“Promesso?...Promesso!”
Autrice: Monica Fiorentino
Lettera 21.
“Se lo dici in questo modo, non posso
che dirti di si, allora. Sarà il nostro regalo!”. In quell’attimo gli parve di
udire nuovamente la voce cristallina di lei pronunciare quelle parole, quel
suono dolcissimo. Gli sembrava sempre una bambina quando adoperava quel certo
tono, ne aveva la purezza e la vergogna.
Chinando il capo, dietro i vetri della
finestra chiusa, nell’infuriare della bufera fuori a dilavare il creato intero
con la sua potenza, Andreas prese a ricordare, senza poter arrestare la fiumana
d’immagini a scorrere nella sua testa, ad ingoiarlo, spezzandogli il fiato:
quella notte, lei, la luce fioca della luna, l’odore dei campi, le mani avide,
le sue a seguirla, il buio dell’inverno, i rami degli ulivi ad intrecciarsi nel
cielo “Il nostro regalo?!”.
La bocca scarlatta di lei a sorridere
nel guardarlo dritto negli occhi, sotto il peso del corpo di quell’uomo a
renderla eterna, i nei della pelle, il tremore, la grana dei fianchi, le
cicatrici, il calore del suo grembo, caldo, pieno “Si, ma magari potremo
concedercelo compiuti i cinquant’anni!”. Le risa della giovane, lui a chinarsi
per baciarle la fronte.
Le palpebre di Andreas a serrarsi a quel
pensiero, nella sconfitta del soldato e dell’uomo. Quella notte, appena due
notti prima: la sua amata Leonor.
Lei così bella, pura, semplice. La loro
notte. Poi d’improvviso quel nuovo giorno a sorgere, il mercato all’ora di
punta, quei colpi d’arma da fuoco a fendere l’aria, il volto di lei, la sua
gonna lunga alle caviglie, il pallore delle gote, la treccia raccolta, la sua
camicia bianca: una rosa purpurea ad aprirsi sul petto. Le urla della folla, il
pianto straziante dei bambini, il rotolare della frutta sul selciato, il
rovesciarsi delle cassette di verdura a imbrattare la strada, le dita della ragazza
a stringersi sul seno, il sangue a sgorgare. I guerriglieri a dispensare morte,
tracimare vite, sgozzare respiri. Il passo pesante degli anfibi, il luccicore
delle canne bollenti di polvere da sparo. I suoi occhi ad incrociare lo sguardo di lei, lei, che aveva amato poche
ore prima, in quel fienile appena fuori la città, la sua Leonor uscita prima
dal lavoro notturno per stringersi a lui, la fuga in auto e l’amore.
Il suo ventre bianco, le sue risate, il
pudore, e poi quel modo di divenire sua senza remore, darsi per ricevere,
divenire passione, donna, spingere con le cosce, farlo entrare fin nel cuore,
la confusione di ossa e gambe, il loro non riuscire più a distinguere il corpo
l’uno dell’altra, nell’unione delle loro anime a volare unite “Prendi le mie
mani Leonor… non le lasciare!” lei, a cavalcarlo libera, praterie
incontaminate, lupa, compagna, cicogna dalle calze rosse, giglio e tempesta,
allodola nivea, quel desiderio “Un letto tutto per noi!” il suo sogno, il loro
sogno “Andreas, lo immagini! Un letto solo per noi!” Quella guerra che non lasciava spazio alle
illusioni, le spezzava.
“Mi prometti che un giorno l’avremo?” le
sue braccia a disegnare farfalle nell’aria, primavera di profumi, nuda,
bellissima, i capelli sparpagliati lungo le spalle “Promettilo!... Promesso?”
Lui a prometterlo, ali di neve,
compagno, passero fragile, forte, bellissimo, nato d’inverno, lupo solitario,
indomito, fiero, labbra umide, maschie, fresca rugiada di margherite selvatiche
“Promesso!”
La sua mimetica di servizio a quell’ora,
le dieci di mattina, sole in faccia, la piazza gremita, il mercato, e quel
fragore di fucile a squarciare il cielo, spari liberi. La ferocia
dell’artiglieria, le macerie intorno, tra il sentore dei corpi in putrefazione,
messi a marcire per le strade insieme ai vivi, tranciati dalle loro membra,
filamenti di muscoli e puzzo di piscio stagnante, oltre le grida di tormento,
nel giogo della violenza e della sopraffazione.
Il suo sguardo, l’ultimo. Leonor.
“Promesso?” “Promesso!”
Gli occhi di lui, il soldato e l’uomo, segnarono in blu
quell’haiku “_angelo scalzo/ nei miei giorni di vento/ fai di me poesia” a
pugni chiusi, fermo, immobile, nell’imperversare della burrasca ad accompagnare
i battiti delle campane ad annunciare lungo il viale sottostante, il passaggio
del feretro.
Scriveva sempre haiku, Andreas, come
lei, che amava quel genere di poesia e sognava un giorno di poterlo pubblicare,
spogliato lui della sua divisa, e dimesso lei il grembiule da lavoro, di nuovo
liberi in una terra senza più guerra, senza più morte, senza più il macabro
canto delle anime a perire, fondando una Casa Editrice Indipendente soltanto
loro, a riportare la poesia e la gioia nuovamente nel mondo.
Lei era come il vento, ne aveva l’odore
di buono e di pulito. E quella notte, l’ultima, lui le era rimasto dentro nel fare l’amore. Era
rimasto dentro di lei per sempre.
“Ed un angelo muto, scalzo, nudo, chiudendo i suoi occhi viola colmi di
dolore accesi, in lacrime, accompagnò quell’urlo di dolore, senza un lamento”
Della stessa autrice: Il
cielo sopra la guerra - Rain
Per contattare l’autrice: angelo.dicarta@libero.it
Immagini vertiginosamente alte e
profonde, sa donarci la scrittura di Monica
Fiorentino. Alte perché capaci di sollevarsi su tutto: sull’odio e sull’amore,
sull’istante presente e su tutto il tempo passato, presente e futuro. Profonde perché
in grado di fermare e descrivere il particolare da cui tutto scaturisce: un
gesto, un’emozione che non è più possibile trattenere.
Come accade con l’haiku, la particolare
forma di poesia amatissima da Monica
Fiorentino: il “molto” sprigionato dal “poco che sa”.
Le promesse così ben descritte da questo
racconto si infrangono nel “macabro canto delle anime a perire”, ma chissà cosa
può riservare il futuro. Di certo, nulla è casuale e nulla è inutile, non lo è nemmeno
il seme al quale l’odio ottuso non ha permesso di aprirsi al sole della vita. Intanto,
noi accogliamo il seme di questo nuovo, bellissimo racconto.
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