Il cielo sopra la guerra - Rain
Autrice: Monica Fiorentino
Lettera 21.
Lento lo sguardo di lei si levò dal
foglio che aveva sotto le dita, su cui stava scrivendo con minuta grafia, e
alzandosi dalla sedia evitando senza successo che rigasse col suo fastidioso rumorio
il pavimento, si diresse verso la finestra a contemplare muta lo scrosciare
della pioggia a dilavare il creato intorno. Erano giorni cruenti quelli, forse
i più tremendi dallo scoppio di quella carneficina senza tregua, e senza orgoglio
che gli Umani chiamavano col nome di Guerra; un furioso attacco era venuto a
segnare le ultime ore in maniera indelebile, e ogni cosa sembrava crollare,
venire giù a catena sotto i bombardamenti a ripetizione.
Come a rallentatore le immagini dell’ultima
settimana presero a scorrere nella mente di Ylenia, sovrapponendosi: i cadaveri
sparsi per le strade, il fumo scuro, la cenere incollata ai resti di carne
crivellata esposta allo sguardo, i corpi ammassati, pullulanti di mosche e
sciami d’api, fermo-istante di labbra sdentate, cervella schiuse a impastarsi
con la polvere senza riguardo alcuno, braccia violacee spalancate a croce lungo
marciapiedi a far da cimitero senza nome.
“Non è facile alzarsi la mattina e
mettere i piedi nel fango. Non è facile, dopo essere stati tutto il giorno fuori
sotto il sole, ritornare alla base e fare un chilometro a piedi solo per
lavarsi. Non è facile aprire il pc e vedere che tuo figlio piange nel guardarti
in webcam perché vorrebbe abbracciarti e non è affatto facile rifare tutto
questo per mesi e mesi. Eppure ci sono ragazzi che mettono da parte se stessi e
quello che amano di più, per l'amore del tricolore che portano sul braccio.
Continuate così Ragazzi! La vostra forza è il nostro sorriso...”* le parole
scritte sui Giornali di quella mattina, sotto i titoli cubitali del quotidiano
ad aprire il nuovo giorno. Racconti. Narrazioni. Fette di vita vissuta, vera.
Purtroppo.
La terra di nuovo a tremare attorno a
lei, furiosa, implacabile, al sovvenire dell’ennesimo bersagliamento a
scuoterle la testa, e d’istinto la giovane si portò le mani a coprirsi le
orecchie, chiusa in quella classe traballante, ciò che restava di una scuola un
tempo piena di risa e grida di gioia, voglia di imparare, di cultura, sapere.
Lei, fra quelle mura, puntuale, i suoi sogni, le sue speranze, i fogli degli
appunti disseminati sul pavimento fra le matite spuntate, i corsi
all’Università così difficili da frequentare, fra il pericolo dei fucili
perennemente puntati alla nuca.
Il suo desiderio di denunciare con la
parola le ingiustizie e riempire il mondo di nuova poesia, a renderlo un posto
ancora vivibile per gli Esseri Umani, degni di questo nome “In Giappone è così,
pressoché ogni giornale ha una sezione riservata agli haiku, ogni giorno su di
un Giornale locale trova posto una poesia assieme alle notizie più importanti!
Ogni giorno!” stava ad osservarla muto, al suo fianco, nudo, scalzo, Hermes,
angelo bellissimo dai lucenti occhi viola, colmi di dolore accesi, i lunghi
capelli neri raccolti al lato destro del viso, lei in piedi in quell’aula
universitaria, con la sua gonna blu, logora, lunga alle caviglie, le braccia ad
allargarsi, matricola piena di illusioni “Accanto ai comunicati di quotidiano
orrore, spargimenti, sangue e dolorosa follia, trova luogo un soffio di poesia,
un motivo per continuare a sperare! Vorrei poter trasmettere questo!” un altro
colpo di mortaio a farla tremare, lei a serrare i denti in attesa che qualcuno
dei professori rimasti, venisse a far lezione, almeno per quella volta. Nascosti
i libri sotto i rialzi della pavimentazione, messi al sicuro, affinché i
soldati entrando, non potessero portarli via, né bruciarli. Le ginocchia di
Ylenia a tremare, lo sguardo a rivolgersi fuori verso una margherita a ondeggiare
sotto la pioggia, il miracolo della natura, laddove ancora nascevano fiori, una
margherita, un fiore, ciò che di più amava, desiderava quella mattina il suo
cuore. E l’angelo chiudendo gli occhi all’ulteriore boato a sottolineare lo
scempio della Vita Umana, graffiandosi il petto, conficcando le unghie nella
pelle, posò lo sguardo su quell’haiku scritto da lei, col gesso, sulle croste
delle mura deturpate Acquazzone/Dondolano
sottili/ I pensieri.
Fondendo la sua speranza con quella
ragazza, certa che la sua poesia, quella no, non sarebbe mai andata perduta
sotto il giogo della violenza, e sarebbe arrivata ben oltre quelle macerie, a
mettersi in salvo, cambiare il mondo, anche senza di lei, lei, che le aveva
dato le ali per volare verso la pace.
*Fonte “Album Passione Militare 18/11/2011
(gruppo facebook)”
Della stessa autrice: Carnem
Levare
Per contattare l’autrice: angelo.dicarta@libero.it
Quando l’odio infuria
più di ogni altra cosa, un riparo (esteriore, interiore) occorre
necessariamente trovarlo, o almeno provarci. Efficacissimo, questo racconto di Monica
Fiorentino, nel descrivere, intanto, l’ottusa e cieca retorica che cerca
sempre di coprire l’immane sofferenza umana. Occorre necessariamente essere
disumani, in uno scenario di guerra, assecondare solo gli istinti personali e
collettivi più bassi, indirizzandoli sul “nemico”.
Ma c’è la
poesia, ci ricorda Monica Fiorentino, cioè c’è la vita capace di non
arrendersi mai del tutto, con i suoi semi che purtroppo passano ancora
inosservati ai più, ma che ci sono, nitidissimi. Le pochissime parole tracciate
col gesso che verrà lavato via dalla prima pioggia o dalla prima bomba esplosa
nelle vicinanze non muoiono, perché non possono morire. Il senso più profondo
della Vita è questo: non c’è morte che possa cancellarla.
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