“È solo per un eccesso di vanità ridicola che gli uomini si
attribuiscono un’anima di specie diversa da quella degli animali.”
(Voltaire)
Una lettera di Rosario Tedesco indirizzata a un’amica
passata a nuova Vita, ma anche a tutti noi. Per meglio comprendere l’essenza di
ciò che è importante, al di là del “rumore” delle apparenze.
Mia Cara Vecchia Amica,
più d'uno m'aveva detto che
avevamo gli stessi occhi, addirittura lo stesso sguardo, e che nessun caso
sembrava avvalorasse in maniera così esplicita ed evidente la tesi che taluni
cani sono simili ai loro padroni quanto il nostro.
Un vecchio amico diceva che
"ci sono cani che non sono cani", che sono talmente intelligenti ed
empatici nei loro atteggiamenti da giungere a sconcertarci al punto tale da
instillare in noi la convinzione che un cane possa essere più evoluto di un
essere umano.
Ricordo bene tutte le volte in
cui in cui mi son sentito solo in mezzo alla gente e tu eri lì a far sì che io
allontanassi all'istante questa sensazione soltanto limitandoti a stare lì dove
stavi, ad essere semplicemente quella che eri, a stare lì per me e per nessun
altro.
Che fossi più di un cane né ho
avuto la prova tutte le volte che sei riuscita a leggere nei miei pensieri ed
io nei tuoi.
Il tuo sguardo è stato sempre
stato oltremodo eloquente ai miei occhi, almeno quanto lo fosse il mio ai tuoi,
ne sono sicuro.
Ed il fatto che io avessi
instaurato con te un feeling che solo raramente mi è accaduto di instaurare con
un altro essere umano è solo uno dei miracoli ai quali ho avuto il privilegio
di assistere nel lungo tratto di vita che abbiamo percorso insieme restando fianco
a fianco.
Fin dalla prima volta che mi
hanno parlato di te ti avevano descritta come uno spirito libero, così libero
da riuscire a fuggire, non si sapeva bene come, da tutti i luoghi nei quali
avevano provato a rinchiuderti in attesa che qualcuno decidesse di adottarti.
Qualcuno mi implorò di prenderti
con me come tentativo estremo di trovarti un padrone ed una casa dalla quale
non saresti fuggita.
Io non me lo feci dire due volte
tanto mi eri stata quasi d'istinto simpatica per quanto mi avevano raccontato
sul tuo conto.
In un certo senso è stato così,
in quanto non appena varcasti la soglia di casa mia la sentisti, non si sa bene
perché, immediatamente familiare e prendesti posto con assoluta naturalezza su
quella poltrona che è stato il primo giaciglio dove trascorrevi gran parte del
giorno e della notte nella prima delle dimore che ci ha ospitati entrambi,
quasi come se l'istinto (canino) e l'intuito (umano) ti avessero suggerito che
avevi finalmente trovato un luogo nel quale potevi anche fermarti per un po' di
tempo, fino a quando naturalmente la tua sete di libertà e di indipendenza non
ti avesse nuovamente indotto a fuggire ed a vagare alla ricerca di chissà cosa
e di chissà chi.
Conoscendoti, v'è la possibilità
che tu mi abbia squadrato e studiato per bene da capo a piedi dal momento in
cui ti hanno condotto da me, intuendo che ero diverso da quelli che avevano
tentato di chiuderti in un recinto fino a quel giorno e che di me ti potevi
fidare.
Non dimenticherò mai la prima
volta che ho notato i tuoi occhi dritti a fissare i miei, probabilmente intenti
a cercare ulteriori conferme a quanto avevi avvalorato, che mi sconcertavano
nella misura nella quale quasi mi imbarazzavano per la loro umana, fin troppo
umana consapevolezza: mi stregasti, lo ammetto, ed in quell'istante capii che
niente e nessuno avrebbe potuto mai più separarci.
Ricordo che avevi un istinto
infallibile nel valutare le persone anche con un solo sguardo e, date le tante
nostre affinità, non credo ci avrai messo molto a capire che ero il simile più
prossimo a te nel mondo degli umani che avresti potuto incontrare, e mi hai
scelto.
Si, perché sei stata tua a
scegliere me, e non certo io a scegliere te.
La prova è stata il fatto che
quando hai scelto di allontanarti da me per far ritorno sulle strade sulle
quali ritrovavi la libertà che costantemente ti (ri)chiamava (a sé),
puntualmente prima o poi facevi ritorno da me, per ritrovare quel porto sicuro
dove poterti sentire protetta ed amata da colui che forse più di tutti poteva
comprendere quella tua necessità di fuga senza fartela in alcun modo pesare né giammai punirti a riguardo, in quanto simile a te anche e soprattutto
nell'assecondare questa improrogabile urgenza quando il tempo di farlo fosse
giunto, al di là di tutti ed a costo di tutti, anche a costo di ritrovarsi
nuovamente da soli e senza più niente, già.
Alla fine il fatto che tu ti
limitassi semplicemente ad avvicinarti alla porta di casa e con uno sguardo mi
facevi capire che avevi bisogno di andare, o anche solo semplicemente di uscire
per sgranchirti le gambe o espletare i tuoi bisogni corporali, era divenuta una
consuetudine del tutto naturale, così come il fatto che bussavi con la zampa al
tuo ritorno perchè io ti aprissi e ti riaccogliessi con me.
Sono state rarissime le volte i
cui un orecchio umano ti ha sentita abbaiare nel senso più vero e canonico del
termine.
Per lo più ti esprimevi emettendo
una sorta di guaito tendente al lamento e talvolta al pianto, udendo il quale
davvero si aveva la sensazione che tentavi di biascicare delle parole, essendo
al tempo stesso rammaricata di non poterlo fare vista la tua natura di cane.
Se di taluni cani si dice che gli
manca soltanto la parola, tu sei stato in assoluto quello che più di tutti mi
ha dato letteralmente la sensazione che ciò potesse avere un fondamento
palpabile, udibile direi, e non fosse solo un comune dire che lascia il tempo
che trova.
Per quanto, comunque, tu abbia
ceduto alla tua natura di cane abbaiando di tanto in tanto, mai lo hai fatto in
quanto dovevi avvisarmi di un qualche pericolo, quanto mai certa che non fosse
quello il compito che dovevi svolgere al mio fianco, ed, imperturbabile, come
se niente fosse, ti barricavi nella certezza che tanto ci avrebbero pensato gli
altri miei cani a farlo anche per te, mia simile, sorella!
Se è vero, come lessi una volta,
che nel processo evolutivo delle anime il cane è l'ultima specie del mondo
animale nel quale uno spirito si incarna prima di passare allo stadio umano, e
che se è stabilito che debba affiancare l'uomo e in quanto deve poterlo
osservare da vicino così da assimilarne il carattere, le abitudini e le
peculiarità proprie della nostra specie, ed essere già preparato a quello che
gli aspetta nel momento in cui poi rinascerà, tu sei il cane che più di ogni
altro ha fatto sì io avvalorassi questa tesi e la ritenessi plausibile, tanto
dall'aver attribuito il tuo rifiuto ad abbaiare come il segnale per eccellenza
del fatto che eri già pronta per varcare la soglia e che la condizione di cane,
nonostante tu fossi ancora tale, già cominciava a starti stretta, diciamocelo.
A ciò va aggiunto che quando
commettevo l'imprudenza - che tu giudicavi come una impertinenza - di lasciarti
insieme agli alti cani, non appena te ne ravvedevi e non mi scorgevi più nei
paraggi, venivi immediatamente a cercarmi rimproverandomi di essere stato così
incauto nel farlo con leggerezza e di avere rivolto questo affronto a te che
così tante dimostrazioni mi avevi dato non solo che non eri solo un cane, ma
che non volevi avere nulla a che fare con i cani, e ritrovando la pace solo
quando ti riaccoglievo al mio fianco o ti lasciavo nuovamente da sola, che dal
tuo punto di vista credevo fosse suppergiù la stessa cosa, mia simile,
azzarderei gemella!
Quanto al ruolo che hai avuto in
questi diciotto anni nei quali mi sei stata accanto ne ho avuto quanto mai una
netta percezione proprio nel mio ultimissimo scorcio di vita, quando l'urgenza
di assisterti passo passo nel tuo travaglio a decorso fatale è stata più forte
di ogni altro richiamo a cui mi si chiedeva ragionevolmente di prestare
ascolto, a costo di perdere - come di fatto poi è accaduto - tutto quello che
avevo costruito fino a quel momento - chi sa capirà - pur di non lasciare che
tu giungessi da sola senza di me alla tua ultima ora.
Se è vero, come sono sempre più
propenso a credere, citando a memoria Benigni, che per ognuno di noi uno è il
cammino da percorrere, una la vocazione, una la missione, uno l'amore, uno
l'amico, sono sicuro che uno è anche l'amico a quattro zampe che ci è stato assegnato
in dono dal destino - o da chi o cosa per lui - perché noi possiamo divenire
compiutamente noi stessi e giungere alla Meta.
Tu eri l'amica a quattro zampe
per eccellenza, quella che si incontra una sola volta nella vita e ti resta
fedele anche oltre la vita.
Hai combattuto la tua ultima
battaglia a testa alta e con dignità, nonostante tutto cospirava perché ti
lasciassi definitivamente andare.
Hai continuato a lottare
nonostante tutto non tanto perché ci credevi, ma perché hai capito che io
speravo lo facessi, già.
Mi guardavi quasi a dire:
"Allora? Ti sei convinto finalmente che è finita e che non c'è più niente
da fare per me, o devo ancora continuare, ora che sono quasi cieca e sorda del
tutto, quasi semi-paralizzata da una artrosi progressiva che mi procura dei
dolori lancinanti agli arti posteriori, a barcollare ed a barcamenarmi in
questa che è una non-vita solo per farti contento?"
A dire il vero, tendente alla
depressione lo sei stata sempre, non solo in quanto mia copia speculare nel
mondo canino, ma in quanto essere pensante - questa la lascio davvero a chi può
intenderla - ma mai ti avevo veduta così per nulla rassegnata e quasi indignata
nel trascinarti in un esistenza che non ti si confaceva e che accettavi solo
perché non avevi altra scelta, mia simile, sorella, gemella!
Te ne sei andata via senza cedere
d'un palmo a quella dignità, quella fierezza e quell'eleganza che ti ha contraddistinto
da sempre e che faceva sì tu fossi stato il più aristocratico e snob tra i cani
che io ho avuto modo di incontrare in questa vita.
Tra tutti gli esempi, riporto
quello relativo al momento in cui ti mettevo davanti il cibo, ed al tuo rituale
attendere che io mi allontanassi per acconsentire non tanto a mangiare, quello
veniva molto dopo, ma ad odorare e scrutare attentamente il pasto per essere
sicuro che fosse stato di tuo gradimento ed evitare poi di avere spiacevoli
sorprese nel momento in cui lo avresti assaggiato e poi ingurgitato.
Neppure la consapevolezza di
essere a un passo dalla fine, ha fatto sì che tu abdicassi alla tua proverbiale
diffidenza così affine alla mia e che, tra tutte le caratteristiche che ci
accomunavano, era la nota che più di ogni altra ci rendeva complici oltre che
simili.
Sapevo che tentando di alleviare
le tue pene avrei rischiato di accelerare la tua fine, e probabilmente così è
stato.
Ma se ho agito così comunque è
perché se solo avessi potuto parlarmi sono sicuro che mi avresti implorato di
farlo.
Come, del resto, avrei fatto
anch'io trovandomi nelle tue medesime condizioni: solo chi mi conosce bene sa
quanto io poco sopporti il dolore e che son pronto a ricorrere ad ogni mezzo
pur di farmelo passare, anche a rischio di prendermi altri malanni addizionali.
Ma, nonostante tale
consapevolezza, ti chiedo ugualmente perdono, sperando che alla prossima
occasione che Dio - o chi per lui - mi darà di condividere un pezzo della mia
prossima vita con te, magari ritrovandoti questa volta in una forma umana, mi
rammenti dell'errore commesso e ne faccia tesoro per non ricommetterlo
nuovamente, come la Legge Divina Universale ha stabilito.
A presto
Tuo