voltai verso l'intruso, spaventato e infuriato, stavo per chiedere spiegazioni, ma il mio cervello si scollegò e restarono in funzione solo i miei occhi a contemplare quella visione. La ragazza si scostò il cappuccio della felpa inzuppata dal viso e capelli biondi ad incorniciare un viso dai lineamenti gentili, occhi scuri come cioccolata e una bocca talmente perfetta da farmi venire voglia di baciarla pur non avendo la minima idea di chi fosse, erano davanti a me. In altre e più esplicite parole, trasudava sesso dalla testa ai piedi.
Ora sono davanti all'altare, Mirta è felice e io invece corro. Corro fino fuori dalla chiesa e la vedo . Anita è lì, davanti a me, bella più che mai. Da dietro le mie spalle spunta Federico, ovunque un mormorio di voci, ma sopra tutte sovrasta quella di mio figlio.
_ Papà, questa è la signora che era con te ieri sera nel garage di casa nostra, vero?
E' giunto per me il momento di voltare pagina.
_ Mirta mi dispiace, io...
Una mano sulla mia spalla destra mi stringe e mi costringe a fermarmi, il mio migliore amico mi guarda e continua la frase per me.
_ Mi dispiace, ma non ho potuto farne a meno.
Mi oltrepassa, prende per mano Anita e se ne vanno via insieme.
E io rimango lì, come un cazzone, tra le urla dei miei genitori, le infamie dei miei suoceri scampati e le minacce della mia mancata sposa.
Rimango con le braccia abbandonate lungo i fianchi e il respiro irregolare, davanti alla chiesa, da solo, per aver preso la prima decisione della mia vita.


Racconto numero 55

Ironia della sorte, si era appena reso conto che lei, proprio lei, la sua dolce Maria, la sua affettuosa gattina, da più di un mese ormai se la faceva con il suo, ovviamente non più, migliore amico. Che follia! Un comportamento simile se lo poteva aspettare da una come Luisa: lei sì che aveva conosciuto (biblicamente si intende), mezzo mondo. Ma Maria, la sua dolce, soffice Mary. Da lei non se l’aspettava proprio. Era così teneramente apprensiva quando, il sabato sera, lo costringeva a rimanere chiuso in casa per paura che potesse infatuarsi di un’altra ragazza. Così tenera quando, ogni tanto, si voltava verso di lui stampandogli un bacio sbrigativo sulle sue labbra. Così gentile quando gli concedeva di passare qualche ora del suo preziosissimo tempo insieme. Così carina quando lui la guardava mettersi lo smalto sulle unghie dei piedi, mentre chiacchierava per pomeriggi interi, a perdi fiato e a non finire, con la sua migliore amica Luisa. Così amabile quando lo riempiva di teneri buffetti e di dolci pizzicotti. Come poteva pensare anche solo lontanamente che una ragazza così tenera, gentile, altruista come Maria potesse tradirlo? Era tutta colpa di Marco, il suo ex migliore amico: lui era il più bello della classe, il più corteggiato e desiderato. Lui l’aveva plagiata, questo era chiaro, e Mary aveva innocentemente ceduto al suo fascino. Poverina, così buona così gentile così innamorata di lui, quale colpa poteva avere lei? Come poteva condannarla per aver ceduto, e ceder ancora, al fascino di Marco? Lei non lo voleva veramente, lei in realtà amava lui. Forse non lo sapeva ancora. Ma lo avrebbe capito prima o poi. Forse.

Racconto numero 56

Sul mio muro c’è una scritta che dice “DA VICINO NESSUNO E’ NORMALE” e a seguito di attenta osservazione dopo la sequenza: ameba-ninfomane-puttaniere-intellettualerepresso-fedifrago, mi ritrovavo ad avere a che fare con PSYCHO.
Psycho con la P maiuscola perché è come un nome proprio, conquistato dopo ben due anni di attività da corteggiatore e qualche mese da ‘fidanzatino’, quando per finzione narrativa (sua propria, di vita, non del racconto) annunciò che doveva trasferirsi per lavoro in Cina. Ma dinanzi all’amore non c’è Cina che tenga! E infatti come scusa non tenne.
Da lontano tenero e imbranato, da vicino era un residuato bellico vestito da super-giovane con improbabili calzoncini a quadri.

C’era il mare, un tramonto, la musica di merda del chiringuito e Psycho con la sua solita faccia da t-shirt di American Apparel: One Size Fits all. Un’espressione monotonica per tutte le situazioni, anche per quando ti mandano a fanculo. “Quella faccia un po’ così quell’espressione un po’ così che abbiamo noi” quando non abbiamo capito un cazzo.
In quel momento invece io ho capito benissimo, che pure Psycho mi aveva insegnato una lezione importante: l’amore fa strani scherzi ma se uno è brutto è brutto. Che se con certe persone per cogliere l’essenza pregnante della loro stronzaggine bisogna raschiare la superficie, con altre basta fermarsi all’apparenza.

Poi tra musiche caraibiche, navi da crociera e mamme col carrozzino sotto il sole di luglio, come un salvifico cubetto di ghiaccio sulla fronte madida arrivò il pensiero del nostro romantico viaggio in Norvegia, della neve. Ma non di passeggiate mano nella mano e fiordi ghiacciati. No. Ho proprio pensato alla neve, perché poi è vero quello che dicono dalle mie parti: alla squagliata da nive se vidan’ i strunzi.

Racconto numero 57

Oggi festeggio con mia moglie 50 anni di matrimonio. Anni felici tutto sommato, con alti e bassi, com’è normale. Ma ho un dubbio che devo togliermi, sono vecchio, tra non molto tempo morirò, e non voglio portarmelo nella tomba. Sono oggi riuniti i nostri sei figli, e le loro compagne, e tutti i nostri nipoti. E’ proprio una bella festa, di quelle che ti riempiono il cuore.
Prendo mia moglie in disparte e la porto in veranda, sullo splendido sfondo della città illuminata.
- Cara ...
Le prendo una mano e dolcemente l’accarezzo. Lei mi guarda con un sorriso.
- Ti sei sempre presa cura di me e dei nostri figli. Mentre io ero al lavoro, ti sei occupata della casa, delle pulizie, di lavare e stirare ...
- Ah te ne sei accorto?
Mi interrompe e mi fa perdere il filo del discorso. Ormai mi capita spesso.
- Ho assunto una domestica dopo il nostro matrimonio. Scusami, amore mio, se non te l’ho detto, ma la casa era grande ... poi sono arrivati i bambini. E ho dovuto assumere anche una bambinaia ...
- Ah, ecco perchè spendevi tutti quei soldi ... Non è questo cara che volevo dirti. Dicevo ... mi hai sempre fatto trovare in tavola la cena calda ...
- Si certo, come gli spaghettini al pomodoro di ieri sera.
- Ecco cara, a tal proposito ...
- Non ti son piaciuti? Te li ho sempre fatti e non ti sei mai lamentato.
- Ecco cara ... cinquant’anni di spaghetti al pomodoro a cena ... No, aspetta, non è questo.
Meglio se vado dritto al punto.
- Cara abbiamo dei figli stupendi. Ma l’ultimo è tanto diverso da noi. Non mi arrabbierò se mi dirai la verità: mi hai mai tradita?
Lei china il capo e sconsolata confessa.
- Sì, perdonami ...
- Non ti preoccupare, cara, dimmi solo, per cuirosità di chi è dunque?
Lei mormora con un filo di voce.
- Tuo!
Alzo gli occhi al cielo. Il mio cielo era lei, e lei era una ...


Racconto numero 58

Carlo era veramente a terra per la fine della sua storia d’amore. Le uniche persone al mondo che facevano più pena di lui erano quelle che cercavano di aiutarlo. La loro, infatti, era una missione disperata.
Da giorni Carlo vedeva e rivedeva il filmino delle loro ultime vacanze insieme.
- Eccoci - raccontava mentre con un fazzoletto asciugava le lacrime che gli solcavano il volto - Qui ci troviamo a Sharm El Sheik. Siamo io, lei e quel simpatico animatore del villaggio. Dovevate vederlo come era gentile con noi, soprattutto con Daniela - ricordava - Pensate che quando andavo a fare le immersioni, mi diceva di non preoccuparmi, perché avrebbe tenuto lui compagnia a Daniela. Così io non mi sentivo in colpa per aver lasciato da sola la mia fidanzata. Che persona disponibile!
- Queste invece sono le foto della festa di laurea di Daniela - continuava Carlo -
- Io non c’ero perché lei, pensate che cara ragazza, aveva insistito che rimanessi a casa per non stancarmi. Addirittura aveva acconsentito a farsi accompagnare da quel nerboruto benzinaio che avevamo incontrato il pomeriggio. Un tipo pieno di muscoli, rude e pieno di tatuaggi. Mi aveva detto che era disgustata da quell’uomo ma aveva fatto questo sacrificio per me!
- Qui siamo al matrimonio di mio fratello - proseguiva con i ricordi - Pensate un po’, che strano, dopo la cerimonia non ho più visto per ore e ore sia lo sposo che Daniela. Chissà dove si erano cacciati! E chissà perché la sposa piangeva disperata. Sarà stata l’emozione, bah!
Quando Carlo raccontava questi episodi gli amici si scambiavano occhiate di intesa. Se non lo avessero conosciuto bene, avrebbero pensato che stava scherzando. Purtroppo lui, invece, era veramente convinto di quello che stava dicendo. L’amore rende ciechi e in alcuni casi fa anche altri danni.


Racconto numero 59

È lei. Finalmente ho trovato la donna che fa per me. Da quando mia moglie è scappata con il pescivendolo non ho più voluto rimettermi in gioco. Basta pesci in faccia, mi son detto.
Ma lei è diversa. C’è una tale sintonia che mi sembra di conoscerla da sempre. Si chiama Claudia, ha un fascino particolare, indefinibile, e una voce così calda e suadente…
Ho deciso: voglio presentarla a Luigino, mio figlio. Ha solo sei anni ma è molto sveglio e sensibile, saprà capire al volo se è la donna giusta per me… e per lui.
La invito a cena (niente pesce, tanto è vegetariana). Passiamo una serata piacevolissima, la conversazione scorre e lei ci sa fare con i bambini. Lui però è un po’ strano, ad un certo punto diventa insolitamente silenzioso e la osserva di sottecchi, come se la studiasse.
“È normale” penso, “è la prima volta che porto una donna in casa”.
Si è fatto tardi e lei se ne va, lasciandomi cotto come un pesce lesso.
Non vedo l’ora di sapere cosa ne pensa Luigino. Si sta arrampicando sulla libreria, per prendere uno degli album di foto di quando ero ragazzo. Gli è sempre piaciuto sfogliarli, ma chissà perché lo vuole fare proprio ora? Noto che va deciso verso l’album dei tempi del liceo, lo apre e sembra cercare una foto precisa. La trova. Mi avvicino a la guardo: sono io con un’altra persona che mi stringe la mano dopo una partita a tennis. Improvvisamente colgo la somiglianza: è in tutto e per tutto uguale a Claudia, ha anche lo stesso tatuaggio (a forma di squalo) sul dorso della mano. Ecco dove l’avevo già visto. La didascalia dice: “Io e il mio amico Claudio”. Mentre sento che il sangue mi si gela nelle vene, Luigino mi posa dolcemente una mano sulla spalla e mi sussurra: “Papà, mi sa che ti sei fatto un trans”. Quel giorno, neanche a dirlo, era il 1° d’aprile.

Racconto numero 60

Paolo si è sbarazzato dei fumetti e dei poster per fare spazio ai libri e ai quadri di Anna. Paolo si è sbarazzato dei suoi amici perché erano troppo superficiali per Anna. Si è anche sbarazzato del gatto che non sarebbe andato d’accordo con il cane di Anna. Il cane si chiama Proust, è una gigantesca palla di pelo, ha lo sguardo ebete, vive sul divano, quello nuovo, Paolo lo ha cambiato perché il vecchio non piaceva a “Palla-di-pelo-Proust” che, a causa delle le sue dimensioni, ha bisogno di molto spazio per stare comodo.
–Quanto è carino il mio cucciolone, altro che gatti!– ripete sempre Anna coccolando il cane spalmato sul divano.
Paolo è cambiato moltissimo, vuole sentirsi all’altezza di Anna l’intellettuale. Ha sempre pensato che fosse una questione di dignità. Lei merita solo il meglio. Basta partite a carte con gli amici, basta birra, basta calcio.
Paolo non va più allo stadio, va a teatro. Paolo non pulisce i tappeti dalla cenere di sigaretta, pulisce i tappeti dalla bava di “Palla-di-pelo-bavosa-Proust”.
–Se vuoi Anna, devi prendere tutto il pacchetto!– si è sempre ripetuto. L’amore e la paura di perderla hanno fatto il resto. Così la trasformazione, una casa nuova, un uomo nuovo, profondo, che non batte ciglio quando un cane dal nome intelligente e dall’espressione stupida vuole uscire per i suoi bisogni mentre la padrona legge e non vuole essere disturbata.
Tutto procede a meraviglia quando un giorno, tornato proprio da un giretto con “Palla-di-pelo-bavosa-ansimante-Proust”, la trova a letto con un altro. Il cane fa le feste all’intruso come se lo conoscesse da una vita.
–Mi tradisci con l’unico uomo che ha lo sguardo più ebete di quello del tuo cane.– constata ad alta voce Paolo.
–Perché tu sei diventato noioso.– ribatte Anna.
–E tu invece sei sempre stata stronza!–

Racconto numero 61

La tipa m’ha detto che nel mio cervello alloggia un bradipo. Esemplare in via d’estinzione ma non quanto i gentleman. Son lento su tutto: capirla, accettarla, afferrare le flessioni del rapporto di coppia. Non faccio ginnastica, che ne so di flessioni? E chi l’ha mai visto un brapido o come si chiama. Lei non sa che non so come sia: mi subisserebbe d’insulti assortiti. Potrò rifarmi vivo soltanto quando avrò superato l’apatia in cui verso, dice. Per un verso va bene, cercherò con calma il significato di apatia; intanto verso le mie lacrime. L’uomo dev’essere dolce e tenero ma mai piangere davanti alla donna, dice. Quando il maschio frigna, ha smesso di essere tale. Se per cambiare sesso basta questo, chi si svena per andare a Casablanca risparmierebbe molto. La sensibilità sintetica va sempre di moda, dunque? Nascondere i sentimenti mi castra bestialmente. Il bratibo è castrato? Chissà. Ogni notte sognavo i suoi occhi: due nuvole grigie - ondulate d’azzurro quando mette le lenti a contatto colorate. Ci vedevo il cielo. Il cielo in una stronza. La mia stronza ascolta i cantautori italiani; a chi le capita a tiro sibila: “Mi faccio una cultura digerendo il passato e masticando il presente” e sprizza acido sui miei ritmi esistenziali di fidanzato lasco. Presentatele un campione sportivo! Ho voglia di cantargliele: “Ciao sono io.. a-mo-re mio”, “Ancora tu? Non dovevamo vederci più?”, “Provo a mandarti un segnale anche se qui prendo male”, “Per me ci vuole un uomo che mi sappia soddisfare non mi basta solo dare”, “Bella stronza che sorridi di rancore!”, “Io vorrei non vorrei ma se vuoi” Quel raro normalissimo animale abbandonato le dà l’addio “Se vorrai una nuova presenza viva e attiva al tuo fianco chiama il WWF.”

Racconto numero 62

Cinque anni di tradimenti mi hanno insegnato che un marito fedifrago non deve mai fare regali troppo vistosi alla propria amante e soprattutto deve evitare pagamenti con carta di credito. Prima o poi gli occhi accorti di una moglie dubbiosa potrebbero scoprire una spesa ingiustificabile sul tuo estratto conto. Avevo pianificato tutto con precisione. I soldi “in nero” della ristrutturazione avrebbero pagato senza problemi l’auto di lusso. Sembravamo tutti contenti. Il mio cliente che risparmiava una bella botta di I.V.A.; io che mi ritrovavo una valigetta colma di contanti; la mia dolce e giovane compagna di avventure extraconiugali che finalmente smetteva di girare in autobus. Non avevo fatto i conti con la sua passione per la velocità. La guardia di finanza che ferma una bella signorina che passa con il giallo non fa notizia. La notizia semmai è che la signorina non riesca a giustificare ai finanziari il possesso di una Mercedes nuova fiammante omaggio di un facoltoso imprenditore edile. “Controllo di routine” avevano assicurato gli agenti in divisa che l’hanno lasciata ripartire e che hanno poi pensato bene di trasmettere i dati della nobildonna all’Agenzia delle Entrate. “Reddito dichiarato non compatibile con il possesso dell’auto in oggetto” c’era scritto sull’atto di accertamento. La mia concubina avrebbe potuto saldare il debito e chiuderla lì. Niente da fare. Non vuole pesi sulla coscienza. Quella stronza decide di confessare e di fare il nome del generoso donatore, che poi sarei io. “Doppiamente colto in flagrante” e non solo da mia moglie. Cinque anni di tradimenti mi hanno insegnato che un marito fedifrago non deve mai evadere le tasse. Prima o poi l’occhio vigile del fisco potrebbe scoprire le tue relazioni clandestine.


Racconto numero 63

NO!
Sono stato il fidanzato di Carmela per 5 anni. Mi bastò sorriderle davanti alla chiesa la domenica delle palme. Sua mamma le aveva dato la consegna di farsi benedire delle foglie di palma e lei dovette ubbidire. Ne aveva almeno una dozzina tra le mani: forse per liberarsene me ne offrì una. Io sorrisi e non l’accettai perché dovevo incontrare amici. Quel rifiuto mi pose da subito in una condizione di superiorità rispetto a Carmela: io le dicevo no e lei accettava il diniego.
“Mi porti al mare?”
“No!”
“Mi registri Uccelli di rovo?”
“No!”
“Vieni a prendermi a casa?”
“No!”
“Ma io non ti direi mai no!”
“Tu, io invece sì!”
Carmela mi faceva sentire davvero un uomo. E chi mi poteva battere? Camminavo con aria sicura e osservavo le belle ragazze sui balconi con fare grandioso. Ogni tanto il petto usciva in fuori senza che io me ne accorgessi. A Carmela bastava una pizza al sabato sera per sentirsi al centro (dopo uscivo con gli amici perché amavo le birrerie in cui si fa tardi). Un po’ di routine negli anni mi ammaccò, ma Carmela non si abbatté. Il suo obiettivo divenne il matrimonio.
“Ci sposiamo”
“No!”
“Ma non vorresti una vita tutta nostra?”
“No!”
Ero forte. Una sera le telefonai per sincerarmi delle sue condizioni di salute (oggi so che aveva una falsa febbre) e lei mi disse che le febbri vanno e vengono. Da allora le andarono e le vennero, ma io non mi turbavo, invincibile. Fin quando un giorno un uccellino mi confidò che l’avevano vista con un altro. Io non ci credevo. Le telefonai.
“Carmela, non è mica vero che hai un altro?”
“Sì”
Passò un mese e la mia sicurezza si schiantò rovinosamente. Vinsi il mio orgoglio e le telefonai.
“Carmela, ti prego, torni con me?”
Abbassò il telefono. In effetti non mi ha mai detto di no!

Racconto numero 64

Il fruscio delle lenzuola, desta i sensi a Marco che ritirato dal freddo nella sua parte di letto, cerca di addormentarsi, non pensando alle urla della cena, sente vicino a lui il calore del corpo di Ludovica, prova a accostarsi, ascolta ancora in silenzio il fruscio delle gambe nude e il cotone delle lenzuola, la sta immaginando e gli si apre un sorriso sulle labbra.
Non sa non si riesce a decidere, quante volte ha provato a riaccostarsi, quante volte è stato risbattuto nel suo silenzio.
Lasciamo perdere e dormiamo, vedremo domani che succede. Il sonno lo accoglie tra le sue bracia e lo coccola, lo orta con lui in un sogno colorato e profumato, nulla lo potrebbe distrarre da questo se non la voce di chi gli sta accanto che dice, “non sei neanche capace a chiudere un rubinetto.....” si guarda intorno ancora un po' frastornato da quella voce.
Scopre le gambe e scende dal letto, il contatto con il freddo pavimento lo scuote subito e lo riporta alla realtà. Va in cucina senza accendere neanche una luce gli basta il chiarore che entra dai buchi delle tapparelle, che si appoggia su tutto, lasciando dei puntini di sospensione, vorrebbe metterci delle parole al posto di quei puntini ma non gli viene in mente nulla.
Il suo cervello ormai è il nulla eppure un tempo non tanto tempo fa tutto era diverso, non capisce non si rende conto di perché adesso si trova in quella situazione, apre il frigo si porta alla bocca una bottiglia ormai vuota di aranciata.
Vede li una sedia si siede si piega sul tavolo, la stanchezza gli fa cadere la testa tra le braccia. Si addormenta cosi.
La mattina lo accoglie in maniera sorprendente, are gli occhi e tutto intorno il silenzio, solo una tazza di caffè ancora fumante e un biglietto giallo appoggiato, “sei senza speranza........)


Racconto numero 65

Mi rimproverano spesso di essere una stronza.
Le mie amiche mi ritengono una specie di tigre divoratrice di uomini e per questo non mi fanno socializzare con i rispettivi fidanzati
Oltretutto mi rimproverano perché mi innamoro almeno una volta al mese ed esco con tutti quelli che me lo chiedono.
Per la maggior parte dei ragazzi che escono con me invece sono una stronza semplicemente perché non ci sto: per loro PARLARE mentre si beve qualcosa insieme al bar è necessariamente associato a finire a letto insieme dopo un’oretta.
Anche i miei ex ragazzi mi definiscono un’autentica stronza.
L non mi parla da anni, mi fissa da lontano ma se mi avvicino abbassa lo sguardo.
Poverino: lui e la mia cara amica G si erano dimenticati di dirmi che stavano uscendo insieme e il poveretto si è sentito ferito visto che una stronza come me non ha voluto parlargli più.
M invece mi diceva di essere felice con me e per dimostrarlo ci provava con tutte le tirocinanti infermiere che arrivavano in reparto.
F si limitava a portarmi in giro come una bionda da rappresentanza che doveva essere sempre ben vestita, truccata, curata nei minimi dettagli. Sopportavo la sua gelosia e credevo alle sue bugie, mentre lui non si faceva certo mancare le sue gallinelle.
Per non parlare di F e delle sue fughe e dei mille ritorni per anni: tutte le volte che iniziavo a uscire seriamente con qualcuno, magicamente ricompariva, iniziavamo a vederci per un po’ e poi di colpo svaniva.
Sei anni così finché una sera con il cuore in gola ho trovato il coraggio di dirgli che con lui ci avrei passato anche mezzo secolo.
L’espressione attonita del suo volto era già eloquente prima che cominciasse a balbettare.
“Sai, ti voglio bene ma non me la sento. Sei davvero fantastica, però stiamo bene così…Non credi?”


Racconto numero 66

Un calzino sul divano l’altro disperso chissà dove, la camicia lì, per terra lungo il corridoio, una scarpa in un angolo, la gonna per terra accanto alla porta della camera da letto e lì, tra le lenzuola i loro corpi. La pelle dei loro corpi brillava di sudore che le prime luci dell’alba rendeva doratura, belli come bronzi di Riace. Sara aprì gli occhi, fissò il corpo di lui e incantata da tanta bellezza disse:-Che è successo? E questo chi è? Cavolo, un uomo nel mio letto? O sono io nel letto di un uomo?». Incredula rimase ferma immaginando le ore trascorse. Intanto guardava l’uomo e soddisfatta di essere stata sua preda rammaricata di non ricordare nulla di. «Però, che stronza! Devo aver passato una di notte di sesso sfrenato. Guarda che spalle, che collo, che fondo schiena, non ricordo nulla di quello che c’è stato?» mentre osservare incredula il corpo di lui. Quando lui si girò mostrando il lato “A” del suo corpo, trattenne il respiro e anche i suoi pensieri subirono un blackout: «E si, bella stronza! Ubriaca ti sei persa tutto di una notte di fuoco! Cavolo!» E scoppiò in un pianto ininterrotto. I singhiozzi svegliarono lui che esclamò:«Tesoro! Mai nessuna mi aveva fatto volare così in alto». Sara sprofondando nella sua delusione. Adesso se ne stava li tra la porta di quella stanza. Però bizzarria della vita, Sara non ricordava nulla.

Racconto numero 67

Oh miei cari innamorati, sapeste quanto è difficile. Dedico a voi queste righe.
Mi chiedo quale sarebbe la nostra più grande colpa, quella di aver amato forse? O di soffrire? O di aver creduto nel destino? Che stupidi siamo stati! Un unico sogno avrei voluto realizzare dopotutto, l’amore! E l’amore per me si chiama ancora Katia Janković. E non è certo solo del suo seducente nome che mi sono innamorato! Ah..ma di quella malinconia negli occhi e del suo gemere impudente al fondersi dei nostri giovani corpi, così fieri e grondanti delle più stupefacenti fatiche, quasi non bastasse più il respiro per dire «Ti amo! Ti amo! Ti amo!».
E giuro miei cari che fu amore! Ma ahimè, quella che vi racconto, non è che la storia di un’illusione, di un’immagine riflessa nell’acqua più pura e del suo rapido svanire. Katia volò via, letteralmente, mi piantò un tiepido giorno di settembre, all’appassir dei fiori, per il centravanti del Catanzaro, tale Ciccio Panelli, soprannominato “Scrafazza” per la sua irruenza in area di rigore. Andai sino a Lamezia per vederlo giocare, e persi la voce tanto gli urlai contro.
Ah! Certo lui è più alto, più sano, più ricco, non ha alcuna nevrosi e non è un tipo da coltivare muffe nel tinello, ma non sarà mica stata la mia passione per le cene a base di cipolla cruda? E prima di dormire poi! Son certo di non vaneggiare!
Ah, quante volte non le ho dato retta, incurante delle sue sacrosante lamentele!
Non oso immaginarla nelle braccia di quel coso, io che andai a lezione di flicornino per avvicinarmi alla cultura serba.
Oh miei cari innamorati, sapeste quanto è difficile.
Stanotte non basta una bottiglia di rakia per dimenticare. La luna è lì, si fa beffe di me, sghignazza incurante di queste lacrime! Katia mia, giuro sul nostro amore, sarà l’ultima cipolla.


Racconto numero 68


La battaglia a colpi di e-mail era stata dura ed estenuante. All'inizio, forse per impaurirlo o attrarlo, Lia si divertiva a dipingersi donna libera da ogni inibizione e gli offriva i lati intimi delle sue vicende amorose. Max, cercando di spiegarle che aveva capito, riusciva solo a stuzzicarla ancora di più. Pensò allora di portare l'attenzione su di sé, scrivendole quanto fosse diverso di lei. E lo fece tirando in ballo addirittura l'astrofisica con una dissertazione, in cui paragonava il suo modo di essere nei confronti delle donne alla stregua delle particelle di materia e di antimateria, se vengono in contatto: una cosa detta annichilazione. - Divertente, era stato il commento lapidario di Lia. Ma, questo non chiariva, se avesse colto il senso di ciò che egli voleva esprimere. Nonostante questo, la sensazione era che il campo gravitazionale stava accelerando e la materia aveva iniziato ad addensarsi. Lia pareva sentire l'attrazione verso quel caso diverso, anomalo e curioso, dopo storie con uomini più uomini di lui. Di quelli, per averli addomesticati facilmente, in fondo era rimasta delusa. Intanto dai chilometrici scritti erano passati a telefonate lunghe anni luce quanto le distanze tra i loro incontri. Le bollette erano divenute astronomiche.
- Io sono una donna che va a mille, gli disse in una di queste telefonate, quasi fosse un'astronave, lanciata negli spazi siderali a velocità inimmaginabile e Max una lenta capsula bloccata nell'orbita terrestre. Il processo di annichilazione si completò quando lei tornò in città, perché si rifiutò di incontrarlo, dicendogli che preferiva starsene da sola.
La sera dopo Max le telefonò: Lia era in un ristorante insieme a certi suoi amici... Troppo poca la materia perché, addensandosi, avesse l'energia per accendere la stella.


Racconto numero 69

Ero legato a lui da quando ero nato, anche se fu durante
l’adolescenza che la cosa si fece morbosa.
Io ero il cane.
Lui era il padrone.
Dettava lui le regole, e quando aveva voglia non esistevano scuse.
Morbosamente suo, cazzo, morbosamente suo.
E’ per questo che ho deciso di toglierlo di mezzo.
L’accetta è pronta nell’armadio della stanza dove dormiamo
perché è mentre dorme che voglio colpirlo.
Così mi alzo dal letto e ti guardo riflesso nello specchio.
Mentre riposi sembri proprio indifeso, mi fai quasi pena.
Ma è da sveglio che ti temo.
Così, mentre ti taglio la testa con un colpo secco e ti
smembro a pezzettini, oltre ad un gran dolore provo anche
un enorme senso di libertà.
E’ solo quando svengo mentre ti sotterro in giardino che mi viene un atroce, terribile dubbio.
Al risveglio mi ritrovo in ospedale, pieno di tubi.
Vedo un medico, un tipo freddo.
“Ricorda nulla di quanto è accaduto?”, mi chiede il medico,
freddo.
”No”, dico io.
“Ne è proprio sicuro?”, mi ripete il medico, scrutandomi.
Io mi ricordo solo che mi sono liberato di lui, poi il buio.
“Signor Bedoni non si ricorda nemmeno dove era prima di
svenire?”, mi chiede lui sempre impassibile.
Rispondo che ero in giardino, ma non ho voglia di parlare.
“E che cosa stava facendo in giardino all’
una di notte?”, mi chiede.
Gli dico che non lo so e mugugno di dolore, il basso ventre mi fa un male da cani.
“Signor Bedoni, martedì scorso lei è stato trovato in fin di vita
nel giardino di casa mentre stava cercando di sotterrare una scatola di sigari. Nella scatola c’era il suo pene a brandelli.
Se l’è amputato da solo con un’accetta.
Le va di parlarne?”
“No”, sussurro chiudendo gli occhi.
Non mi interessa parlarne.
Sto bene così.
Ora sono un uomo libero.
Ora non sono più morbosamente suo.

Racconto numero 70

Come, con tante belle ragazze che ci sono nel Reame, proprio questa mi doveva capitare? Io sono un Principe, non ancora Azzurro, è vero, ma sempre Principe sono. E chi mi capita? Proprio lei, Biancaneve, una ragazza un pò strana e, pare, anche un po’ tarda: accudire quella banda di nani un pò gay (lo sanno tutti!) e sopportare tutto con stoicismo. Non si divertono mai.
- Andiam, andiam, andiamo a lavorar! - Che palle, e prendetevi una vacanza ogni tanto! Anche quella stupida della Strega. Ma cosa ti credevi?
Tu sei una cozza inguardabile, lei ha sedici anni, non sarà Miss Reame, ma è molto più carina di te . L'altro ieri hanno 'giustiziato' quel coglione del Lupo. Speravi non ti riconoscessero? Tu aspetti cinque, dico, CINQUE ore in quel letto perché quella rimbambita di Cappuccetto Rosso ha perso la strada e pensavi nessuno se ne sarebbe accorto? E' vero che la vecchia...ti somigliava! Ma, pur essendo brutta, sorda e mefitica, era ancora riconoscibile come essere umano (più o meno!).
E che dire di quella sfigata di Cenerentola? L'altro mese ha concupito quello sciocco del Principe dell'altro Reame, che si è fatto abbindolare con un sorrisino e due moine. Corre voce che, quando lui è andato con il padre a cercare il 'piedino' su cui indossare quel maledetto scarpino, gli olezzi derivanti dalla calzata non siano stati proprio 'rose e fiori'.
Ma la frittata era fatta e non si poteva tornare indietro. E questa non si sveglia ancora. A questo punto, provo a darle un bacio, piccolo, senza impegno. Papà vuole che si faccia, non può perdere la faccia rispetto al suocero di Cenerentola. Allora mi avvicino. Ecco, sta aprendo la bocca, la bacio! Che puzza! Un alito da cloaca! Biancaneve, ma vaffanculo!

Racconto 71

Quella mattina ero di fretta, non mi accorsi di avere oltrepassato il suo negozio, ma con la coda dell’occhio intravidi il mio siciliano. Mi fermai a pensare a tutte le volte che ero entrata salutando allegramente le commesse per poi uscire con lui, tutto mio anche se solo per pochi minuti.
Rinunciavo al pranzo per lui, i nostri incontri scostumati avvenivano di solito in macchina, d’estate una corsa al parco, anche l’androne buio di un palazzo fu testimone di una consumazione, fu un incontro veloce, vorace, tornai in ufficio con la gonna segnata dagli esiti appiccicosi della battaglia.
Un poco mi vergognavo di questa mia passione, era lussuria allo stato puro, un attimo di piacere intenso poi ognuno per la sua strada . A volte ricorrevo all’autocritica: che poteva farmi del male, che non avevo volontà di resistere. Saltavo la cena ancora piena delle sue sensazioni, fioretto da offrire a un sommesso quanto ostinato senso di colpa.
Ma con lui…. che attimi di frenetica bramosia, le mie dita scorrevano lungo le sue forme sode e snelle di un magnifico color bruno, mi riempivo le narici del suo profumo dolciastro mentre brividi di piacere mi preparavano a riceverlo. La prima volta che la mia bocca si chiuse attorno alla sua essenza, mossi le labbra con timore reverenziale piano ma con moto deciso e incalzante, i sensi tutti tesi a pregustarlo, fino a che l’esplosione non mi fece toccare il culmine; si può avere un orgasmo orale!
E poi le mie viscere lo accolsero ancora e ancora fino all’esaurimento del suo nettare divino.
Ora il corpo chiedeva con prepotenza qualcosa che la mente seduta sul trono della ragione non ammetteva più.
Non posso, non posso, il dottore mi ha minacciata “Signora ha il diabete, i dolci per lei sono
veleno ”. Addio per sempre cannolo siciliano.

Racconto 72

- Sai Toti, se ripenso al giorno che ci siamo conosciuti, mi viene da piangere - disse Alice guardando fuori.
- Davvero, ancora ti commuovi? – rispose lui compiaciuto.
- E come no, mi commuovo, ma va! Se fossi una donna mi si rizzerebbero i peli, sai come? Dritti dritti che a passarci una
mano ti sembrerebbe di accarezzare una spazzola .
- E allora cosa intendi quando dici che ti viene da piangere?
- Sei proprio un pesce lesso. Non so come ho fatto non solo a innamorarmi ma anche solo a guardarti, con quello sguardo da
triglia!
- Però quando eri in età da marito, quando gli ormoni ti si arrampicavano lungo la schiena con le ventose, quando sembravi
Alice nel paese delle meraviglie, con quegli occhi dalle ciglia socchiuse, allora ti sei guardata bene dal dirmi tutto questo!
- Che c’entra, erano altri tempi, solcavamo altri mari, avevo bisogno di qualcuno serio che non mi tendesse la rete, e poi…
- E poi, c’era quella faccia di polipo che ti veniva dietro, che allungava i tentacoli a ogni occasione e io come un cretino ti ho
tolto dall’impiccio.Cosa credi, che sei stata l’unica a guardarmi? C’era una tizia, una rossa, con gli occhi sempre truccati e un
sorriso splendido che mi invitava spesso a cena. Mi cucinava certi fritti di paranza che ora sono fuorilegge, che non ti dico, da
leccarasi i baffi, non quella tua cucina scialba, anemica e insipida che mi rifili tutti i giorni!
- Ah! È così che la pensi, ora. Solo perché non sono giovane come una volta! Ma ricordati, che se gallina vecchia fa buon
brodo…
- Due coniugi a merenda sono meglio di uno - concluse lo squaletto che aveva assistito alla scena. Spalancò la bocca e mise fine al matrimonio di Alice e Totano Spada in un sol boccone.

Racconto numero 73

Sono donna russa, laureata, seria, gentile, competente, puoi contare su di me in qualsiasi materia, so amare, so bella, so ridere, so solare,
posso essere buon amico e come donna e come persona,
sono in cerca di amico per tutta vita per periodo temporaneo.
Cerco anima gemella italiana perché conosco solo un poco italiano.
Oltre al russo non conosco altre lingue, scusatemi di altre nazioni, solo se avete intenzioni serie scrivetemi che io impara rapidamente.
Sono arrivata qui a Roma da poco, ho fatto 3000 Km per te …
che aspetti a rispondermi!
Cerco uomo la cui donna possa sentirsi tranquilla.
Se anche tu cerchi, abbiamo almeno una cosa in comune.
Se però anche tu vuoi stare tranquillo, forse non abbiamo più cosa in comune.
Preferisco uomo bello, giovane e ricco a uomo brutto, vecchio e povero.
Meglio uomo sognatore e di alto livello culturale che uomo idealista e grezzo.
Io non so bene italiano, ma se m’insegni miglioro rapidamente.
Se tu sai inglese … bello!
Ma io non sa inglese!
Se sai russo … meglio.
Attenzione!
Vuoi figli?
Potrei non essere donna per te!
Vuoi amicizia platonica?
Potrei non essere donna per te!
Vuoi avventure?
Potrei non essere donna per te!
Sei sposato? Ancora non hai ottenuto il divorzio? Vuoi sesso?
Assolutamente non sono donna per te!
Invece vuoi sposarti?
Allora potrei essere donna per te!
Spedisci una foto tua e del tuo ultimo stipendio, ben leggibile,a solarepersolare@russamenoedormidipiù.ru
solo risposte serie!


Racconto numero 74

Marco sarebbe arrivato alle cinque, puntuale come un treno giapponese.
Laura aveva guardato l’orologio: erano già le quattro e mezza, doveva fare in fretta. Si allungò sulla sedia, chiuse i file dopo averli salvati e arrestò il sistema. S’infilò nella doccia. Lasciò scorrere l’acqua sui capelli e sui seni e ad occhi chiusi s’insaponò pensando a Marco rabbrividendo di piacere mentre rivoli schiumosi al muschio bianco montavano ai suoi piedi. Basta! Aveva già perso troppo tempo: raccolse i capelli in un asciugamano e scalza, nuda e sgocciolante percorse il corridoio che conduceva in camera da letto. Mancavano ormai, soltanto quindici minuti alle cinque, sospirò; svuotò l’armadio prima di trovare l’abito giusto e alla fine si risolse per l’abitino nero modello bellagnocca.
Ancora cinque minuti e Marco avrebbe raggiunto il portone.
Aveva appena preso l’asciugapelli che il citofono appeso al muro dell’ingresso si animò. Marco era in anticipo. Non c’era più tempo, un riccio ancora umido occhieggiava sulla fronte sfuggendo alle spire dell’asciugamano, mentre si avviava ad aprire il portone. Laura si sentì gelare al suono del campanello perché il citofono stava di nuovo squillando mentre apriva la porta e Francesco s’infilava in casa. Neanche la salutò che le cinse la vita e l’attrasse a sé, le sfilò l’asciugamano dai capelli liberando una pioggia di riccioli bagnati e la baciò. Scalza e spettinata, Laura si lasciò trasportare galleggiando arresa, fino alla sua stanza precipitando sul letto tra gli abiti scartati. Le ante dell’armadio ancora aperte, lo specchio interno rifletteva l’orologio sulla parete di fianco al letto.
Erano le cinque e Marco stava bussando alla sua porta.

Racconto numero 75

SVETLANA...
Tante case lei pulisce
ma alle 7.00 lei finisce.
Il mio cuore è imprigionato...
di Svetlana innamorato.
Ma che bella la mattina
la mia bella ukraina.
Non mi fila mai di pezza...
1000 giorni di tristezza!
Quindi compro aspiratore,
per offrirglielo al mio amore.
Ma lei fa: "Non c'è motivo..."
così compro il detersivo.
Lei mi chiede cosa faccio
...le regalo anche uno straccio
"Ruben basta! Problema tuo!"
E da allora... pulisco io.

Racconto numero 76

Mi chiama e mi chiede: "Ti va se pranziamo insieme?"
'Mi va se pranziamo insieme e sai cosa ancora di più? Mi va se pranziamo insieme e poi non mi chiami mai più, tu e il tuo dirmi che sono brutto ma così brutto che secondo te sono di un'altra specie. E sai cosa ancora di più? Ancora di più mi va se non ci vediamo per niente, almeno fino a quando non mi riscrescono i capelli, chè da quando li ho tagliati mi dici che l'unica differenza tra me e Calimero è che lui è nero e io sono bianco ma così bianco che forse sono morto e non lo so. E sai cosa ancora di più? Ancora di più mi va se dopo pranzo andiamo a mangiare il gelato alla crema e, come l'altra volta, ci scattiamo le foto in cui sorridiamo e abbiamo la faccia da ebeti e siamo tanto carini. Pensandoci, quasi mi intenerisco a guardarle. Certo, sei stata un po' stronza a dirmi che se fossi stato diverso mi avresti amato per quello che ero. Ma sai cosa? Credo che dovremmo smetterla di essere due persone che si piacciono e diventare almeno due persone che si frequentano senza impegno. Magari evitando di frequentare altre persone. Magari poi una volta ti presento i miei. Il matrimonio di mio cugino sarebbe un'ottima occasione'.
"Mi va se pranziamo insieme", le dico.
"Bene, porto anche il mio ragazzo allora, così te lo presento. A dopo".
Meno male che nella vita ci sono cose più importanti, come il gelato alla crema.

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