sabato 30 gennaio 2016

"La casa sul poggio": la recensione di Anna Milite



"La casa sul poggio", splendido romanzo di Michele Di Lieto, continua a sollecitare interventi, recensioni, interessantissimi spunti di riflessione.
Ecco la recensione scritta dalla professoressa Anna Milite, mentre qui potete leggere la pagina on line dedicata al romanzo.

“La casa sul poggio”, l’ultimo lavoro di Michele Di Lieto, giudice scrittore, è (vuol essere) la storia di una casa e di una famiglia. Non di una casa ‘palazziata’, una casa ricca, ma di una casa colonica, una casa agricola. Non di una famiglia nobile, una famiglia insigne, ma di una famiglia “senza stemma, nata e cresciuta sulla terra, una famiglia contadina”. Di Michele Di Lieto e de “La casa sul poggio” non può pertanto dirsi quel che Gramsci diceva del Manzoni e dei Promessi Sposi: che non c’è medesimezza umana tra l’Autore, gli umili e gli oppressi. L’accostamento non sembri irriverente: perché “La casa sul poggio”, L'Argolibro Editore, è un’opera che ripercorre quattro secoli di storia, fonde e confonde storia vera e storia falsa, affronta i temi storici più svariati, è un affresco storico-letterario coi suoi fatti e i suoi personaggi: sì che il raffronto sorge spontaneo col romanzo “storico” e con l’opera del Grande Lombardo. E, fosse o meno corretto quel che Gramsci diceva del Manzoni e dei Promessi Sposi, quel “sentire” e rappresentare il mondo dei potenti più di quanto non gli riesca con gli umili e gli oppressi, è certo che “La casa sul poggio” sfugge del tutto a un’accusa del genere, il romanzo di Michele Di Lieto essendo, per sua stessa ammissione, il romanzo dei “poveri cristi”.
“Poveri cristi” sono gli eroi della storia, quattro quante sono le parti del libro.
Povero cristo è Gesualdo, capostipite della famiglia Ognissanti, “barbiere con licenza di menar sanguette”, eroe della prima parte. Scappato da Napoli con moglie e  figli per sfuggire alla peste, la storia si svolge nel seicento, sbattuto da un naufragio sulla costa di Pesto, trova rifugio a Cicerale, terra quae cicera alit, e lì si trasforma da salassatore in allevatore di capre. Colpito nei suoi affetti dalla peste arrivata frattanto anche a Cicerale, vi perde due figli: e “quel che non aveva potuto il naufragio poté la peste, la stessa dalla quale erano fuggiti”. Arrestato e torturato per un delitto mai commesso, soccombente in una causa che lo avrebbe fatto ricco, “mille e ottocento ducati rimasti nelle pieghe di un registro”, sperimenta sulla propria pelle che “non c’è giustizia per i poveri cristi”, si isola dal mondo e da Dio, muore di ipocondria.
Povero cristo è anche Tarsio Ognissanti, eroe della seconda parte, che pure conosce il suo momento di gloria. Massone, liberale dalle idee avanzate, protagonista della repubblica partenopea, costretto all’esilio dai Borboni, perde in  Francia Maria Luisa, la compagna di vita. Tornato a Napoli nel regno conquistato da Napoleone, diventa parte attiva nel processo di riforme avviato da Giuseppe Bonaparte e proseguito da Gioacchino Murat. Tornati i Borboni sul trono, si rifiuta di collaborare con chi lo ha condannato a morte, lo ha costretto all’esilio, gli ha tolto l’amore di Maria Luisa. “Tarsio Ognissanti non era uomo di potere. Né uomo attaccato al danaro. Tornati i Borboni, fece vita appartata. Per qualche tempo tornò a fare l’avvocato. Poi riprese i contatti coi massoni, poi divenne carbonaro”… Partecipò sicuramente ai moti del ’20, qualcuno lo vuole ancora attivo nel ’28, nei moti del Cilento, qualcun altro sostiene di averlo visto in un covo di briganti. I registri di stato civile lo danno per morto nel ’30. Ma a Salerno. Nessuno è riuscito a spiegarsi perché sia morto a Salerno”. Certo è, aggiungo io, che muore come un cane, muore da povero cristo.
Anche Carlo Ognissanti, eroe della terza parte, fa una brutta fine. Mezzadro, contadino,  sottoposto alle angherie di Basilio Vanacore, proprietario della terra concessa a mezzadria, costretto ad emigrare alla ricerca di un futuro migliore, va negli Stati Uniti, a Paterson, nel New Jersey. Paterson era la città della seta, ma era anche la città rifugio di una nutrita colonia di anarchici. Carlo viene attratto dalle teorie di Errico Malatesta, anarchico meridionale venuto a far proseliti negli Stati Uniti. Non solo Carlo, ma anche la moglie, Gena, che, superato il trauma dell’ingresso in fabbrica, se non diventa anarchica, vi è assai vicina. Per una serie di motivi, che tutti si riducono alle angherie dei Vanacore, l’opposta famiglia nella quale sembrano riassumersi tutti i mali della storia, Carlo è costretto a tornare da solo in Italia per cercare un avvocato. Si imbarca su una nave francese, che pratica uno sconto speciale per i visitatori della expo del ‘900, e si incontra con Gaetano Bresci, e altri anarchici apparentemente diretti in Francia per lo stesso motivo.  Gaetano Bresci  è l’anarchico che la sera del 29 luglio 1900 ammazza a Monza Umberto I°. Nelle indagini sul delitto rimane coinvolto anche Carlo Ognissanti. Il suo nome viene riportato su tutti i giornali; col suo nome viene pubblicato quello della “fidanzata”, una tale Henriette, conosciuta sulla nave, con la quale aveva soggiornato in Francia per due settimane. Carlo Ognissanti dimostrerà, proprio attraverso Henriette, la sua estraneità al regicidio, ma la cosa non gli verrà  perdonata dalla moglie, Gena, che finirà per trattarlo da separato in casa. Carlo Ognissanti torna in Italia col figlio più piccino, lo manda alla Badia per studiare da avvocato, ma il figlio, chiamato alle armi, muore nel ‘17, vittima del fuoco ‘amico’. Carlo resta solo, e da solo muore nella terra natia, senza moglie e senza figli.
Ma il povero cristo più povero cristo, mi si perdoni il bisticcio, è Antonino, eroe della quarta e ultima parte del libro. Sbattuto, travolto, stritolato dalla macchina del potere, conosce i disagi e le peripezie di chi si avventura in un modesto progetto edilizio, il risanamento della casa sul poggio, che si trasforma in una vera via crucis. Dal direttore di cassa al geometra, dal geometra all’ingegnere, dall’ingegnere al geologo, dal geologo a quello dei sondaggi, e poi, daccapo, dalla Soprintendenza ai monumenti alla Soprintendenza al panorama, dalla Soprintendenza al panorama all’Ente Parco, dall’Ente Parco alla Autorità di bacino, dalla Autorità di bacino alla Commissione grandi rischi, dalla Commissione Grandi rischi alla Commissione frane. Per giungere ai controlli durante l’esecuzione dell’opera, dai tecnici del comune ai vigili urbani, dai carabinieri ai poliziotti in borghese, dai poliziotti in borghese ai militi della forestale, dagli Ispettori della Soprintendenza alla Commissione frane. Un percorso accidentato e perverso che, al solito, travolge solo i poveri cristi: perché gli altri, i ricchi, “costruivano senza intralci, e si vedevano case di un piano trasformarsi in palazzi”. Un percorso nel quale non è difficile scorgere una vera e propria denuncia del cinismo del potere, denuncia che appare in tutta la sua chiarezza nella quarta, ma non è assente nelle parti anteriori, come ad esempio, nella prima, quando si parla delle offerte alla Chiesa da parte della povera gente che, di fronte alla peste, pensa che tutto sia dovuto a un castigo di Dio, e si priva di tutto, anche di “pecore e capre allineate sul sagrato”, o, nella seconda, quando si parla delle indulgenze concesse dai Papi in occasione delle carestie, a chi fa digiuno per due giorni consecutivi.
Torniamo all’inizio, e al romanzo dei poveri cristi. Poveri cristi che, però, non sono dei vinti. Non sono i vinti del Verga. Gli eroi de “La casa sul poggio” combattono con tutte le loro forze contro la forza degli eventi, ma ne escono sempre soccombenti: sì che, alla fine, rimane un senso di amaro in bocca, perché tutto sembra rimanere come prima. I poveri sempre più poveri, i ricchi sempre più ricchi. E sono sempre i poveri a soccombere: perché a soccombere sono i poveri cristi. Conclusione amara alla quale l’Autore approda sulla base di un pessimismo di fondo, che affiora anche da altre sue opere: si può citare ad esempio il suo primo libro, la fine da suicidio del Pretore soppresso. Nell’intervista concessa al Sud, il giornale on line di Nicola Nigro, all’uscita di questo volume, l’Autore attribuisce questo suo pessimismo a un vizio di famiglia; e ricorda quel che scriveva il fratello morto, Giannino di Lieto, della nostra condizione, che è “l’olio per la croce//come un grido che si nutre di ingiustizia”. Ma è un pessimismo di fondo che trova riscontro in precedenti illustri, in tutti i grandi scrittori che si sono occupati di storia meridionale. A partire dal Verga (il “ciclo” dei vinti), a Tomasi di Lampedusa (“ se vogliamo che tutto cambi, nulla deve cambiare”) a Carlo Alianello e allo spirito che caratterizza la sua Eredità della Priora. Opere tutte che denunciano  il fallimento della politica dello Stato unitario e riportano alla mente la irrisolta questione meridionale. Una questione sempre attuale, resa oggi più acuta dalla crisi economica che attanaglia il  paese, e che vede sempre più accrescere il divario tra nord e sud d’Italia (il PIL che decresce in misura maggiore, le famiglie “povere” collocate sempre più nel meridione). Una crisi che costringe il meglio degli intellettuali, che dovrebbe essere la classe dirigente del domani, ad abbandonare il sud per recarsi al nord se non fuori d’Italia (fuga dei cervelli, migrazioni “intellettuali”).
Questo valore di attualità sembra a me uno dei pregi maggiori de La casa sul poggio, che certo non è priva di difetti (ma quale opera letteraria, che affronti temi così delicati, e percorra quattro secoli della storia d’Italia, non avrebbe difetti). Un difetto a me  sembra quell’insistere su temi storici del passato (il latifondo, i grossi proprietari terrieri, i ricchi sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri), o su temi più strettamente giuridici (il soccio, l’anticresi, l’ipoteca e il patto commissorio). Difetti che si spiegano con l’intento, neppure tanto nascosto, di dimostrare che nulla cambia, nulla è cambiato nel corso dei secoli, o si spiegano con la formazione culturale dell’Autore, che certamente non può mettere da parte la sua lunga vita di magistrato. Difetti che, però, rischiano di appesantire il discorso e rendere meno agevole la lettura. Se questo non avviene, si deve allo stile di Michele Di Lieto che, è stato già notato, ne La casa sul poggio è uno stile maturo. Uno stile semplice, accattivante, quasi ritmico, che non è copiato da alcuno. Uno stile che  si fonda, sotto il profilo formale, della ripetizione della parola chiave e induce, quasi costringe il lettore a seguire la storia di periodo in periodo, di capitolo in capitolo, di parte in parte. Anche per scoprire che fine fanno gli eroi di questa famiglia, che fine fa la casa sul poggio, che fine fa la scritta: TO, AD MDCLXXI, Terzo Ognissanti, anno del Signore 1671, che resta lì, incisa sul portale, e assurge a simbolo della fissità della Storia, della fermezza dei tempi.


Professoressa Anna Milite

martedì 26 gennaio 2016

"Il Signore del Mito": la recensione di Lucia Capo



Ecco la recensione che la professoressa Lucia Capo ha dedicato al saggio “Il Signore del Mito”, L’Opera Editrice, dell’Avvocato Lucio Mercogliano, presentato presso la Libreria L’ArgoLibro lo scorso dicembre.
Vi ricordiamo che a L’ArgoLibro trovate tutte le opere di Lucio Mercogliano.


È la seconda opera di Lucio Mercogliano che io recensisco, e, dopo “La luce di Vatolla” (Giambattista Vico), il Divino Platone; sono questi i macrocosmi che, riempiti di Assoluto, ci permettono di sollevarci fino al Sole.
La lettura e lo studio delle opere dell’autore esprimono questo bisogno di vincere la gravità (come diceva Socrate) salendo e toccando il punto più alto del cielo, pur rimanendo sulla Terra e continuando ad obbedire al suo tirannico condizionamento, respirando , però, la brezza di un mare senza confini e l’amore per la libertà.
Platone nasce ad Atene alla fine di maggio dell’anno 428 a. C. da una nobile e ricca famiglia. Infatti suo padre, Aristone, ha origini che si fanno risalire al mitico re Codro. Sua madre Perittione, è sorella di Carmide e nipote di Crizia II, esponenti di spicco dell’aristocrazia; e, a sua volta, discende da Dropide, amico e parente di Solone. Rimasta vedova, Perittione, va in sposa allo zio di Aristone, Pirilampo, amico di Pericle e sostenitore della sua politica, famoso per la sua ricchezza e per il suo allevamento di pavoni.
Si narra che Socrate abbia sognato di avere sulle ginocchia un piccolo cigno che subito mise le ali e volò via e dolcemente cantò e che il giorno dopo, presentandosi a lui Platone come alunno, avrebbe detto che il piccolo uccello era lui.
Sin dalla fanciullezza Platone si trova a stretto contatto, tanto con esponenti della fazione democratica: Pirilampo e Pericle, quanto con quelli della fazione oligarchica: Carmide e Crizia. Ancora giovanissimo fa già parte di una cerchia di uomini di Stato ed è quindi educato alla prospettiva di ricoprire importanti incarichi pubblici, com’è naturale per un ateniese che vanta il nome di Solone tra i propri antenati.
Sono anni drammatici per Atene a causa della spregiudicata strategia di Pericle, cioè di offrire riparo all’intera popolazione all’interno delle lunghe mura: le fortificazioni che collegano la città di Atene ai porti del Falero e del Pireo.
La sovrappopolazione dell’area urbana ateniese porta all’insorgere di una grave epidemia, si dice che lo stesso Pericle ne sarebbe morto e ciò spiana la strada alla fazione democratica che vede nella guerra totale, l’unico strumento per combattere una società incrinata.
Se a ciò si aggiunge il risentimento interno all’alleanza delle poleis, si può capire come i primi anni di Platone si siano svolti nella inquietudine. Nonostante ciò l’educazione del giovane rimane quella tipica di un aristocratico, con un maestro di lettura, uno di musica e uno di ginnastica che lo seguono per farlo diventare uno degli àristoi (i migliori) della società ellenica. A ventotto anni, Platone fu a Megara, con alcuni discepoli di Socrate, poi a Cirene, in Italia dai Pitagorici e in Egitto dai Profeti.
Nell’anno 399 a. C., tra odi feroci, matura il processo a Socrate legato alle vicende della guerra del Peloponneso. Socrate fu accusato di corrompere la gioventù e Platone, dopo aver messo i suoi beni a disposizione del Maestro, per pagare cauzioni, si dà malato, il giorno dell’esecuzione, sebbene nel Fedone sia riuscito a descriverla vividamente.
Da quel momento, Platone, meditò su come si sarebbe potuta migliorare la condizione della vita politica, rendendosi conto che quel miglioramento poteva essere operato solo dalla filosofia: <>.
Nel 387 a. C. ad Atene, egli acquista un parco dedicato ad Acàdemos, su un terreno suburbano, e fonda la sua scuola che chiama “Accademia”, in onore dell’eroe e la consacra ad Apollo e alle Muse. Sulla natura degli insegnamenti nell’Accademia, un passo della Repubblica dice: <>.
Platone muore nel 347 a. C. ad ottantuno anni. Secondo la tradizione gli allievi lo trovarono accasciato sul tavolo di lavoro, chino sull’ultima versione delle “Leggi”. Il Signore del Mito esprime la bellezza della verità filosofica che, secondo Socrate, è la certezza morale che conferisce un atteggiamento sereno, privo d’ansia e senza paura: <>.
Nota a tal proposito il filosofo Calogero: <>. L’argomentazione di Socrate è stringente: <>.
Questa ricerca, questo dare e chiedere ragioni, non è solo il supremo dovere per l’uomo, ma anche fonte di benessere per lui, qualcosa che lo appaga. In tal senso è il Sommo Bene (Il Simposio di Platone).
Di questo conversare e reciproco interrogarsi nell’aldilà, Platone dà una testimonianza nell’apologo di Er nel X libro della Repubblica. Er di Armenio, di stirpe panfilio, morto in guerra, al decimo giorno fu raccolto e trovato intatto e portato a casa, per essere seppellito. Tornò in vita al dodicesimo giorno, trovandosi già sulla pira, e raccontò ciò che aveva visto nel mondo di là. Descrisse il cammino delle anime, uscite dal corpo, per essere giudicate, verso un luogo singolare, in cui c’erano due contigue voragini della terra e altrettante in alto nel cielo, a cui venivano destinate le anime giudicate giuste o ingiuste.
Racconta Er: <>.
Non è questa, una descrizione isolata. L’interesse al dialogo e la propensione al vivo conversare trovano riscontro in altri luoghi dell’opera platonica, sia che si voglia intendere ciò come una traccia del magistero socratico nell’animo del divino allievo, sia che si ritenga l’opera platonica frutto di un unico autore : Socrate-Platone, o anche dall’incontro di due diverse personalità. L’immobile essere dell’ontologia classica si viene movimentando e diversificando nelle molteplici prospettive degli esistenti. Esso viene risultando quale mondo umano, non solo perché popolato da uomini, ognuno dei quali è portatore di una propria prospettiva, ma perché laboriosamente costruito in modo dialogico, attraverso il confronto e l’incrocio dei diversi punti di vista. Lo sforzo d’intendere gli altri esige una forma di decentramento, il riconoscimento della diversità altrui. Gli altri, da intendere, non sono altri apparenti, manifestazioni di un qualche mistico Spirito assoluto, ma, realmente altri da noi, diversi per gusti, preferenze, scelte e convinzioni.
Platone nel Fedro esalta il discorso orale “vivente e animato”, che come un seme fecondo viene gettato nell’anima dell’interlocutore e che è generativo di altri discorsi. A tal proposito, c’è una digressione sull’azione che viene esercitata dagli “ispirati incantesimi della parola”.
La parola è potente e irresistibile, è un <>. L’azione persuasiva può avere una portata terapeutica o distruttiva, simile a quella che viene esercitata dalle sostanze medicinali: c’è tra la potenza della parola e la disposizione dell’anima lo stesso rapporto che c’è tra l’ufficio dei Farmaci e la natura del corpo. Come, infatti, certi farmaci eliminano dal corpo certi umori e altri ne eliminano altri; alcuni spezzano la malattia, altri la vita; così anche dei discorsi; alcuni producono dolore, altri diletto, altri paura, altri ispirano coraggio agli uditori, altri, infine, con qualche persuasione perversa, avvelenano l’anima e la stregano.
Quali ragioni ebbe Elena, moglie di Menelao, re di Sparta, a sua discolpa? Elena <>. Perché fuggì con Paride? È innocente o colpevole? Elena è da ritenersi non colpevole, elle fece ciò per cieca volontà del Caso, meditata decisione degli Dei e decreto di Necessità; oppure, rapita per forza o indotta con parole o presa da amore. Se è per il primo motivo, è giusto che si incolpi chi ha colpa, poiché la Provvidenza divina non si può con previdenza umana impedire.
Naturale è, infatti, non che il più forte sia ostacolato dal più debole, ma il più debole sia dal più forte comandato e condotto: e il più forte guidi e il più debole segua. La Divinità supera l’uomo e in forza e in saggezza. E se al Caso e alla Divinità va attribuita la colpa, Elena va liberata dall’infamia. E se fosse stata indotta dalla forza fascinatrice della parola, trascinata da lusinghe e privata seppur dolcemente della sua volontà? Infatti se ella fu persuasa con la parola non fu colpevole ma sventurata. E se fosse stato l’amore a compiere tutto?
L’amore, in quanto Dio, ha la divina potenza a cui l’uomo non può opporsi né resistere. Come, dunque, si può ritenere giusto il disonore gettato su Elena, la quale sia che abbia agito come ha agito perché innamorata, sia perché lusingata da parole, sia perché rapita con violenza, sia perché costretta da intervento divino, in ogni caso, è esente da colpa.
Laddove viene compiuto un serio sforzo per cogliere le ragioni altrui, l’atteggiamento non può essere quello del censore. Sarà piuttosto un atteggiamento di apertura, di disponibilità e di comprensione più che di perdono, perché perdonare implica riconoscere che gli altri sono nell’errore, mentre lo spirito del dialogo soggiorna nella verità. Va scoraggiato, quindi, tutto ciò che cela una carica di ybris, di tracotanza e competizione. Il principio del dialogo o principio dell’altruismo, tolto il quale non si vede quale altra forma di civiltà possa giustificarsi; non che essere il fondamento dell’umana convivenza, è anche il permanente oggetto dell’attività filosofica che cessa di essere teoria del conoscere e investigazione sull’essere per riasserire la sua natura di teoria dell’agire.
Lucio Mercogliano, attraverso il suo minuzioso studio dei Dialoghi di Platone, ci fa capire che la genesi del dialogo segue il modello demiurgico ed è una forma di mimesis in grado di attirare l’attenzione di esegeti e far nascere nell’anima un piacere cognitivo, piacere che consente di superare il piano immaginativo e raggiungere quello epistemologico. Il dialogo, come mostra Platone, è mimesis della creazione divina ed è come il cosmo; ne riflette la polifonia delle voci attraverso i personaggi, si popola di protagonisti che rappresentano le nature diverse che si combinano nell’Universo.
Poiché il dialogo è come un cosmo e il cosmo è il più bello tra gli esseri viventi, il dialogo è analogo al più bel discorso, e, come il cosmo il dialogo è un vivente formato da parti in armonia.
Mercogliano ci mostra in Platone l’aspetto divino e apollineo. Il primo punto dell’argomentazione sottolinea il legame con i cigni, uccelli sacri ad Apollo. Ma perché Platone è accostato con continui rimandi ad Apollo? <> e vivere una vita in armonia cioè assimilata al tutto, vuol dire liberarsi dalla disarmonia che appartiene al mondo sensibile e la via anagogica offerta dai dialoghi è interpretabile come la via di purificazione tracciata da Apollo, una via, spiega l’etimologia del nome del Dio, che rimanda all’Uno, a ciò che è separato dalla molteplicità.
Lo stesso Platone appare in sogno a Socrate come un cigno senza ali che, dopo essersi fermato sul suo ventre riprende a volare. Studente non completo, àpteros = senza ali, dopo l’incontro e la frequentazione con Socrate, Platone riesce a trovare le ali che gli consentono di tornare a volare.
Esse nel Fedro, rappresentano la parte che è stata partecipe del divino e che permette di innalzarsi verso l’alto. Per esempio la descrizione degli eventi che precedono e seguono la nascita di Platone è piegata a finalità filosofiche.
Nei Prolegomena si dice che a rivelare la gravidanza di Perittione e a proibire ad Aristone di unirsi a lei prima della nascita del bambino non è esplicitamente Apollo. Il commentatore anonimo rivela semplicemente un legame tra Platone e una divinità protettrice. Analogie interessanti sono la Vita Pitagorica che risente dell’esegesi del Fedro e Giamblico di Calcide (IV sec. d. C.) pone l’accento sulla missione soteriologica assegnata a un’anima privilegiata e sempre in contatto col Dio.
Mnemarco di Samo, padre di Pitagora, riceve dall’oracolo di Delfi, la notizia della gravidanza della moglie e anche in questo racconto non ci sono riferimenti a un concepimento straordinario. Il filosofo di Calcide si sofferma sulla descrizione dell’invio di un’anima speciale nel mondo. Nei Prolegomena due epigrammi laerziani, parlano di un dono agli uomini di due ragazzi: l’uno figlio di Apollo, Asclepio medico del corpo, l’altro figlio di Aristone, Platone, curatore di anime annunciato da un oracolo.
Nella premessa dei Prolegomena si dice che la filosofia di Platone è come una fonte dove è possibile vedere che tutti gli uomini vogliono attingere. Si intende, certamente, tutti gli uomini che hanno qualità naturali e non quelli di natura dura, che come civette sono incapaci di guardare la luce del sole, i quali, credendo che ci siano soltanto le cose sensibili, non si pongono alcun pensiero degli intelligibili.
La Dea, sottolinea che ciò che trasmetterà a Parmenide è la verità: Aληθείης. Nell’epica tradizionale il riferimento ad αλήθεια conserva parte del suo valore etimologico, essendo un composto privativo di λήθη = dimenticare, e questo significa dire che la verità è il non-dimenticato.
Leggere Platone e studiarlo vale a non dimenticare perché il filosofo crea uno scenario ricco di significato che mantiene l’aroma della tradizione ma trasmette un messaggio che induce a ragionare e continua a costituire una sorta di bagno nelle limpide acque della filosofia.


Professoressa Lucia Capo

lunedì 25 gennaio 2016

"Giochiamo con i libri": un grande ritorno a L'ArgoLibro!


A L’ArgoLibro tornano gli appuntamenti di
Giochiamo con i libri
Un'iniziativa curata da Silvana Fasano
Operatrice olistica e conduttrice di gruppi per la crescita evolutiva.

Un particolare approccio alla lettura permette ai presenti di scoprire nuovi aspetti della propria personalità, del proprio carattere.
Il tutto mentre si è immersi in un'atmosfera piacevole, rilassata, “giocosa”.
Ogni incontro ha un costo di 7,00 euro.
Primo appuntamento:
Mercoledì 3 febbraio ore 18:30

Per qualsiasi informazione e per prenotazioni:
largolibro@gmail.com  3292037317

"Quando sono andato a scuola, mi hanno chiesto cosa volessi diventare da grande.
Ho risposto “felice”. Mi dissero che non avevo capito l’esercizio
e io risposi che loro non avevano capito la vita.”
(John Lennon)


L'ARGOLIBRO è
libreria indipendente - casa editrice - eventi culturali e artistici.
Siamo ad Agropoli (SA)
in Viale Lazio 16 
(zona sud, adiacente Via Salvo D'Acquisto,
accanto a “Ricambi Iannuzzi” e “Mani di Fata”).
Infoline 3395876415

martedì 19 gennaio 2016

"La casa sul poggio": la recensione di Germano Bonora



Ecco la recensione che il Professor Germano Bonora ha dedicato a “La casa sul poggio”, romanzo di Michele Di Lieto che abbiamo recentemente pubblicato. Qui trovate la scheda dedicata all’opera, con tutte le info per l’acquisto.

“La casa sul poggio - Storia e storie del Cilento", L’Argolibro Editore,  è l’ultimo libro di Michele Di Lieto, già magistrato, oggi scrittore a tempo pieno.
Il romanzo vuol essere la microstoria di una famiglia, gli Ognissanti, che si intreccia con fatti e avvenimenti della storia d’Italia. Nella nota introduttiva l’Autore cita la peste del 1656, la carestia del 1764, il colera del 1884, la Repubblica partenopea, le migrazioni di fine ottocento, gli anarchici italo americani del New Jersey: eventi che coinvolgono Spinazze, il paesino (inventato) degli Ognissanti, emigrati da Girgenti a Napoli, e da Napoli a Spinazze in seguito alla peste del 1656. Nel romanzo corrono due binari: quello ordinario degli Ognissanti e quello straordinario della storia del Cilento, del Meridione e, forse, d’Italia, che Michele Di Lieto riesce a fondere grazie a solide cognizioni storiografiche e giuridiche. Così, nella Repubblica partenopea si distingue la figura tutta inventata di Tarsio Ognissanti, laureato alla Federico II°, giovane collaboratore del giurista Mario Pagano che, a sua volta, si era trasferito a Napoli dalla provincia di Potenza (Brienza), e fu uno degli eroi della Repubblica del ’99. Mentre nella terza parte particolare attenzione l’Autore riserva ai milioni di migranti che spopolarono il Meridione a seguito della conquista dei Savoia, che, tra l’altro, imposero la coscrizione obbligatoria e, oltre a privare le campagne di braccia, suscitarono fenomeni di rivolta come il brigantaggio, favorito dai Borboni e dagli ecclesiastici più retrivi. In questa cornice di storia vera, l’Autore colloca la figura, anch’essa inventata, di Carlo Ognissanti, emigrato da Spinazze negli Stati Uniti, coinvolto senza saperlo nell’assassinio di Umberto I°.
Sempre nella avvertenza iniziale l’Autore afferma che il suo libro è per metà saggio per metà romanzo. Un genere che vanta illustri precedenti in Italia e nel resto d’Europa: da Manzoni a Proust, a Tolstoj a Dostojesky e altri.
Ne “La casa sul poggio”, come nei precedenti romanzi dello stesso Autore, importanza decisiva assume lo stile; e con lo stile il linguaggio, una sorta di pastiche che accosta voci cilentane accanto alla lingua italiana sempre fluida e ben curata nello stile tipico dell’Autore.  Quanto al contenuto, la storia degli Ognissanti a me pare la metafora del Sud, terra di conquista e di sfruttamento prima e dopo l’unità nazionale.  Storia dolorosa, emblematica, in cui si rispecchia quella dei “poveri cristi” di tutto il mondo, non soltanto del Sud d’Italia.
Il Cilento, terra di adozione di Michele Di Lieto, mi ricorda anche per questo romanzo la Sicilia occidentale, che Danilo Dolci scelse come seconda patria proprio perché vi potesse operare attivamente, per liberarla dal dominio politico, mafioso e anche religioso dell’epoca. Ma a poco valse il generoso impegno liberalsocialista del poeta-educatore supportato da artisti e intellettuali come Treccani, Bobbio e tanti altri. Dopo gli scioperi alla rovescia e l’occupazione delle terre incolte, negli ultimi anni della sua straordinaria vita si dedicò all’educare maieutico non soltanto in Italia, ma anche Oltreoceano, facendo migliaia di incontri e seminari di studio soprattutto coi giovani in cui confidava fortemente per un futuro pacifico e non violento.
Pare che Michele Di Lieto voglia portare la sua Casa sul poggio anche nelle scuole: gli auguriamo lo stesso successo che Danilo Dolci riscosse ovunque a contatto dei giovani. Gli auguriamo soprattutto che la Sua opera di magistrato e di scrittore non cada nell’oblio, come accade in tempi che tutto travolgono nello spazio di un mattino.  

Professor Germano Bonora

Lucio Mercogliano a L'ArgoLibro: le foto della presentazione

Presso la libreria indipendente L'ArgoLibro ad Agropoli continuano le presentazioni delle pubblicazioni di Lucio Mercogliano, sempre particolarmente interessanti.
Sabato scorso è stato presentato il saggio “L'orologio di Königsberg”, dedicato alla complessa e affascinante figura del filosofo Immanuel Kant. Un saggio, quello di Lucio Mercogliano, particolarmente godibile e leggibile a molteplici livelli, com’è stato sottolineato anche dai presenti.
La recensione critica è stata curata dalla Professoressa Lucia Capo, potete leggerla cliccando qui.
Vi ricordiamo che tutte le pubblicazioni di Lucio Mercogliano sono disponibili presso L’ArgoLibro, ad Agropoli in Viale Lazio 16 (zona sud, adiacente Via Salvo D’Acquisto, infoline 3292037317 - 3395876415).
Ecco le foto della presentazione.










venerdì 15 gennaio 2016

Francesco Sicilia a “Caleidoscopio”


Una meravigliosa poesia d'amore contemporanea accenderà di bagliori l'appuntamento settimanale con la letteratura in streaming sul sito Internet www.radiopnr.it. Nel Caleidoscopio che andrà in onda alle ore 20,30 di domenica 17 gennaio, il conduttore Andrea Bobbio riproporrà la lettura delle  poesie contenute nella silloge "Il colore dominante (trenta amorevoli tracce)", silloge edita nel 2010 e vincitrice del Primo Premio al Concorso "Poesie al mondo" di Belforte del Chienti in provincia di Macerata.
Collegato allo studio via telefono Francesco Sicilia, autore della raccolta, aveva introdotto i testi, letti a gruppi di cinque e intervallati da suggestivi brani musicali. Un'occasione per riascoltare ed apprezzare l'arte poetica di un giovane scrittore, il quale ama ricordare che "La bellezza dà i suoi frutti".
L'appuntamento è quindi fissato per domenica sera oppure, in replica, martedì 19 gennaio, sempre alle ore 20,30.


Nuova Radio Pieve - www.radiopnr.it (per l’ascolto cliccare sulla freccetta “Play” nella colonna a sinistra, in corrispondenza del nome del programma in onda).

A L'ArgoLibro un nuovo laboratorio per i bambini




 “ALLENA - MENTE”
- Pratica educativa che sviluppa nel bambino capacità critiche e autonome di pensiero. Coinvolgendo l’individuo nelle sue facoltà emotive ( essere e stare al mondo) e nelle sue facoltà mentali (immaginazione, linguaggio e logica);
- Rivolto ai bambini dai 6 ai 10 anni d’età;
- Si avvale di laboratori innovativi e dinamici che attraverso un pretesto creano situazioni-stimolo indispensabili per l’ascolto e il dialogo, progredendo in idee,ragionamenti, consapevolezze e riflessioni all’intero di un gruppo di lavoro che si costituisce in una“comunità di piccoli pensatori”, stimolando così la socializzazione.

- Obiettivi e finalità:
• Scoperta del possibile attraverso la meraviglia e la creatività;
• Prendere coscienza di se stessi e fortificare l’autostima;
• Sviluppare empatia attraverso la comprensione del pensiero altrui;
• Sviluppare emozioni e sensazioni verbalmente e operativamente.

Aspettiamo bambini e genitori sabato 23 gennaio alle ore 18:00 presso la Libreria L’ARGOLIBRO ad Agropoli per un primo inconctro che illustrerà i contenuti e le modalità del laboratorio.
Appuntamento ad Agropoli in Viale Lazio 16 (zona sud, adiacente Via Salvo D’Acquisto, accanto a “Ricambi Iannuzzi” e a “Mani di Fata”, infoline 3292037317 – 3395876415)

“Un bambino è un essere pensante, pieno di dignità, di orgoglio, di desiderio di autonomia, non sostituirti a lui, ricorda che la sua implicita richiesta è «aiutami a fare da solo»”.
“Non insegnate ai bambini” di Giorgio Gaber

lunedì 11 gennaio 2016

Ottava edizione de "Il Cielo in una Stronza": grazie a tutti!

Come ogni anno, anche la serata finale dell'Ottava edizione del Concorso nazionale per micro-racconti umoristici "Il Cielo in una Stronza" è stata garanzia di piacevole divertimento per tutti gli intervenuti.
La libreria indipendente L'ArgoLibro di Agropoli ringrazia l'Amministrazione comunale, l'Assessore alle Politiche per l'Identità culturale Francesco Crispino, lo scrittore Pino Imperatore, le lettrici e i lettori Biancarosa Di Ruocco, Carmela Rizzo, Milly Chiarelli, Lorena Sicilia, Valerie Cerrone, Maria Rosaria Verrone, Maria Luisa Limongelli, Annamaria Perrotta, Gennaro Guida, Michele Calabrese, tutti gli altri autori e le autrici inseriti nell'Antologia cartacea presentata durante la serata, tutti i presenti.
Presto sarà lanciato il bando della nuova edizione, quindi... la Stronza ritornerà a breve!
Ecco le foto della manifestazione di sabato pomeriggio a L'ArgoLibro.

L'ARGOLIBRO è libreria indipendente, casa editrice, eventi culturali e artistici. Siamo ad Agropoli (SA) in Viale Lazio 16 (zona sud, adiac. Via Salvo D'Acquisto, infoline 3395876415 - 3292037317)




























"Il Cielo in una Stronza": i vincitori



L'Ottava edizione del Concorso nazionale per micro-racconti umoristici 
"Il Cielo in una Stronza" 
ha visto come vincitori i racconti di:

Ermanno Crescenzi
Riccardo Carli Ballola
Gabriele Peccati

Gli autori vincono una notte per due presso le strutture ricettive di Agropoli "Casa Vacanze Campanina", "Affittacamere Hibiscus" e "B&B Marlè" (cliccate sui nomi per visitare i siti).
Complimenti vivissimi a loro, agli altri autori finalisti e a tutti gli autori inseriti nell'Antologia cartacea presentata durante la serata di sabato presso la libreria indipendente L'ArgoLibro (cliccate qui per vedere le foto).
La Stronza si rifarà viva presto con il bando della nona edizione! ;-) 



giovedì 7 gennaio 2016

Anno nuovo, il Segnalibro riparte alla grande!





(clicca sulle immagini per ingrandirle)

Gennaio: nuovo anno, tante novità nel Segnalibro:
- poesie di Silvio Catalano e Attilio Bertolucci;
- racconti di Elisabetta Mattioli, Pietro Rava;
- spazi dedicati alle pubblicazioni di Giovanna Della Porta («TripTown»), Michela Monaco («Graste (Cocci)»), Riccardo Sanna («La primavera arriva sempre di notte»);
- articoli di Anna Giordano e Vito Rizzo;
- news sugli eventi di gennaio che si terranno presso la Libreria L’ArgoLibro (spazio web dedicato www.largolibro.blogspot.it);
- il bando della seconda edizione del bellissimo concorso gratuito “Il Canto della Fata” (clicca qui)
- informazioni per aderire ai concorsi aperti a coloro che vogliono essere pubblicati sul Segnalibro (clicca qui);

 … e tanto altro ancora!
Vuoi offrire tantissima visibilità alle tue opere?
 e partecipa ai nostri concorsi!
I nostri concorsi on line e cartacei ti aspettano, clicca sui nomi!