venerdì 24 settembre 2010

IL CIELO IN UNA... STRONZA: racconti dal 21 al 44

Racconto numero 21

Seduti al tavolino del bar ti sorrisi. Non ricambiasti.
“Ma cosa ti sei messa in testa?”, dicesti d’un tratto.
“Ah, un vecchio cappellino trovato nella bancarella di via Poggi, sai quella che c’è al sabato …”
“Ma cosa ti sei messa in testa?” mi interrompesti scandendo bene le sillabe, questa volta e abbassando la voce, avvicinandoti. Mi sembrava buffo ma te lo avrei ripetuto, sorpresa perché tu sei uno che non dimentica mai nulla, ma un tuo gesto perentorio mi fece tacere.
Mi stringesti la mano, e fissandomi con i tuoi occhi bruni divenuti gelidi, ripetesti:
“Ma cosa ti sei messa in testa?”
Un lampo nella mente, un chiarore come di una finestra aperta all’improvviso a mezzodì e il cappellino nero con veletta fu deposto, con un gesto lento, tra di noi.
Non parlavi del mio feltro nero, non ne avevi forse neppure guardato l’eleganza.
Non ti sorrisi. Non mi sorridesti.
Ma parlasti, guardandomi diritto negli occhi: non avevo mai supposto di averti reso ridicolo di fronte a certe persone che contavano molto per te, mentre ti chiamavo “ciccino mio”, oppure sussurravo all’orecchio, . “sciocchezze”.
Sciocchezze e non “ amorosi pensieri “come erano per me.
Sentivo ora nella tua voce una nota acuta, quando, stringendomi la mano con più forza mi domandasti per l’ennesima volta cosa mi fossi messa in testa chiamandoci “fidanzati”.
In me lo stupore si stava lentamente trasformando in rabbia.
E mentre continuavi a parlare io non ti ascoltavo più, anzi, alzandomi, e afferraio il cappellino te lo stampai decisa sulla testa. dicendoti che potevi pure guardarmi per l’ultima volta, perché, carissimo fidanzato, in presenza non mi avresti vista mai più.
Andai fiera verso l’uscita accompagnata da un coro di applausi.

Racconto numero 22

Aveva lo stesso volto di Clarabella, la somiglianza balzava agli occhi con un minimo di spirito critico. E l’identica simpatia di Cicchitto. Ma questo l’ho scoperto dopo. Fortunatamente era troppo giovane, anzi è, perché non credo sia morta, per avere anche la tessera della P2. Però aveva un odore buonissimo, di quelli che ti fanno tendere il collo e puntare il naso, come quando da bambini si passava davanti a una rosticceria. Tanto bastò per accendere la scintilla. Poco? Lo so. Comunque fu un mese di clandestinità intenso, a spazzolare ogni briciola che la vita ufficiale lasciava per strada, ma anche un po’ traballante perché i letti Ikea costan poco ma sono quel che sono. Poi il lento affievolirsi: ogni sera un impegno, il cane da portare fuori a pisciare, forse soffriva di prostata anche se era femmina, gli amici che non vedeva da sempre, probabili astronauti, la cena pronta da tre ore che si raffreddava. Come ogni dama che si rispetti, per non lasciare, si fece lasciare. Tra le lacrime un’ammissione: “Ho bisogno di stare da sola”, frase originale, come sintonizzarsi su Isoradio e sentire “code sulla Salerno-Reggio Calabria”. Infatti aveva già fissato una vacanza con l’ex che non era mai stato tale, in un amen comprò casa e contemporaneamente iniziò a scopare col vicino, mostrando orgogliosa a lavoro le foto di lui nudo e test di gravidanza per fortuna (del genere umano) negativi. Morto un vicino, perché il babbo cominciava a insospettirsi, me ne faccio un altro. Passò infatti a quello di scrivania, uno dei miei migliori amici e così via. Un giorno, mentre son lì che rido ripensando ai suoi sproloqui di donna d’altri tempi, integerrima, su fedeltà e morale, si ferma davanti a me un collega giovanissimo. Mi guarda con il volto sbarbato, ma l’aria di chi già la sa lunga e sentenzia: “Te l’avevo detto io, che sotto le campane son tutte puttane…”.

Racconto numero 23

I suoi occhi che ti guardano e tu li fermo, stordito , crederesti ad ogni parola di quella donna.
Anche quando dice cose senza senso, la morbidezza e la grazia di quelle labbra ti fanno ignorare l’ennesimo errore di grammatica.
La tua vita precipita improvvisamente in una serie infinita di “si, amore, certo” e la tua dignità galoppa pericolosamente verso il baratro.
“Svegliati ragazzo” , un sussulto che proviene dagli amici preoccupati. La risposta è “No dai, so quello che faccio … lei è una brava ragazza”. In questa frase c’è l’essenza della futura sofferenza. Nel 99% dei casi Queste sono le parole che conducono l’uomo alla sua totale alienazione.
Anche del portafogli s’intende. Notoriamente le brave ragazze sono attente a come il proprio uomo spende il suo denaro, faticosamente guadagnato a fronte dell’ennesima litigata col capo . Quella camicia? No! Quella proprio no, e poi hai tante di quelle camicie a casa. Quelle scarpe coi tacchi alti da mettere una volta ogni tre anni? Quelle si che daranno un senso agli armadi di lei e deprederanno lo stipendio del malcapitato.
E vogliamo parlare della capacità che hanno di renderti un uomo solo. Faranno scappare gli amici. Ti vorranno solo per loro altrimenti chi le accompagnerà all’ennesimo battesimo del cugino di quinto grado nel giorno della finale di Champions League? Non possono permettersi di fare brutta figura di fronte ai parenti ed urge un orsacchiotto con sembianze maschilida portarsi dietro.
Questo massacro durerà fino alla fine. E la fine arriverà con qualcosa del tipo :”Ti amo ma sei troppo per me”. Oppure “La colpa è mia non tua”. 3 anni per questa idiozia. Certo che è colpa tua. Mi hai reso un uomo solo, senza una lira, e mi hai anche vestito come un burattino.
E’ finita, iniziano i rimpianti con le annesse maledizioni sparate ai quattro venti. Ma in fondo la ricerca verso il prossimo guaio è gia partita…

Racconto numero 24

Finalmente ci siamo: mi sposo! Non credo di essere mai stato tanto innamorato. Ed io che pensavo di non trovare l’anima gemella e invece ecco comparire LEI nella mia vita. Lei che non si è fatta influenzare da niente, neanche dal fatto che non sono una bellezza. Ogni tanto, per scherzare mi chiama “Naz de can”, oppure “sex appilat…” Quanto è dolce, chillu tesoro mio. Fra qualche ora saremo sposati!
Ecco la chiesa: mi sembra ieri quando abbiamo iniziato il corso per il matrimonio. Ricordo le parole di don Riccardo: “Cari giovani, l’amore è una cosa troppo bella, dovete ringraziare il cielo per questo dono. Specialmente tu Dino… pari ‘na ranogna c ‘a proboscite,ma hai trovato questa stupenda creatura che ti ama, sì, ama proprio te. Boh… io nun me faccio capace.
Che caro, don Riccardo!
Sono davanti all’altare che aspetto.
Adesso lei apparirà sulla soglia e volerà tra le mie braccia. Le donne si fanno attendere sempre, quando si devono sposare. È normale…
A pensarci bene ultimamente si è fatta spesso attendere. “Non mi sento bene”.
“Ho un impegno in chiesa ”. Già, la mia dolce fidanzata ha incominciato a fare qualche lavoretto in parrocchia, per dare una mano a don Riccardo.
Stammatina nun nce sta manco don Riccardo…
…..Aspetto ormai da cinque ore e di lei neanche l’ombra. Ma ecco,vedo arrivare il sagrestano,detto cape ‘e bomba,che col fetido fiato grosso per la corsa,mi alita addosso: “Capo, a fidanzata vostra mi incarica di dirvi che non vi vuole sposare più perché site nu cesso a viento e essa nce vulesse penza’ n’atu ppoco. Intanto per espiare la colpa di avervi illuso, se ne’ghiuta a fa’ a missionaria cu’ don Riccardo…”

Racconto numero 25

L’ULTIMA VOLTA

Come ci si deve comportare quando si vuol chiudere una storia, si domandava Simona tormentando con le dita il portachiavi che aveva posato in precedenza sul tavolino del bar.
Voleva mostrarsi disinvolta e a suo agio, ma in realtà non sapeva assolutamente dove mettere le mani, visto che il caffè avevano finito di berlo da un pezzo e non avrebbe potuto prenderne un altro, a meno di non diventare troppo nervosa…come se non lo fosse già abbastanza!
Le sembrava in ogni caso piuttosto idiota continuare a restare seduta in quel posto, considerando che ormai non aveva più nulla da dire, perciò accennò ad alzarsi.
“Vuoi già andar via?”
“Sì, se non ti dispiace. Cosa restiamo qui a fare?”
Fabrizio raccolse lo scontrino senza fare commenti, andò alla cassa a pagare i due caffè e la seguì con aria depressa fuori dal bar. Del resto aveva sempre avuto quella faccia anche nei momenti migliori, perciò …
“Ti accompagno fino al parcheggio?”
“No, grazie. Penso sia meglio se ci salutiamo qui.”
“Senti, se hai bisogno di me, per qualsiasi cosa, sai dove trovarmi.”
“Certo, lo diceva anche Richard Gere salutando Julia Roberts in ‘Pretty woman’. Magari tra un po’ ci si risente. Giusto per sapere se stiamo bene e niente più, chiaro? Per ora ciao.”
“Naturalmente... Mi hai liquidato in fretta, sei stata ancora più stronza di quanto pensassi. Forse col prossimo ti divertirai di più che con me.”
Camminando in fretta verso il luogo dove aveva posteggiato un’ora prima, Simona si chiese perché delle storie d’amore si celebrasse tanto solo la “prima volta” e mai l’ultima: lei, dopotutto, aveva voglia, se non proprio di festeggiare, di tirare almeno un enorme respiro di sollievo per la sua libertà riconquistata …

Racconto numero 26

Alla stazione

- Appena ti sistemi, fammi sapere.
- E tu, verrai a trovarmi?
- Certo, anche se ora, non saprei dirti … In fondo, anche da noi ci sarà la campagna elettorale, si voterà anche qui!
- Ogni momento può essere buono o sbagliato. Dipende da noi.
- Già, dipende da noi!
- Guardami! Guarda me, non il treno!
- Anna, ti prego, non mi pare il caso...
- Ti ho detto guardami! Dimmelo ora. Dimmi una sola parola e io non parto più!
- Ne abbiamo già parlato, a lungo. Se rifiuti, difficilmente il giornale ti offrirà ancora un’opportunità simile.
- Però potrebbe offrirla anche a te! Ci hai pensato?
- Lo sai, anche di questo abbiamo parlato. Per ora, da qui non intendo muovermi.
- Perché qui sì e lì no?
- Qui ci siamo conosciuti, qui ci siamo amati! Non rivoltare la storia, la novità l’hai portata tu non io!
- E adesso, non ci amiamo più?
- Adesso ci stiamo separando!
- E allora? Potremmo continuare, mi pare...
- Quel che c’era da dire, ce lo siamo già detto, più volte. Abbiamo pure litigato...
- E, allora, perché sei voluto venire alla stazione?
- Anna, ti rendi conto? Stai partendo. Che senso ha questa discussione?
- E tu perché mi lasci partire?
- Anna, Anna, aspetta, aspetta! Anna, ne riparliamo, ci telefoniamo... Anna, Anna... Anna!

Racconto numero 27

Sara


Seduta al tavolo del ristorante Sara iniziò a pensare al marito così cambiato.
Il mutuo si era fatto pesante, l’apparecchio per i denti che Giulia si era tolta con le pinze era un salasso, e per parlarle doveva infilarsi tra il telefonino e l’mp3.
La sua auto poi stava per arrendersi sotto il peso dell’età, e continuava a macinare Km tutto il giorno. Quando pioveva entrava la poggia per la ruggine, e i tergicristalli erano caput, mentre lei correva dalla scuola di Giulia, al mercato, a casa.
Ma dove era finito quel marito che la aiutava? Che l’amava e che era pure geloso? Era distratto, e passava sempre più tempo in ufficio.
Aveva sempre avuto naso per certe cose lei, e fiutava i guai nell’aria.
Allora mise le mani sul portatile del marito, scoprendo che rimorchiava in chat!
Dunque prese l’auto, lo pedinò, scoprendo che la tradiva.
Se lo aspettava, eppure non fu semplice stare chiusa nel suo impermeabile preso in liquidazione, a guardare lo con una donna molto più giovane di lei.
Le passò davanti al parabrezza la sua vita: gli anniversari, la nascita di Giulia, la casa.


Racconto numero 28

Stronza d’un fiato

“Una stronza di meno a far danni sul pianeta!” così lui (Adamo) abbandona al di lei (Eva) destino che aveva contribuito a trattenere nella società che, un po’ schifava, con la sua voglia di salvare il salvabile ma che gli dava modo di sognare un mondo migliore dove ognuno dovrebbe, a parer suo, essere protagonista a pieno titolo solo per il fatto di esservi nato come era accaduto a lui 26 anni prima; lei, che metteva il corpo tra gli altri e i sentimenti, non aveva mai voluto andare oltre nel rapporto strambo che costruiva giorno per giorno con lui, demolendo il suo amor proprio, che rendeva ansimante l’andare avanti verso la soluzione finale che, pur essendo molto oltre l’orizzonte, grazie ai suoi 19 anni, era più vicina di quello che dovrebbe essere per una ragazza della sua età: scuola fallita, amori strafatti, famiglia negata… il brivido di pazienza, di lui, ha toccato il resto di niente, di lei, inutilmente; l’edera, di lei fatta, ramificava senza sosta sugli scogli dell’indifferenza che non ferisce, ma stordisce, fino al punto di non capire l’ancora amore a cui potrebbe aggrapparsi; la marcia ingranata non prevede la retro… egli, lungi da lei, la vede franare insieme al muro di scogli a cui aveva aggrappato se stessa…
Lui, ferito nel suo amor proprio, si piega sul nulla che stringe nei pugni chiusi stretti fra le gambe… gli occhi sfidano il cielo sferzato dalla tramontana, le labbra muovono bisbigli di preghiere mal rivolte…
Voce narrante giunge al timpano indurito dalla delusione: “lo stronzo sei tu che non hai amato… abbastanza!”

Racconto numero 29

(LETTERE PER UN ADDIO)

Mi ha lasciato. Erica mi ha lasciato. L'ho incontrata pochi minuti fa e mi ha consegnato una busta dicendomi : "mi dispiace, ma ti lascio". Poi si è volatilizzata in un attimo. Mi sento male, come se improvvisamente mi mancasse la terra sotto i piedi. Apro la busta. Ci sono un foglio grande piegato in due, e dentro uno più piccolo, anche lui piegato in due. Comincio a leggere il foglio grande.
Caro Andrea, è difficile scriverti in un momento come questo, che mai avrei immaginato potesse arrivare. Quello che mi ha legato a te, oltre alla tua dolcissima dedizione, è stato un sentimento sconfinato che aveva radici nella tua indubbia profondità e nel tuo modo meravigliosamente ingenuo di porti. Hai sollecitato la mia parte migliore ed hai letteralmente nutrito la mia esigenza di una storia pulita, ma nel contempo assolutamente piena di significato. Abbiamo volato alto, oltre l'immaginabile, mescolando intelligenza e sentimento. Perchè ti lascio ti chiederai ? Forse perchè siamo stati troppo noi due, siamo stati così in alto che la normalità in cui siamo finiti dopo l'innamoramento iniziale, mi è risultata insopportabile. Eravamo forse troppo perfetti per essere normali. Perdonami se puoi. Io ti avrò sempre nel cuore. Con affetto Erica.
Non capisco, davvero non capisco. I miei occhi sono umidi e le mani mi tremano. Spiego il foglietto piccolo e leggo. E' scritto in stampatello. NON CE LA FACCIO ANDREA. IN REALTA’ MI METTO CON PAOLO. LUI MI PIACE, E MOLTO. SOPRATTUTTO PERCHE’ SCOPA MEGLIO DI TE.

Racconto numero 30

Quella sera c’incontrammo per fatale combinazione…alle nove della sera dentro il pub della stazione.
Fu subito amore…per amor di dire…ma la nostra relazione andava bene.
A lei piaceva chiamarmi Bubu…io la chiamavo col suo vero nome:
Crisantemo.
Ci vedevamo tutti i giorni per amalgamare gli amalgami dei nostri caratteri.
E le profusioni d’amore erano tante…
Oh tesoro! Oh Bubu!... Bellissima…sei proprio un Bel Crisantemo!

Dopo svariate vicende a Vicenza…decidemmo di convivere non più sotto lo stesso Cielo…ma nello stesso letto del medesimo appartamentino costruito per noi, in un battibaleno…come se dovessimo viverci per l’eternità.
Ma fu proprio con i piedi per terra nel pied-a-terre che iniziarono i miei guai perché Crisantemo si alzava tardi e non lavorava mai e dovevamo andare avanti col mio stipendio di Bancario, corrotto e corroso ormai da un amore insostenibile…
E fu così che un bel dì…tornando a casa presi la seguente decisione…
e dissi a Crisantemo: “Mi sono innamorato di Marco Masini!!”
E lei: “Allora non c’è più niente tra di noi… Me ne vado da questo luridume!”

E ridendo tra me e me dissi:
”Lo sapevo che eri solo una bella stronza…così te ne vai… e questo amore che doveva durare una vita…l’è finita...Che delusione! Ci avevo messo persino l’assicurazione fatta col capostazione della stazione di Vicenza, in quel pub dove ci incontrammo…per poter vivere con letizia…ma era finita finalmente la disgrazia…”
…Pensai a una bella vacanza, a un pais tropical sotto un nuovo cielo...perché avevo mandato via la bella stronza.
Grazie…Marco, mi ricorderò del nostro amore per quella canzone...e di come non sono finito al cimitero…per colpa di un Crisantemo…ma è pur sempre una storia di fiore odoroso finito in macerie.

Racconto numero 31

Precipito lo sguardo sbalordito sulle gambe di Teodolinda seduta al mio fianco e per poco perdo il controllo dell’auto.

Fuoriescono da una soffice gonna.

“Teodolinda questa sera ho voglia di cenare con te, che ne dici?”

Dice “Sì!”

Comincio a pensare intensamente a lei.
Al suo corpo nudo.
Soprattutto alle sue tette enormi.

Per l’occasione ho chiesto consigli ad un amico.
Uno con l’esperienza giusta.
È andato a letto con due ragazze.
Mi ha suggerito: “mettila a suo agio!”
Gli ho chiesto conferme: “Devo vedere riviste di moda con lei? O che ne so, discutere dell’intricata storia d’amore tra Brad e Angelina?”
Il mio amico: “Ma no imbecille! Sarà sufficiente farla accomodare su un divano.”

Cacchio non c’avevo pensato a quanto fosse facile per una ragazza stare a proprio agio!

La cosa più importante è: guardarla negli occhi e farle dei complimenti.
Non su quanto ha grosse le tette.
Il mio amico dice che è un errore madornale.

Viene a casa puntualissima.
Fortunatamente cena solo con l’insalata.
Per sbaglio ho zuccherato la pasta.
L’emozione gioca brutti scherzi.

A fine cena: “… Scusa il telefono. Ciao tesoro! Sì sono a cena con Eugenio te l’avevo detto. Cosa vuoi dire?…”

L’unica cosa che non va è il cellulare.
Squilla ogni cinque minuti.
C’è sempre qualcuno disposto a distrarla!

“Ti va di sfogliare questa rivista di moda?”
“… Scusa un attimo… Sì Eugenio vengo subito!”

Finalmente si siede vicino a me.
“Eugenio sei così caro!”
Mi tremano le mani.

Comincio a fissarla intensamente.
L’amo.
Quando si gratta le orecchie.
Si mordicchia le dita per strappare le pellicine.

“Teodolinda… io… vuoi fare l’amore con me?”
“Oh Eugenio, sai, mi dispiace ma non abbiamo la possibilità di vederci se non in estate e… l’ho chiesto anche ai miei genitori. Mi hanno detto di non farlo.”
Cacchio ho dimenticato di farle i complimenti!

Racconto numero 32

Cogito ergo sum tortellino


Calmo. Come un tortellino in brodo. O forse cotto. Di lei. La dolce Miranda. La mia farfallina dalle ali dorate.
La conobbi un giorno d'autunno. L'inverno mi aspettava al varco. Era vestito pesante. Guardandomi di sottecchi mi disse: “Oggi conoscerai una stronza”. E io non esimendomi: ”Sono pronto”.
E lei era lì. Proprio dietro l'angolo. A comprare droga dal droghiere. Era una ragazza confusa. La presi sottobraccio, ma non sottogamba, anche perché avevo la sciatica, a causa degli svariati festival di giocoleria con i cocomeri. Fu un colpo di fulmine a ciel sereno, pur con l'inverno al varco. Aspettandomi la pioggia, comprai un ombrello da un cinese, che si ruppe aprendolo. Mentre il cinese continuava a rompersi di aprirmi l'ombrello, io la baciai sulla bocca. Aveva un gusto delizioso, di costata d'agnello con un tocco di menta piperita. Mi sembrò di aver baciato un pastorello del presepe. Si sentiva già aria di Natale.
E approfittando di ciò, lei mi chiese: “Perché non mi fai un regalo?”. “Cosa vorresti farfallina?”.
“Un gregge di pecore e un bel pastore, non maremmano, quelli lavorano da cani!”.
Confuso come un tortellino al sugo.
La mia stronza autunno/inverno, si prese il gregge, che mi procurai su e-bay, grazie ad un hacker americano, ma fu una transumanza epica farlo giungere dal Mississippi.
Il pastore venne da solo. Da una montagna dell'alta irpinia. Vide il gregge e vide lei. Era il 6 gennaio, la stella cometa indicava la strada.
Non portava incenso, non portava mirra, ma si prese la mia farfallina dalle ali dorate.
Calmo. Come un tortellino in brodo. Guardo, dalla finestra, il gregge immobile mentre il mio cuore transuma solitario.

Racconto numero 33

Verrò sicuramente domani


“Ma certo, stai tranquilla, verrò la settimana prossima, tre giorni.”
Chiude.
Quante volte me lo ha detto? Quante volte ho aspettato? Perché ci sono cascata?
Forse perché avevo bisogno di attenzioni, di reagire alla solitudine, di chiudere in bellezza o l’amore è una forma di masochismo.
Per me è sempre venuta prima la carriera, gli interessi.
Finché non è arrivato lui, l’Adone perfetto, l’addome scolpito, moro, con l’aria del cucciolo smarrito, giovane, troppo per me, egoista, senza pietà come solo i giovani sanno essere.
Eppure sapevo che non era per sempre ed io per prima gli avevo detto che doveva vivere la sua vita, che doveva considerarmi un’amica.
Solo che io gli amici non li tratto così.
Non l’ho mai portato a casa, detesto i ricordi felici che mi possono dare le mie lenzuola, però ho iniziato a rammendare calze, curare sua mamma, dargli del denaro.
E’ sparito una sera, senza dare una spiegazione, sono tre mesi che provo a vederlo e quando risponde al telefono mi chiede perché io sia arrabbiata, lui ha semplicemente da fare, da lavorare, è oberato poveretto, ma non sa quanto io sia vicina.

E’ al lavoro il cameriere più bello del mondo che parcheggia sempre vicino a casa. Protetta dal buio ho preso il cacciavite ed ho scritto sulle portiere sul tetto, sul cofano “Bastardo pidocchioso”. Ho messo il mastice nella serratura della portiera e, come insegna Eddy Murphy in “Un poliziotto a Bevery Hills” una banana nel tubo di scappamento.
Ho bucato le gomme con la sparachiodi, ma non so perché ho risparmiato i fanalini, forse avevo esaurito l’impeto.
Mi immagino la sua bella faccia, alla vista di tutto ciò, ma l’avevo avvertito, le persone pazienti non sono buone, sono solo pazienti….

Racconto numero 34

ANA(L)CRONISTICO


Il cielo sembrava buono. Luglio, caldo. Ci sono anche le stelle. La grigliata odora di basilico. La stronza si è sdoppiata. Anzi raddoppiata. Ha portato con sé anche la mamma. Una signora minuta, i capelli bianchi, smorta, smunta, con gli occhi di ghiaccio, il labbro superiore fine, l’aria da professoressa. Sua madre sottolinea compulsiva la Bibbia. A fianco ci scrive appunti, riflessioni. In paese dicono che abbia una tresca con il parroco. Io ci credo. Ha già seppellito due mariti. Comunque, mi dico, tutto andrà bene. Sua madre mangia, io mangio. La serata scorre tranquilla. Il più grande pregio della madre della stronza, la stronzona, è di non saper ascoltare. Ti chiede un’opinione per poi interrompere, t’impone le sue scelte. Che cosa ne pensi di, è sempre un tranello, un trabocchetto, un test per vedere se dirai la risposta giusta o se cadrai in fallo. La stronza e la stronzissima stanno blaterando se è giusto o meno farsi tatuare il corpo, perché secondo le Sacre Scritture non si dovrebbe modificare ciò che ci ha dato in affitto il Signore. Ho la bocca piena e non mi interessa minimamente quel che hanno da dire al riguardo. Ad un tratto si voltano dalla mia parte. Mi guardano, ma soprattutto guardano le mie braccia coperte di segni, scritte e disegni. Come non se ne fossero mai accorte. Con lo sguardo torvo, l’arpia mi chiede un parere. “Mi sembra quanto meno anacronistico”. Ecco, anacronistico dico. La grande stronza sbatte le posate sul piatto: “C’è gente che fortunatamente ha dei principi, tu non hai nessun valore, hai una vita vuota”. Incasso perché il pollo arrosto è buono e anche la bocca della stronza. Mai fidarsi delle donne con il labbro superiore fine. Vuol dire che non sanno usare la bocca. Né per parlare né per altro.

Racconto numero 35

Mai titolo fu più azzeccato. C’era una volta una storia d’amore tra due persone di sesso maschile: una “stronza” e il suo fidanzato. “Stronza” e non “stronzo”, perché la differenza tra una donna e uno dei due partner in questione è discutibile. Ecco alcuni esempi di prerogative del ragazzo che confermano tale affermazione: 1) uso quotidiano di crema antirughe; 2) uso quotidiano di crema per mani e piedi secchi; 3) uso quotidiano di detergente per pelli sensibili e di shampoo di diverso tipo: antiforfora, anticaduta e per capelli grassi; 4) uso frequente di crema depilatoria; 5) frequentazione giornaliera della palestra e regolare di solarium, parrucchiere e centro massaggi; 6) grande interesse per tutto ciò che è fashion con shopping compulsivo in capi d’abbigliamento con un particolare feticismo per le scarpe; 7) capacità fenomenali nelle attività domestiche come cucinare, lavare, stirare e addirittura cucire; 8) totale disinteresse per sport quali il calcio, il motociclismo, la formula 1, il basket; 9) amore per il gossip, i viaggi, la lettura, il giardinaggio, l’arredamento, i gioielli, la moda, le diete, la musica leggera; 10) insoddisfazione perenne, continuamente in ritardo, sbalzi di umore ricorrenti e forte invidia per il prossimo. Come si evince dall’elenco, il ragazzo possiede molte caratteristiche che, generalizzando, normalmente sono ascritte alle persone di sesso femminile. Vi starete chiedendo: “Ha qualcosa di maschile questo tizio?” La risposta è sì, purtroppo tra i pochi cliché tipicamente maschili mantenuti dalla “stronza” ce n’è uno che obbliga per una volta a cambiare la a finale in o, e che è stata la causa per cui la storia d’amore tra i due uomini si è sfasciata dopo 10 anni: la paura di sentirsi incastrato nel rapporto. Che “stronza”!

Racconto numero 36

Lucia era una diva, una di quelle che non esce di casa se non è truccata, pettinata e vestita all’ultima moda.
Non ho mai capito cosa ci avesse trovato in me. Io che con i miei chili di troppo e gli abiti smessi, sembravo destinato ad una vita da single.
Mi sentì lusingato da tutte quelle attenzioni: mi tagliava i capelli, mi comprava i vestiti e mi diceva persino in che modo mi dovevo comportare con i suoi amici per evitare le mie solite gaffe. Iniziò persino a farmi da mangiare, tutta roba rigorosamente dietetica, per potermi rimettere in forma, e al mattino mi veniva a bussare per la nostra corsa giornaliera; poi, come una amorevole compagna mi preparava la colazione. Altro che i soliti krapfen che mi sparavo prima: latte scremato e fette biscottate.
In palestra mi iscrisse a corsi per definire il mio corpo, e ragazzi, in sei mesi non ero più quello di prima, ora facevo la mia porca figura!
Abbandonati i miei libri di fantascienza e i videogiochi, facevo ormai parte della sua cerchia di amici.
Una sera, fummo invitati a casa di una delle sue tante amiche, che voleva farci conoscere il suo nuovo ragazzo, prima di presentarlo al resto del gruppo: ovvio, era grasso!
“Non ti devi far problemi” iniziò Lucia, con il suo solito modo impettito, “Guarda che capolavoro ho creato io. Basta cambiargli il guardaroba, fargli fare movimento e metterli a dieta!”.
Non ci crederete, o forse sì, ma mi son sentito un’idiota!
La mattina seguente, quando si è presentata per il solito giro, mi son fatto trovare con un bel krapfen in bocca e decisamente sbragato, per farle capire che con una stronza come lei non ci sarei rimasto nemmeno un altro giorno.
“Ma io …” furono le uniche parole che le uscirono di bocca.
“Tesoro … morte tua, vita mia!” dissi dando un ulteriore morso e chiudendo la porta!

Racconto numero 37

Come nei film


Io prima pensavo che certe cose non c’erano, nel mondo.
Solo nei film, pensavo.
Prima di te.
Ti ricordi di me, la tua prima telefonata.
No che non mi ricordo né mai ti ho scordato – vivo di te per te con te sempre nella testa ogni tanto cerco di fare altre cose di dimenticarti. Ah, sei tu? Si, certo che mi ricordo.
Ti ricordi di me, come nei film.
Le ore in silenzio: non farmi domande, ti meriti il meglio – ed io non lo sono.
Non farmi domande non chiedermi altro non sono sicuro di quello che sento.
Non faccio domande non chiedo di più.
Mentre vaghi lontano io resto qui: ti costruisco il nostro universo, come lo vuoi.
Come nei film.
Ci sono domande, banali, che feriscono nel fondo del cuore, mi dici – che ledono l’intimità cui ognuno, da solo, ha diritto. Dove sei stato con chi cosa hai fatto.
Come nei film: mai mi domando io ciò che desidero.
Come nei film: l’ho già, e sei tu.
Come nei film: è ciò che desideri tu.
Come nei film, sparisci e ritorni. Non ti chiedo da dove: nei film, chi promette ritorno, non ritorna mai più.
Io prima pensavo che certe cose non c’erano, nel mondo.
Solo nei film, io pensavo.
Io prima pensavo che se c’hai due donne, basta dirlo ad entrambe.
Che se non hai niente da dire, si può anche parlare del tempo, senza tante scene di infinita tristezza e depressione latente.
Che certe fregnacce stanno solo nei film, ma di pessima scelta.
Adesso, che nulla più so di te, mi domando.
Ora che adiopiacendo sei uscito di scena, alle volte mi chiedo.
Chissà con chi sei, e dove, e le solite domande che nessuno fa più.
Mi piace però immaginarti in un film, come sempre ho fatto –nelle lunghe attese di sapere di te.
Uno di quei film in cui alla fine muoiono tutti, tra grandissimi atroci dolori, lentissimamente.
E non si salva nessuno, per fare un esempio.

Racconto numero 38


Quando ho incontrato Ada è stata una bella mazzata in testa: voilà, mi sono ritrovato innamorato pazzo. Ora mi direte: cosa c’è di più bello dell’amore? L’essere single! E ve lo dice uno che fino ad un anno fa’ credeva di aver toccato il cielo con un dito solo perché quello schianto si era innamorata di lui! Idiota! Perché pazzo mi ci ha fatto diventare davvero la stronza, e vi assicuro che ad aver bisogno della camicia di forza era lei, non il sottoscritto.
Esagerato? No di certo! Provateci voi, alle 4 del mattino, con meno dieci gradi là fuori, a stare con il balcone spalancato solo perché lei ha la fissa dello yoga e il suo maestro sostiene che deve entrare in comunione con la natura che la circonda, per entrare in contatto con il suo io più profondo. Sarà, ma per quanto mi riguarda l’unica cosa con cui sono entrato in contatto è stata una bella polmonite, i cui postumi non mi hanno ancora abbandonato.
“Amore, mi dispiace tanto!” ha cinguettato quando sono tornato dal medico con un febbrone da cavallo; lei non si è degnata nemmeno di accompagnarmi,è andata al cinema,come tutti i giovedì sera.
E la sua famiglia? Solo adesso capisco da chi ha ereditato quella vena di follia. Pensate: sua nonna sostiene di essere stata rapita dagli alieni da giovane,suo padre è un tenente dell’esercito del tipo che ti mette addosso una strizza, solo a guardarlo, che non vedi l’ora di toglierti dai coglioni, e sua madre, una cicciona di 120 Kg, quando sono stato a casa loro si è fatta trovare in negligé di pizzo, e non vi dico lo spettacolo, con la cellulite che furoreggiava.
Quando ho trovato finalmente il coraggio di lasciarla lo sapete cosa mi ha detto? “ Non ne troverai mai un’altra come me, Gianni!”
“Lo spero davvero!” le ho risposto. Adesso sono felicemente single da due anni.

Racconto numero 39

Adius

Antonio e Paola si amano. Antonio e Paola si cercano. Antonio e Paola litigano. Antonio e Paola non sono innamorati. Antonio è innamorato di Paola. Antonio fa cose assurde per Paola. Antonio non fa che pensare a Paola. Paola lo ama come amico. Antonio la ama come donna. Antonio vuole chiarire. Paola è egoista. Antonio le porta le patatine. Paola se le mangia. Antonio vuole un passaggio. Paola glielo nega. Antonio continua ad amarla. Paola continua a ignorarlo. Antonio e Paola l’hanno fatto. Paola l’ha fatto anche con un amico di Antonio. Antonio si fa cullare dai ricordi. Paola sta già con un altro. Antonio pensa ai ma e ai se. Paola pensa al presente e non al passato. Antonio vuole cambiare vita. Paola vuole solo essergli amica. Antonio vuole andare in Canada. Paola vuole rimanere a Roma. Antonio promuove artisti. Paola glieli snobba. Antonio passa le sue giornata a spiare la bacheca di Paola. Paola passa le sue giornate pensando se cancellare o meno Antonio dai suoi amici. Antonio cerca di elaborare un sms da scrivergli. Paola cerca di elaborare il modo di dirgli che è stata anche con il suo collega. Antonio pensa di non essere innamorato di Paola. Paola è sicura che Antonio sia innamorato di lei. Antonio considera tutto un segno. Paola li considera solo coincidenze. Antonio porterebbe Paola in Canada con lui. Paola preferirebbe andare in galera piuttosto. Antonio le dedica le canzoni. Paola gli dedica solo insulti. Antonio è diventato paranoico. Paola si sente libera. Antonio e Paola non esistono più. Antonio e Paola si sono persi. Antonio e Paola non si cercano più. Antonio e Paola chi?
L’ho visto Antonio. Dice che è un bel momento della sua vita. E meno male.

Racconto numero 40

Si sono lasciati. Per rispetto, eviterei di fare nomi. Di solito si scelgono Mario e Paola. Giuseppe e Francesca. Lancillotto e Costanza (con la variante di Artù). Romeo e Giulietta. E, siccome tutte queste coppie hanno avuto le loro tragedie, non mi sembra il caso di aggiungere paglia al loro fuoco, che è già bello vivo. Credo che lui e lei siano sufficienti. Non sono altro che due vite. Un uomo ed una donna. Tradizionalisti. Tre anni insieme. Lui ha la passione per la musica e canto. Lei ha la passione per la pittura. Non dipinge. Lo stipendio le permette giusto di vivere. Affitto e spese. Ma per amore, questo ed altro. Lui non ha la macchina. Lei si. Ma non la usa per lui. Non lo accompagna mai. Si dimentica. O si addormenta. Lui la ama di un amore puro e sconfinato. Non gli importa di essere al secondo posto nella vita di lei. Al primo c’è la pittura. Poi, non si sa come e non si sa perchè, lei gli chiede di sposarlo. A volte i morsi della coscienza fanno scelte brevi. Lui accetta. Tanti auguri! Fine. Cancella e riavvolgi. Un mese fa, lei lo lascia. A lui si è gelato il cuore. Lei è in completo silenzio. Ha smesso di amarlo all’improvviso. Dice che non si merita nemmeno l’odio. Arrivederci e tante grazie. Come al supermercato. Senza nemmeno uno straccio di raccolta premi. Tre anni di vita e di ricordi cancellati di colpo (di spugna). Altro che anticalcare. Lei ha la passione per la pittura. Non dipinge. Che il cielo sia benedetto. Lui ha la passione per la musica. E non sa se avrà mai voglia di suonare per sempre. Lui la chiama stronza. Oddio. L’amore è proprio una roba strana. Per quanto mi riguarda, chiederò al mio “Lui” di sposarmi. Almeno “Lui” non mi lascerà mai.

Racconto numero 41

(Gina)

Gina non voleva darmela.
Non c’era verso.
Diceva che non le garantivo le necessarie sicurezze.
E le sicurezze nella vita sono tutto.
Io ero solamente uno scribacchino; fossi stato almeno…che so…direttore di banca forse la previdente pulzella avrebbe considerato il tutto da un’altra prospettiva.
Ma lei cercava quelle di cui sopra, ed io non ero direttore nemmeno del mio portafogli.
Però ero arrapato.
Lei, con chiara gestualità, mostrava di non voler prendere minimamente in considerazione neppure quell’aspetto puramente e, considerata la situazione, inattuabilmente fisiologico.
Affermò che sarebbe invero stata cosa migliore il non complicare ulteriormente la faccenda e restare soltanto buoni amici.
Le replicai, con aria innocente, che qualche volta anche gli amici scopano fra loro.
In amicizia, s’intende, senza dover dar corso necessariamente a questioni di sentimenti, scomodando di fatto la chimica interna.
Lei controbattè utilizzando una frase da consegnare senz’altro ai posteri: -“io non posso fare sesso senza essere innamorata, sarebbe immorale, pura pornografia.”-.
A quel punto dovetti arrangiarmi da solo, come sempre.
Ero, con gli anni e l’esperienza, diventato un perfetto self made man, come dicono quelli che parlano bene; uno che si è fatto da solo, cioè, e che da solo continua a fare tutto.
Una micidiale macchina da sesso.
Un campione dell’onanismo…Onan il barbaro!
Mentre mi “amavo” pensai, non senza un pizzico di malinconia, a quel concorso in banca che avrei dovuto fare e che non ho mai fatto.

Racconto numero 42

Caro Emilio, ti narrerò una storia.
Per deridere la mia timidezza partecipai al corso clown che ci fece incontrare.
Giunsi tardi.
Entrai correndo, mi notasti e ti piacqui.
Scegliesti di lavorare con me.
Mi corteggiasti e io mi persi.
Già sognavo le tue mani e desideravo la tua pelle.
Poi, per gioco, dovemmo imitarci: tu la fragilità e le titubanze mie; io l’ira e il cinismo tuoi.
Mi dicesti: “Mai ho pensato al male che posso fare!“
Ti sorrisi.
Tu prendesti la mia mano e io andai in solluchero.
Poi, per carità verso il tuo omonimo, inetto, balbuziente collega - rinominato “Sesecondo” - lavorai con lui.
Il corso finì.
Il tuo bacio e: “Domani ti chiamerò!”
All’alba la tua telefonata.
Fosti titubante e tenero mentre io diventavo languida, ardita e innamorata.
Furono belle quelle telefonate e lo fu l’attesa del tuo rientro dalla lunga trasferta lavorativa.
Giunse il giorno del tuo ritorno.
Tutti i miei vestiti sparsi sul letto: nessuno adatto all’occasione, neppure le scarpe!
Il telefono, la tua voce: “Amore, sono fermo davanti alla chiesa!”
Emilio che si perde?
“Tesoro, ti raggiungo!”
Gambe molli su tacchi incerti: avrei raggiunto il mio futuro!
Ancora pochi metri e sarei volata tra le tue braccia, pochi metri e…
… ma TU eri quell’ALTRO, quello tarchiato e balbuziente che però al telefono non balbettava mai, che aveva la stessa tua voce… e a me è caduta la borsetta e tante altre cose, come la caviglia destra che si è slogata… però mi ha salvata dal detestato abbraccio!
Ora sono al pronto soccorso.
Non ho voluto essere accompagnata né da Sesecondo né dal vostro furgone stracolmo di tubi idraulici.
Lui è in corridoio insieme a un enorme mazzo di rose rosse…
… e adesso? Mi rivesto da clown e gli do spiegazioni?
Troppo cinica?
Ma la vita forse non lo è?!
O lo è solo lo tuo zampino!?

Racconto numero 43


Il cielo in una stronza

Pao non riusciva a credere di poter stare così male in una giornata così bella. Ma del resto, ad aver perso sia la casa che la ragazza... Doveva aspettarselo, però: lui, vegetariano e progressista 

, che si innamora perdutamente di una che era tutto l’opposto; se l’era anche cercata. Eppure, il viso angelico, i capelli biondi e lisci e il fisico da top model gli avevano fatto perdere la testa al primo sguardo. E così era andato a viverci assieme, cosa che gli prosciugava le finanze, ma ne valeva la pena. Certo, gli aveva fatto presagire il peggio il fatto che Karen esprimesse opinioni sul sociale a dir poco feroci fin dal primo incontro, ma aveva voluto essere ottimista. Non aveva dato importanza neppure al fatto che a Karen piaceva fumare il sigaro, cosa che faceva calare una fitta nebbia nella loro camera da letto ogni sera, nonostante le sue timide proteste. Ma la rottura era avvenuta quando lei aveva conosciuto un rampollo dell’alta società cittadina, e così addio Karen e appartamento – in quanto non riusciva a pagare l’affitto da solo – e benvenuta miseria più nera.
Passeggiando, Pao si trovò davanti al grattacielo dove lavorava Karen. Un pensiero improvviso, come un’ispirazione, gli balenò in testa: andò da un ambulante a comprare, con i suoi ultimi soldi, una rosa e poi attraversò la strada per andare da lei. Solo che era talmente preso a figurarsi quello che le avrebbe detto che non si accorse dall’arrivo di una macchina fino a quando non fu troppo tardi. Il suo ultimo pensiero, mentre era lì a fissare il cielo, fu che non avrebbe mai saputo la reazione di Karen.
E fu meglio così: dei testimoni affermano che scosse leggermente la testa con un gesto di commiserazione e che si accese un sigaro, prima di andare a un impegno di lavoro.

Racconto numero 44

Laura e il suo uomo. Non un Petrarca, ma neanche uno zotico guardagranpremi ruttante, e poi è suo. Laura nel suo piccolo si sente la donna più felice del mondo, non le manca nulla e questo basta.
Lui che tutte le mattine non può fare a meno di osservarla, senza però svegliarla, prima di andare a lavorare. Quando il sole del mattino bacia tutta la casa, Laura si desta e si scioglie sognante dinnanzi alla rosellina che ogni giorno il suo lui lascia sullo zerbino. Non si stanca mai di queste sorprese, come non avrà mai abbastanza delle letterine che lui lascia sotto il telefono, così che lei possa trovarle quando squilla il telefono, e possa pensare solo a lui mentre parla, chiunque ci sia all'altro capo del doppino.
Gualtiero e quella. Tutte le mattine non c'era bisogno della sveglia, la sua donna sapeva destarlo col soave respiro del suo sonno. Musica di motosega.
Il sole batteva a picco su tutta la parete della camera, che diventava qualcosa di assimilabile ad un forno crematorio. Maledette palazzine di nuova costruzione immediata periferia: una distesa di cemento e asfalto accumula calore, il bel quartiere dell'infanzia sfigurato dall'ennesima,ciclica e folle infatuazione edilizia. La strada dove per una vita aveva rincorso la sua bella, che bella era per davvero dato che l'inseguimento era di massa.
Il tempo di infilare la tuta arancione, bere un caffè e andare di corsa a lavorare. Come ogni mattina c'è da buttare via i fiori, portati da chissà chi. Raccogliere tutte le lettere dal profumo di finocchio, appoggiandole sul mobiletto del telefono. Chissà chi diavolo gliele manda. Quella ancora dorme, e Gualtiero va a lavorare.
Petrarca Gualtiero, operaio anas divisione asfalti, un solo rimpianto: non aver saputo, ai tempi del matrimonio, cosa significasse la parola escort.

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