mercoledì 7 novembre 2012

Recensione di Lucia Capo



 “Mamma, tu non sei come le altre!”di Milena Esposito


Già dalle prime pagine ho avvertito una forte emozione, forse piacere, senz’altro orgoglio di conoscere una persona deliziosa, una persona perbene, soprattutto una intellettuale di raffinata sensibilità: Milena Esposito.
Il libro “Mamma , tu non sei come le altre!” è ben strutturato e consta di blocchi di studio sui temi del dialogo e della comunicazione fra genitori e figli. E’ questo uno scenario che è venuto , progressivamente, allargandosi a nuovi ambiti di ricerca, ricchi di spunti e di fermenti. E’ un work in progress, un pensiero non-finito ed io credo che la scrittrice abbia composto quest’opera nella più assoluta tranquillità;  e ricordo, a proposito, una frase di Edgar Quinet (scrittore francese che, tra il 1861 e il 1865, nel suo rifugio di Veytaux, in prossimità del castello di Chillon, scrisse un memoriale sulla Rivoluzione Francese): “Ho scritto quest’opera nella più assoluta tranquillità, come dal fondo della morte. Il rumore delle opinioni mi giunge così di lontano che mi lusingo di non appassionarmi ad esse”.
Conoscendo l’autrice e i suoi pregevoli saggi, sono sicura che realmente le opinioni  le giungono da lontano; ecco perché le sue idee sono momenti di uno scavo e tappe di un viaggio che non procede secondo una linea retta in una sola direzione, ma secondo una linea a spirale e a volte secondo la trama complessa dei “sentieri erranti” nel bosco e delle vie che apparentemente s-viano, ma che sostanzialmente mettono sulla strada.
Tema - chiave, nel caso presente, è quello del carattere fondante e costitutivo della condizione comunicativa, che da un lato dà significato ai nostri messaggi e dall’altro dà consistenza al mondo e al nostro essere stesso.
Tutta la riflessione è dominata dalla “regola aurea” che è poi la regola del dialogo.
L’etica socratica viene accostata all’etica cristiana fondata sulla disponibilità affettiva e sull’amore; e a tal proposito la  scrittrice sostiene (p. 10) che la madre che ama i propri figli deve comprendere la necessità di realizzare se stessa e non le loro aspettative. Deve scegliere di vivere e di far vivere. Deve essere felice e fornire gli strumenti ai propri figli per essere felici.
Questa felicità si chiama libertà.
Se il genitore (p. 11) “rinuncia alla propria felicità, insegna al figlio e alla figlia il sentimento del sacrificio.
Si immola, ma non rende sacra la propria vita. Il sacrificio non è sofferenza ma sacralità”.
E proprio dalla sacralità e dal piacere nasce il confronto, il cosiddetto “oggettivo”, che sorge al limite o al punto d’incrocio dei diversi mondi, allo stesso modo in cui da due immagini piane, viste attraverso lo stereoscopio, scaturisce una sola immagine a rilievo.
E’ il principio del dialogo o principio dell’altruismo, tolto il quale non si vede quale altra norma di civiltà possa giustificarsi.
Ed ecco il sentimento d’amore che deve unire genitori e figli, evitare i sensi di colpa e agire col cuore, come dice la scrittrice (p. 41): “accettare e anche perdonare sono scelte di libertà” e di cambiamento, caratterizzate dallo stupore.
“Educare all’amor proprio” (p. 49) perché l’amore è senza rive, è la prima forma di comunicazione è il contatto, la trasfusione interpersonale, il metabolismo dei corpi. Lo mostra la nutrizione intra-uterina e l’allattamento. Ma, attenzione, l’amore non è una forma di esperienza mistica ed osmotica di tipo possessivo e penetrativo; non a caso il mito di Dioniso era legato ad una fosca vicenda di sbranamento e nel Cristianesimo solo l’Eucarestia rende possibile la partecipazione mistica alla vita di Dio fatto carne.
“Il seme tira fuori sua madre, il figlio tira fuori sua madre. Mamma, tu non sei come le altre. Mamma sii felice e fa di me un essere libero come te. Il seme è vostro figlio”(p. 50).
“Amarsi è la risposta alle disgrazie” (p. 52). L’amore, quindi, è la ricostituzione dello status primordiale dell’àpeiron di Anassimandro. E il bacio?
Il bacio è comunione (negli amanti), è comunicazione,  è ricerca. Tale ricerca in parte alla Don Giovanni e in parte alla Tristano svela il movimento complesso e profondo dell’individuo moderno, consistente nello sforzo e nel desiderio di comunicare con l’altro, di essere riconosciuto e di riconoscere, di perdersi e di affermarsi nello sguardo di un alter ego amoroso.
L’amore appare, quindi, per la scrittrice, quale strumento di salvezza e di riconciliazione. Così si legge in una poesia intitolata: “Cet amour” (J. Prèvert) : “Anche se molto lontano sempre – E non importa dove – Dacci un segno di vita – Molto più tardi ai margini di un bosco – Nella foresta della memoria – Alzati subito – Tendici la mano – E salvaci”. In un mondo burocratico, minacciato dall’  “esprit de géométrie” (Blaise Pascal) che è spirito di distinzione e divisione, l’amore appare come mezzo di catarsi, come processo di unificazione e comunione, ma anche come rispetto e libertà.
Complimenti all’autrice che ha saputo, come sempre, comunicare emozioni intense e irripetibili in una concettualizzazione ontologica. E’ un libro che mi ha ricordato le parole di Bergson sulla semplicità del “filosofo” che, correggendosi e poi correggendo la sua correzione, rettificandosi quando credeva di completarsi, ha reso semplice la sua intuizione di cui si può fissare l’ombra, l’immagine fuggente, ma solo guardando bene quest’ombra, indovineremo l’atteggiamento del corpo che la proietta.
Ecco l’autrice ci ha condotto nella sfera del diritto che è , secondo Hegel, la sfera del volere libero, in quanto immediato e perciò individuale. Lo spirito si sa volere libero e si pone quale persona, quale essere in movimento (secondo Platone nel “Sofista”), in un continuo scambio con l’altro che non è sterile e vana dedizione, ma amore, desiderio di volare in alto, di dedicarsi all’arte, alla bellezza, alla beatitudine e all’“amore… puro” (p. 65). 

Lucia Capo

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