Il molo
Lara era seduta su quella panchina, aveva lo
sguardo fisso nel vuoto (o meglio, puntava l’orizzonte), teneva il braccio
sinistro accostato al corpo, mentre la mano destra era appoggiata sul grembo. Era
iniziato l’anno nuovo, ma rispetto agli altri aveva poche aspettative. Si sentiva
sola e disperata dal momento in cui il suo immenso amore era sparito
improvvisamente, inghiottito da un’onda anomala, un mese prima del matrimonio.
Lui apprezzava la barca a vela, aveva rinunciato
alle gare per amore della compagna, ma di tanto in tanto “inforcava” l’adorato mezzo marittimo e solcava il mare. Amava il
famoso “Dio Poseidone”, pur temendolo,
in fondo, poiché sapeva che sarebbe stato capace di tradirlo.
Purtroppo, in una terribile giornata d’inizio
primavera, fu ingannato dall’acqua e l’onda anomala l’investì, assieme a “Marmaid” (la sua stessa barca),
uccidendolo all’istante. Il corpo venne trovato sulla riva nove giorni dopo.
Lara organizzò la cerimonia funebre nei minimi
dettagli, senza tralasciare alcun particolare, e in quel terribile giorno
mantenne un comportamento ineccepibile, sembrava perfino innaturale. Il “modus operandi” della donna suscitò le battute velenose del “parterre”
femminile, che non fu per niente gentile con lei. In breve tempo le “amorevoli” amiche sparirono dalla
circolazione e i messaggi su whatsapp diventarono nebbia, alla fine lei si
ritrovò sola come un cane e immersa nell’agghiacciante dolore. Soffriva
tremendamente, si sentiva abbandonata ma avrebbe preferito morire, piuttosto
che ammettere la sua debolezza.
Quando incrociava lo sguardo delle fantomatiche “amiche” sorrideva per poi procedere
lungo la strada. Viveva semplicemente: si svegliava al mattino presto, andava
in ufficio, lavorava ai vari progetti di architettura e per almeno tre o
quattro giorni alla settimana andava al cimitero a salutare l’amore della sua
vita.
Nei fine settimana si recava sul molo, sedeva
sulla panchina sulla quale aveva scambiato l’ultimo bacio con Marco e viaggiava
con la mente, verso i momenti felici, trascorsi assieme a lui.
Dalla tragica morte erano trascorsi tre anni e
mezzo ma non si era ripresa, non l’aveva dimenticato e nemmeno era riuscita ad
andare “oltre”.
Lara aveva delle passioni, quando era molto
giovane aveva frequentato un corso teatrale, si era anche esibita assieme ai
compagni, riscuotendo successo. Ad un certo punto, però, aveva appeso il
“copione al chiodo” perché una vocina interiore le “aveva ordinato” di smettere. All’epoca non ebbe rimpianti, fu
felice della scelta che aveva fatto, l’amore per Marco le “riempiva” ogni giornata. Perfino lui tentò in ogni maniera
possibile di convincerla a desistere dal proposito, ma le sue parole
precipitarono nel vuoto e lei lasciò la compagnia teatrale. Si dedicò al lavoro
e ovviamente al compagno.
Ogni volta che sedeva su quella panchina
ripensava alle notti d’amore trascorse con l’uomo. Durante l’ultimo incontro
provò una strana sensazione, infatti la mattina dell’incidente supplicò Marco
di restarsene a casa e rinunciare alla giornata in mare.
Come suo solito, lui fece orecchie da mercante,
le diede un bacio sulle labbra e corse verso il porto. I fatti dimostrarono
alla giovane donna che il presentimento era corretto. Anche per tale motivo, non
era ancora riuscita a perdonarsi.
Da tre anni e mezzo torturava il cervello con un
numero imprecisato di “se” e “ma”, ma era impossibile venirne a capo.
In realtà si sentiva terribilmente in colpa poiché aveva fallito, essendole
mancata l’energia per fermarlo. Ormai andava avanti per inerzia, attendeva con
pazienza l’ora fatidica e la sua stessa morte, per potersi congiungere
all’amato.
I suoi genitori avevano perso la vita in un incidente
stradale e lei era stata cresciuta dalla nonna paterna. Quando l’anziana donna
era deceduta, aveva cambiato città, abbandonando la Capitale in favore della
bella (e piccola) Ancona. Dopo solo tre mesi aveva conosciuto l’affascinante e
indomito Marco, si erano frequentati per poco tempo e fidanzati quasi subito,
suscitando l’invidia del “gentil sesso” marchigiano.
Molte ragazze avevano provato a conquistarlo, ma il ritroso velista le aveva
rifiutate tutte.
Invece la “straniera
romana” (come veniva chiamata), era riuscita a conquistarlo con un singolo
sguardo, si erano messe in testa che, se lui aveva perso la vita, era successo
perché lei gli aveva portato sfortuna, però nessuna pretendente aveva avuto il “fegato” di dirglielo in faccia.
Lara era stanca e disperata, poiché percepiva
l’essenza stessa della solitudine. Una mattina apparentemente come le altre si
sedette al solito posto, fissò il mare e le sembrò diverso, possedeva un blu
intenso, le rammentò il colore degli occhi, appartenenti a Marco. L’attimo dopo
udì la voce del compagno. Lei si alzò in piedi, senza voltarsi indietro, fece
pochi passi e si gettò tra i flutti.
Lara sparì
nel nulla, ma il loro amore vivrà per sempre nel Mar Adriatico e oltre…
Struggente e intenso, il nuovo racconto
di Elisabetta Mattioli, che ci parla di una solitudine che non
riesce ad uscire dal cerchio “perfetto” di un amore che la Vita ha bruscamente
interrotto.
Frase dopo frase, dettaglio dopo
dettaglio, il lettore può immergersi in una storia che vista “dall’esterno” ha
poco da raccontare, a parte il dramma della morte per incidente, e invece ha
tantissimo da narrarci scrutando il cuore e la mente della protagonista.
Elisabetta Mattioli ci guida con
tatto e sensibilità, ponendo l’accento su particolari illuminanti: dalla
panchina alle onde del mare, dall’opprimente rimorso alla stanchezza, il
racconto conosce un “formidabile sviluppo” grazie ad una scrittura forte,
precisa, indiscutibilmente chiara.
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