Ecco la recensione che la Professoressa Luciana Capo ha scritto in occasione della presentazione de “I Borghi dei Misteri”
di Gennaro Guida per la Rassegna “Storie di Sera al Serenella”.
Qui trovate le foto dell’incontro, qui la pagina dedicata al libro e qui la pagina Facebook dedicata.
Nel leggere
l’opera di Gennaro Guida, “ I Borghi dei Misteri”, si ha la sensazione di
contemplare degli acquerelli “fotografici” dove il repertorio è così vario che
ci permettono di compiere un viaggio nel mondo magico e perduto del Cilento,
fra piazze e vicoli, acquerelli che fanno percorrere ampi spazi, che consentono
di sbirciare nelle abitazioni attraverso gli austeri portali, che ci fanno
soffermare alle fontane pubbliche tra gli edifici, forse, sacri, che ci
conducono per le strade toccate da un’atmosfera rarefatta e affascinante, che
fa immaginare conversazioni quotidiane o una raccolta di fiori ; tematiche
semplici ma ricche di sfarzo e voluttà storica.
Un Cilento, quello
dell’autore, legato ad un tempo psicologico, al mito , alla magia e la sua è
un’operazione, non di memoria , che sarebbe riduttiva, ma un riconoscimento,
anzi, l’accesso ad un giacimento di storie che sono nell’anima dell’uomo e
nelle sue radici.
In un secolo molte
opere cadono o vengono ricordate, soltanto, come esempi di una evoluzione
letteraria, il libro di Guida rientra in un’altra categoria: quella dei libri
che segnano un momento della coscienza letteraria e che mantengono anche dei
valori maggiori e sono testimonianze.
In effetti “I
Borghi dei Misteri” è molte cose insieme: è la storia di una terra che diventa
protagonista.
Egli adopera un
registro che ricorda i Naturalisti francesi, evitando, però, i colori accesi e
riducendo le occasioni memorabili; ha preferito limitare la sua ricognizione
all’atmosfera, alla impossibilità di avere grandi sogni, ci ha fatto toccare il
grigio e l’indistinto, a volte, ha tratteggiato un sentimento di rinuncia
imposta dalla realtà e diventa il cantore del quotidiano, ma si tiene lontano
dalla filosofia dell’uniforme ed opta per la poesia che vive ad ogni angolo del
Cilento, per entrare in una vita depurata e alla fine trasformata.
Ogni parola del
libro travolge il ritmo e le ragioni del quotidiano; e il suo viaggio diventa
la nostra esistenza che , attraverso la bellezza di filtri e alambicchi, riesce
a trovare una spiegazione e , forse, una verità.
Attraverso le
storie, il canto, di un popolo, sommesso e , a volte, spento dalla
rassegnazione interiore, l’autore, trova un registro più alto e solenne, la
parola di sgomento si trasforma in un grido di dolore, il rifiuto dell’azione e
il senso della impossibilità diventano proposito fiabesco di ridurre l’uomo
normale a una specie di superuomo, in grado di vincere il dolore.
Ricordo Mallarmé,
che nella sua opera “Igitur” pensava che il poeta, il portatore di poesia,
potesse ambire alla sostituzione di Dio e avere e dare delle sensazioni
inedite; vale l’esempio italiano di D’Annunzio , che voleva fare della vita una
favola inimitabile.
A tal proposito il
libro di Guida ha, a mio parere, qualcosa di profetico, nel senso che,
riassumendo le grandi delusioni, le stanchezze, la fragilità morale di un
momento storico, ha avanzato una proposta forse paradossale, ma che comunque
appare accettabile: modificare la prosa del quotidiano e renderla audace, è in
fondo, la vittoria della creazione, delle fate e della seduzione, sulla
ripetizione catalogata e codificata di storie inerti e spente.
A me, sembra, sia
la storia di questo Faust del Cilento che ha rivendicato un posto per l’anima e
ha restituito all’uomo una dignità maggiore.
Il Naturalismo, si è illuso di ridurre l’uomo a un congegno,
il cui segreto è nei principi dell’ereditarietà e dell’ambiente; Guida, con la
sua fiaba, ha ricordato che nella composizione c’è qualcosa d’altro e che lo si
può esprimere in cento modi diversi, ma sempre sapendo che dietro lo scenario,
c’è qualcuno che ci aspetta, lo scrittore è andato ancora più in là, ha
intravisto qualcuno che esige una risposta.
L’autore nel suo
viaggio ha ridato colore alle orchidee bizzarre e taciturne, ha ridato alle
gemme la loro simbologia cristiana cosparsa di malinconia e lacrime ed ha
risposto al suo bisogno di respirare aria pura, di scuotere i pregiudizi
spezzando i limiti del romanzo tradizionale, di farvi rientrare l’arte, la
scienza, la storia, di sopprimere l’intreccio, persino la passione e l’amore,
rischiando, anche, di dare alle fiamme quello che si è adorato (Zola).
Tutto il romanzo,
con le sue vicende, la sua magia, la sua suggestione è come l’ombra di Erodiade
di Mallarmé (“L’epilogo azzurro”) che si dissolve leggera, lasciando intravedere
una statua ancora bianca, in un braciere di gemme spente: “O specchio – Acqua
fredda, gelata nella tua cornice - Quante volte e per ore intere, cercando i
miei ricordi che sono come foglie sotto il tuo vetro, sono apparsa a te come
un’ombra lontana. Ma qualche sera nella tua severa fontana, ho conosciuto la
nudità del mio sogno disperso”.
L’opera di Gennaro Guida ha maturato un profondo interesse
per la propria terra e un desiderio di respirare l’istinto possente di una
conoscenza che non può e non deve essere piegata in vecchi paradigmi ma deve
fiorire nella integrità e nella fiamma di una vita appassionata.
Professoressa Luciana Capo
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