Ecco l'articolo di Eufemia Griffo dedicato alla poetessa Antonia Pozzi. Ne trovate una sintesi sul Segnalibro del mese di maggio (qui il post dedicato).
In fondo all'articolo trovate l'immagine della colonna dedicata nel Segnalibro.
L'eco cupa del tonfo
Ricordando Antonia
Pozzi
Il 13 Febbraio si celebra l'anniversario della nascita di
Antonia Pozzi, poetessa milanese morta suicida a soli ventisei anni. La data
che segna la fine della sua esistenza è il 3 dicembre 1938. La neve ricopre il
manto erboso attorno all'abbazia di Chiaravalle e attutisce ogni rumore; l'eco
del suo tonfo le dona pace, anelata da tempo. La sua bicicletta si ferma per
l'ultima volta costeggiando i campi dell'abbazia di Chiaravalle: questa sarà la
sua ultima fermata.
“Suonano i passi come morte cose
scagliate dentro un'acqua tranquilla
che in tremulo affanno rifletta
da riva a riva
l'eco cupa del tonfo”.
Parlare di Antonia Pozzi è un percorso emozionale che le parole
celebrano per restituire alla grande e indimenticabile poetessa milanese, quella
fama che in vita non raggiunse. D'altra parte sceglie di togliersi la vita
giovanissima, incapace di vivere in un mondo che non le apparteneva e che non
riconosceva essere suo.
Sì, bello morire,
quando la nostra giovinezza arranca
su per la roccia, a conquistare l'alto.
Bello cadere, quando nervi e carne,
pazzi di forza, voglion farsi anima;
quando, dal fondo d'una fenditura,
il cielo terso pare un'imparziale
mano che benedica e i picchi, intorno,
quasi obbedienti a una consegna arcana,
vegliano irrigiditi.
quando la nostra giovinezza arranca
su per la roccia, a conquistare l'alto.
Bello cadere, quando nervi e carne,
pazzi di forza, voglion farsi anima;
quando, dal fondo d'una fenditura,
il cielo terso pare un'imparziale
mano che benedica e i picchi, intorno,
quasi obbedienti a una consegna arcana,
vegliano irrigiditi.
La morte è come una liberazione per Antonia, è quel momento che
segna il distacco tra quei fili che in vita l'hanno tenuta tanto stretta fino
a soffocarla, e quel vuoto al quale lei si affida ora con consapevolezza.
Un passo indietro
Facciamo un passo indietro e parliamo di Antonia Pozzi, ovvero
della semplice ragazza che è stata, del suo amore per il suo professore di
lettere del liceo, delle sue amate montagne e delle sue poesie così intense e
uniche nel genere.
Bionda, minuta e delicata, Antonia è una bella bambina, come la
ritraggono molte fotografie; accanto a lei ci sono suo padre, l’avvocato
Roberto Pozzi, originario di Laveno, e la contessa Lina, figlia del conte
Antonio Cavagna Sangiuliani di Gualdana e di Maria Gramignola, proprietari di
una vasta tenuta terriera, detta La Zelata, a Bereguardo. Nelle fotografie i
suoi genitori la guardano sempre con amore e dedizione. Suo nonno Antonio è una
persona coltissima nonché un noto storico amante dell’arte e versato nel
disegno e nell'acquerello. La nonna, Maria, che Antonia chiama “Nena” è una
donna sensibilissima ed è la figlia di Elisa Grossi, a sua volta figlia del più
famoso Tommaso. Con Nena, Antonia avrà fin da bambina un rapporto di
tenerissimo affetto.
Passano gli anni e nel 1922 Antonia si iscrive giovanissima al
liceo- ginnasio Manzoni di Milano da dove, nel 1930, esce diplomata per
avventurarsi negli studi universitari, alla Statale di Milano. Gli anni del
liceo segnano per sempre la vita di Antonia. Tra i banchi di scuola, la Pozzi
si innamora perdutamente del suo professore di latino e greco, Antonio Maria
Cervi, che per primo le mostra la bellezza celata tra le parole e la vita che
scorre tra le righe di una penna.
Antonia inizia con Cervi una relazione che definisce in una
lettera all'adorata nonna Nena come «una gran fiamma dietro una grata di
nervi, un'anima purissima anelante.» Cervi
non è certamente un uomo attraente dal
punto di vista meramente fisico, ma ha un'immensa cultura classica e questo è
un elemento sufficiente per sedurre il cuore e l'anima di Antonia Pozzi.
La giovanissima allieva non fatica a scoprire che dietro
l’ardore e la serietà, nonché la severità del docente, si celano molte affinità
tra loro, come l'amore per il bello, l'arte, la cultura, la poesia e il sapere
in generale.
Il fascino si tramuta in un amore intenso e allo stesso tempo
tragico: Antonia non ha fatto i conti con suo padre che osteggia in maniera
ferma e fin dall'inizio la relazione col professore Cervi che viene quindi
trasferito a Roma. In realtà questo amore resterà incancellabile dalla sua
anima anche quando, forse per colmare il terribile vuoto, si illuderà di altri
amori, di altri progetti, nella sua breve e tormentata vita.
L'avvocato Pozzi, di tendenze filo-fascista, non vede di buon
occhio il legame tra sua figlia e il docente a cui Antonia inizia a dedicare
tante liriche, come questa che segue.
L'allodola
Dopo il bacio – dall'ombra degli olmi
sulla strada uscivamo
per ritornare:
sorridevamo al domani
come bimbi tranquilli.
Le nostre mani
congiunte
componevano una tenace
conchiglia
che custodiva
la pace.
Ed io ero piana
quasi tu fossi un santo
che placa la vana
tempesta e cammina sul lago.
Io ero un immenso
cielo d’estate
all'alba
su sconfinate
distese di grano.
E il mio cuore
una trillante allodola
che misurava
la serenità.
La poesia diventa una lirica straordinaria, bellissima e
coinvolgente, nonché la sublimazione di un amore impossibile.
A Roma Cervi instaurerà con la sua amata, uno scambio epistolare
che si protrarrà fino al 1934.
« Navighiamo a incontrarci» , scrive Antonia in una poesia del
1933 che ha come titolo «Ricongiungimento» .
Se io capissi
quel che vuole dire
− non vederti più −
credo che la mia vita
qui − finirebbe.
quel che vuole dire
− non vederti più −
credo che la mia vita
qui − finirebbe.
Tuttavia essi non si riuniranno mai più e il trasferimento del
docente a Roma, segnerà la fine della loro relazione.
All'inizio degli anni trenta, Antonia si iscrive alla facoltà di
lettere della Statale di Milano dove frequenta assiduamente le lezioni di
filosofia di Antonio Banfi, entrando nella cerchia dei cosiddetti “banfiani”,
tra cui spiccano Vittorio Sereni, Giulio Preti, Remo Cantoni, Alberto
Mondadori, Enzo Paci e Luciano Anceschi. Si tratta di un ambiente culturalmente
vivo e stimolante ma che la Pozzi non sente adatto a lei, donna e poetessa
sensibile, al punto che un giorno si sente consigliare da Banfi di passare al
romanzo storico e da Paci di «scrivere
il meno possibile.» Ma
come si fa a non dare voce alla propria anima, quando le parole ti prendono per
mano e ti conducono oltre quella realtà
che ti circonda?
Il seme del fascismo sta furiosamente germogliando ed è
impossibile rimanere chiusi nelle università quando una guerra oramai
imminente, sta per iniziare e il regime tesse la sua propaganda, entrando
trionfalmente nelle menti e nei cuori degli italiani.
Antonia ricorda le serate al teatro, in compagnia di sua madre,
una donna di famiglia aristocratica, colta e intelligente, ma succube del
marito.
Le serate alla Scala sono oramai un lontano ricordo, giorni in
cui la musica penetrava profondamente nel suo cuore e alla stregua delle sue
adorate parole, attraversava i meandri della sua anima. Sono memorie lontane,
appartenute a un passato cancellato dal dramma dei giorni che scorrevano sul
calendario; si celebra la lussuria della guerra che permea ogni cosa.
Con Dino Antonia, vagabonda nelle periferie milanesi, annotando
quella «miseria [che] durerà per sempre» e che le apre un mondo in netto
contrasto con il benessere borghese in cui è
nata e per il quale si sente in colpa. Antonia ha sempre snobbato i salotti
borghesi preferendo a essi, i campi
della pianura lombarda e la natura incontaminata di Pasturo, un
paesino della Valsassina frequentato fin dall'infanzia, tra « tra le mie
mamme montagne». È
tra gli amati monti che la Pozzi si ritira e scrive le sue poesie più belle. La
natura è la sua dimora, è il suo rifugio ideale, è assaporare la gioia
dell'infanzia e dimenticare i fantasmi che le si agitano dentro, sempre di più.
È malinconia di una vita che non ha vissuto come avrebbe voluto, del ricordo di
un amore perduto e mai dimenticato.
Nella natura selvaggia, tra rocce e gli amati nevai, a cui
dedicherà una lirica struggente, Antonia cerca quell'agognata pace che metta a
tacere il suo tormento interiore e faccia da elemento conciliatore tra lei e il
mondo.
In Nevai,
del 1934, Antonia tenta di pacificare il suo tormento, aprendo un dialogo tra
se stessa e il mondo, respirando le sue ferite nell'aria rarefatta delle cime
innevate.
Nevai
Io fui nel giorno alto che vive
oltre gli abeti,
io camminai su campi e monti
di luce –
Traversai laghi morti – ed un segreto
canto mi sussurravano le onde
prigioniere –
passai su bianche rive, chiamando
a nome le genziane
sopite –
Io sognai nella neve di un’immensa
città di fiori
sepolta –
io fui sui monti
come un irto fiore –
e guardavo le rocce,
gli alti scogli
per i mari del vento –
e cantavo fra me di una remota
estate, che coi suoi amari
rododendri
m’avvampava nel sangue –
La montagna è la vita e le parole di Antonia celebrano
perfettamente questo suo sentire. Che siano le montagne prossime a Pasturo,
come la Grigna, o quella più alta e più lontana delle Dolomiti, si palesa con
esse, un forte legame, un attaccamento unico alla terra. Radici forti che
diventano umane, come le emozioni di Antonia che le descrive, si fa prendere
per mano e condurre da esse, fino alla vetta più alta delle sue amate montagne.
Lo spirito si esalta fino a entrare in una profonda comunione
spirituale con la bellezza dei luoghi che la circondano.
Sulla parete strapiombante, ho scorto
una chiazza rossastra ed ho creduto
che fosse sangue: erano licheni
piatti ed innocui. Ma io ne ho tremato.
Eppure, folle lampo di tripudio...
una chiazza rossastra ed ho creduto
che fosse sangue: erano licheni
piatti ed innocui. Ma io ne ho tremato.
Eppure, folle lampo di tripudio...
Ma è anche una natura che le fa sentire tutta gli umani limiti.
Antonia vive con disagio la situazione politica e sociale del suo tempo, il cui
clima sempre più cupo sembra influenzare progressivamente anche il suo stato
d'animo e il suo sguardo sulla vita. Le parole non possono più salvarla e non
colmano il vuoto e la malinconia. È una spaccatura troppo netta tra il mondo là
fuori, in cui imperversa la guerra e quello che si agita nel suo cuore.
Preghiera
Signore, tu lo senti
ch’io non ho voce più
per ridire
il tuo canto segreto.
Signore, tu lo vedi
ch’io non ho occhi più
per i tuoi cieli, per le nuvole tue
consolatrici.
Il 15 settembre 1937, pochi mesi prima del suicidio, scrive
all'amica Elvira Gandini senza nascondere la sua disillusione, l'incertezza del
futuro, la strada in salita, una grande strada bianca. Si sente oramai
sdradicata e senza radici:
Ninfee
Anch’io non ho radici
che leghino la mia
vita – alla terra –
anch’io cresco dal fondo
di un lago – colmo
di
pianto.
La sua è una corazza vulnerabile che non la protegge più e anzi
lascia intravedere la sua disperazione mortale, di cui parlerà nel suo
biglietto d'addio, quando il 3 dicembre del 1938 sceglierà di darsi la morte
con un flacone di barbiturici.
La neve riveste di bianco la campagna intorno all'abbazia di
Chiaravalle. Antonia parcheggia la bicicletta e si siede a pochi metri da una roggia, come
in Lombardia chiamano i piccoli corsi d' acqua che attraversano i campi. Ha con
sé un barattolo di barbiturici che ingoia con una sola sorsata d'acqua e poi
si sdraia sulla neve. La trovano ancora viva, ma muore poche ore dopo,
ufficialmente per «polmonite»,
dirà suo padre, che tenterà a lungo di coprire lo scandalo del suicidio,
attribuendo la sua scomparsa a una polmonite ed evitando di far trapelare per
molto tempo le sue opere, oggi quasi tutte edite.
Pudore
Se qualcuna delle mie povere parole
ti piace
e tu me lo dici
sia pur solo con gli occhi
io mi spalanco
in un riso beato
ma tremo come una mamma piccola giovane
che perfino arrossisce
Ad Antonia Pozzi, è stato dedicato un film-documentario del
2009,
«Poesia
che mi guardi»,
della regista Marina Spada, impreziosito da immagini d'epoca della poetessa
milanese tratte dai filmati di famiglia.
« Triste
orto abbandonato l'anima
si cinge di selvagge siepi
di amori:
morire è questo
ricoprirsi di rovi
nati in noi »
si cinge di selvagge siepi
di amori:
morire è questo
ricoprirsi di rovi
nati in noi »
(Antonia Pozzi, da Naufraghi, 19 dicembre 1933)
La Pozzi è sepolta nel piccolo cimitero di Pasturo: il monumento
funebre, un Cristo in bronzo, è opera dello scultore Giannino Castiglioni.
Presagio
Esita l'ultima luce
fra le dita congiunte dei pioppi –
l'ombra trema di freddo e d'attesa
dietro di noi
e lenta muove intorno le braccia
per farci più soli –
Cade l'ultima luce
sulle chiome dei tigli –
in cielo le dita dei pioppi
s'inanellano di stelle –
Qualcosa dal cielo discende
verso l'ombra che trema –
qualcosa passa
nella tenebra nostra
come un biancore –
forse qualcosa che ancora
non è –
forse qualcuno che sarà
domani –
forse una creatura
del nostro pianto –
Milano, 15 novembre 1930
Opere di Antonia Pozzi (fonte: Wikipedia)
Tutte le sue opere sono state pubblicate postume. Nelle edizioni
più recenti è stata ricostruita la genesi delle sue poesie.
Parole, Milano, Mondadori, 1939, I ed., 91 poesie; 1943, II ed.,
157 poesie; 1948, III ed., 159 poesie; 1964, IV ed., 176 poesie, con prefazione
di Eugenio Montale.
Flaubert. La formazione letteraria (1830 - 1865), tesi di
laurea, con prefazione di Antonio Banfi, Garzanti, 1940.
La vita sognata ed altre poesie inedite, Milano, Scheiwiller, a
cura di Alessandra Cenni e Onorina Dino, 1986.
Diari, introduzione di O. Dino a cura di O. Dino e A.Cenni,
Scheiwiller, 1988.
L'età delle parole è finita. Lettere (1925 - 1938), con
prefazione di A. Cenni, Milano, Archinto, 1989.
Parole, con prefazione di Alessandra Cenni, a cura di A. Cenni e
O. Dino, Milano, Garzanti, 1989 e 2001.
Pozzi e Sereni. La giovinezza che non trova scampo, a cura di
Alessandra Cenni, Milano, Scheiwiller, 1988.
Mentre tu dormi le stagioni passano..., a cura di Alessandra
Cenni e Onorina Dino, Milano, Viennepierre, 1998.
Poesia, mi confesso con te. Ultime poesie inedite (1929-1933), a
cura di Onorina Dino, Viennepierre, 2004.
Nelle immagini l'anima: antologia fotografica, a cura di L.
Pellegatta e O. Dino, Milano, Ancora, 2007.
Diari e altri scritti, nuova edizione a cura di Onorina Dino,
note ai testi e postfazione di Matteo M. Vecchio, Milano, Viennepierre, 2008
A. Pozzi - T. Gadenz, Epistolario (1933-1938), a cura di O.
Dino, Viennepierre, Milano 2008.
Tutte le opere, a cura di Alessandra Cenni, Garzanti, Milano,
2009.
Poesia che mi guardi, a cura di Graziella Bernabò e Onorina
Dino, Bologna, Luca Sossella Editore, 2010.
Soltanto in sogno. Lettere e fotografie per Dino Formaggio, a
cura di Giuseppe Sandrini, Verona, Alba Pratalia, 2011.
Flaubert. La formazione letteraria (1830-1865) , a cura di
Alessandra Cenni, Milano, Libri Scheiwiller, 2012.
Lieve offerta, Poesie e Prose, a cura di Alessandra Cenni e
Silvio Raffo, Milano, Bietti, 2013.
Ti scrivo dal mio vecchio tavolo. Lettere (1919-1938), a cura di
Graziella Bernabò e Onorina Dino, Milano, Àncora, 2014.
Nel prato azzurro del cielo, a cura di Teresa Porcella,
illustrazioni di Gioia Marchegiani, Firenze, Motta Junior, 2015.
Parole. Tutte le poesie, a cura di Graziella Bernabò e Onorina
Dino, Milano, Àncora, 2015.
Lieve offerta, Poesie e Prose, a cura di Alessandra Cenni e
Silvio Raffo (con la biografia di Alessandra Cenni: In riva alla vita), Milano,
Bietti, 1ª ed. 2014, 2a ed 2015, ebook 2016.
Dal Segnalibro di maggio:
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