venerdì 23 ottobre 2015

I RACCONTI DI VENER dì - Monica Fiorentino



“Promesso?...Promesso!”

Autrice: Monica Fiorentino

Lettera 21.
“Se lo dici in questo modo, non posso che dirti di si, allora. Sarà il nostro regalo!”. In quell’attimo gli parve di udire nuovamente la voce cristallina di lei pronunciare quelle parole, quel suono dolcissimo. Gli sembrava sempre una bambina quando adoperava quel certo tono, ne aveva la purezza e la vergogna.
Chinando il capo, dietro i vetri della finestra chiusa, nell’infuriare della bufera fuori a dilavare il creato intero con la sua potenza, Andreas prese a ricordare, senza poter arrestare la fiumana d’immagini a scorrere nella sua testa, ad ingoiarlo, spezzandogli il fiato: quella notte, lei, la luce fioca della luna, l’odore dei campi, le mani avide, le sue a seguirla, il buio dell’inverno, i rami degli ulivi ad intrecciarsi nel cielo “Il nostro regalo?!”.
La bocca scarlatta di lei a sorridere nel guardarlo dritto negli occhi, sotto il peso del corpo di quell’uomo a renderla eterna, i nei della pelle, il tremore, la grana dei fianchi, le cicatrici, il calore del suo grembo, caldo, pieno “Si, ma magari potremo concedercelo compiuti i cinquant’anni!”. Le risa della giovane, lui a chinarsi per baciarle la fronte.
Le palpebre di Andreas a serrarsi a quel pensiero, nella sconfitta del soldato e dell’uomo. Quella notte, appena due notti prima: la sua amata Leonor.
Lei così bella, pura, semplice. La loro notte. Poi d’improvviso quel nuovo giorno a sorgere, il mercato all’ora di punta, quei colpi d’arma da fuoco a fendere l’aria, il volto di lei, la sua gonna lunga alle caviglie, il pallore delle gote, la treccia raccolta, la sua camicia bianca: una rosa purpurea ad aprirsi sul petto. Le urla della folla, il pianto straziante dei bambini, il rotolare della frutta sul selciato, il rovesciarsi delle cassette di verdura a imbrattare la strada, le dita della ragazza a stringersi sul seno, il sangue a sgorgare. I guerriglieri a dispensare morte, tracimare vite, sgozzare respiri. Il passo pesante degli anfibi, il luccicore delle canne bollenti di polvere da sparo. I suoi occhi ad incrociare  lo sguardo di lei, lei, che aveva amato poche ore prima, in quel fienile appena fuori la città, la sua Leonor uscita prima dal lavoro notturno per stringersi a lui, la fuga in auto e l’amore.
Il suo ventre bianco, le sue risate, il pudore, e poi quel modo di divenire sua senza remore, darsi per ricevere, divenire passione, donna, spingere con le cosce, farlo entrare fin nel cuore, la confusione di ossa e gambe, il loro non riuscire più a distinguere il corpo l’uno dell’altra, nell’unione delle loro anime a volare unite “Prendi le mie mani Leonor… non le lasciare!” lei, a cavalcarlo libera, praterie incontaminate, lupa, compagna, cicogna dalle calze rosse, giglio e tempesta, allodola nivea, quel desiderio “Un letto tutto per noi!” il suo sogno, il loro sogno “Andreas, lo immagini! Un letto solo per noi!”  Quella guerra che non lasciava spazio alle illusioni, le spezzava.
“Mi prometti che un giorno l’avremo?” le sue braccia a disegnare farfalle nell’aria, primavera di profumi, nuda, bellissima, i capelli sparpagliati lungo le spalle “Promettilo!... Promesso?”
Lui a prometterlo, ali di neve, compagno, passero fragile, forte, bellissimo, nato d’inverno, lupo solitario, indomito, fiero, labbra umide, maschie, fresca rugiada di margherite selvatiche “Promesso!”
La sua mimetica di servizio a quell’ora, le dieci di mattina, sole in faccia, la piazza gremita, il mercato, e quel fragore di fucile a squarciare il cielo, spari liberi. La ferocia dell’artiglieria, le macerie intorno, tra il sentore dei corpi in putrefazione, messi a marcire per le strade insieme ai vivi, tranciati dalle loro membra, filamenti di muscoli e puzzo di piscio stagnante, oltre le grida di tormento, nel giogo della violenza e della sopraffazione.
Il suo sguardo, l’ultimo. Leonor.
“Promesso?”  “Promesso!”
Gli occhi di lui,  il soldato e l’uomo, segnarono in blu quell’haiku “_angelo scalzo/ nei miei giorni di vento/ fai di me poesia” a pugni chiusi, fermo, immobile, nell’imperversare della burrasca ad accompagnare i battiti delle campane ad annunciare lungo il viale sottostante, il passaggio del feretro.
Scriveva sempre haiku, Andreas, come lei, che amava quel genere di poesia e sognava un giorno di poterlo pubblicare, spogliato lui della sua divisa, e dimesso lei il grembiule da lavoro, di nuovo liberi in una terra senza più guerra, senza più morte, senza più il macabro canto delle anime a perire, fondando una Casa Editrice Indipendente soltanto loro, a riportare la poesia e la gioia nuovamente nel mondo.
Lei era come il vento, ne aveva l’odore di buono e di pulito. E quella notte, l’ultima, lui le era rimasto dentro nel fare l’amore. Era rimasto dentro di lei per sempre.

“Ed un angelo muto, scalzo, nudo, chiudendo i suoi occhi viola colmi di dolore accesi, in lacrime, accompagnò quell’urlo di dolore, senza un lamento”



Per contattare l’autrice: angelo.dicarta@libero.it

Immagini vertiginosamente alte e profonde, sa donarci la scrittura di Monica Fiorentino. Alte perché capaci di sollevarsi su tutto: sull’odio e sull’amore, sull’istante presente e su tutto il tempo passato, presente e futuro. Profonde perché in grado di fermare e descrivere il particolare da cui tutto scaturisce: un gesto, un’emozione che non è più possibile trattenere.
Come accade con l’haiku, la particolare forma di poesia amatissima da Monica Fiorentino: il “molto” sprigionato dal “poco che sa”.
Le promesse così ben descritte da questo racconto si infrangono nel “macabro canto delle anime a perire”, ma chissà cosa può riservare il futuro. Di certo, nulla è casuale e nulla è inutile, non lo è nemmeno il seme al quale l’odio ottuso non ha permesso di aprirsi al sole della vita. Intanto, noi accogliamo il seme di questo nuovo, bellissimo racconto.


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