Ecco la recensione che la Professoressa Luciana
Capo ha dedicato alla raccolta di racconti “Graffiti” di Carmine Rossi
Vairo, presentata la scorsa settimana presso il Castello medievale di
Agropoli, nell'ambito della Rassegna del “Settembre Culturale”.
Vi ricordiamo che i libri di Carmine Rossi Vairo sono sempre in vendita presso la libreria indipendente "L'ARGOLIBRO" ad Agropoli, in Viale Lazio 16 - Zona sud, adiacente Via Salvo D'Acquisto, nei pressi del Centro per l'Impiego. Infoline: 3395876415.
Grazie di cuore alla Professoressa Luciana Capo!
Vi ricordiamo che i libri di Carmine Rossi Vairo sono sempre in vendita presso la libreria indipendente "L'ARGOLIBRO" ad Agropoli, in Viale Lazio 16 - Zona sud, adiacente Via Salvo D'Acquisto, nei pressi del Centro per l'Impiego. Infoline: 3395876415.
Grazie di cuore alla Professoressa Luciana Capo!
La
preziosità dell’opera di Carmine Rossi Vairo, Graffiti, è l’originarietà del linguaggio che si rivela nel fatto
di non concludersi in ciò che è detto.
“Dicendo”
, il linguaggio dello scrittore, nomina “la taverna che sembra unica , una
spiaggia deserta che sembra nera, un mare infinito che sembra azzurro”; egli
non applica parole, ma chiama entro la parola e così riduce le distanze, crea
intimità, tiene presso di sé le cose e le trattiene nella presenza che serba
intatta l’assenza. Ed è la seduzione, col suo destino ineluttabile, che non
appartiene mai alla sfera della natura, ma a quella del segno e del rituale.
Lo
scrittore definisce il piacere “caldo e rarefatto, impetuoso e sudato,
violento, carnale” e su tutto aleggia il potere della vertigine e
dell’ebbrezza. Il profumo della pantera non è forse un baratro a cui gli
animali si avvicinano per provare l’ebbrezza della vertigine? Sedurre significa
render fragili e noi seduciamo con la nostra vulnerabilità, con il vuoto che
incombe su di noi. L’effetto prismatico della seduzione consiste nell’esserci /
nel non esserci, assicurando una sorta di lampeggiamento intermittente di
dispositivo ipnotico che cristallizza l’attenzione e fa scintillare tutti i
rapporti.
Come
quello con Vivienne, immediato, forse un abbandono passeggero, casuale, pieno
di nonsense.
“Se ci
penso, Vivienne, mi chiedo se davvero volevi soltanto compiacere l’occasionale
compagno di una sera o se non era piuttosto il bisogno di una qualche tenerezza
a spingerti tra le braccia del primo conosciuto. Rosa caduca di pianta senza
radici, odorosa di vita ma presto destinata a sfiorire, chiunque altro avrebbe
goduto senza merito di quel tuo passeggero abbandono. Con la tensione che
s’andava spegnendo, ho poi seguito i tuoi gesti tornati sicuri con cui
cancellavi le tracce della recente intimità: hai ricomposto l’abito, ridato il
verso ai capelli, hai preso la mia mano e mi hai ricondotto tra gli amici. E
mentre turbato mi lasciavo guidare in quel nuovo presente, pensavo alla
casualità del nostro incontro nonsense, sulla quella terrazza bianca del
Selenia, in una notte calda di fine estate”.
E quello
fu un gioco, una tensione dei corpi, una ricerca di tenerezza? Forse la volontà
di sentirsi immortali, eternamente giovani, senza domani, così il gioco non
dovrà mai arrestarsi. Carmine Rossi Vairo da vero gentleman ricorda quella
notte al Selenia come una notte che non appartenne a nessuno, solo alla propria
anima, alla propria inconsapevolezza, ma così vibrante “di follia e di sano
epicureismo” da essere un omaggio ad una vita assoluta, umana e lacerante nei
suoi chiaroscuri, devotamente venerata, bagnata dalle acque di Santorini e
toccata dal fascino del disordine.
Eppure i
protagonisti dei suoi racconti “Galatea”, “Il polpo”, “Il barbone con i pattini
lucenti e il suonatore di violino-tromba”, sembrano vivere in un giardino
appartato ed accogliente, in cui nemmeno il sole agostano riesce ad essere
davvero bruciante.
La
grandezza di Carmine Rossi Vairo è nelle sensazioni che suscita, che danno un
elegante languore in un realismo immanente, senza alcuna concessione lirica o
intimistica. È la vita di un uomo, corpo ed anima, un manifesto di
indipendenza, di libertà, libertà anche di perdere la testa, di godere, di
soffrire e di invocare, sempre, la passione.
La sua
impeccabile narrazione diventa verità di un’esistenza che si rigenera in
mirabili passaggi di
viola,
rossi, gialli e azzurri, sotto un cielo che non riesce a nascondere il
Paradiso.
Forse
nascosto in quegli occhi da zingaro del suonatore di violino-tromba che
accarezza dolci melodie,
colte e demodé, con le sue dita che neanche il freddo riesce a fermare e quella
musica penetra
nell’anima, colorando di meraviglia tante infanzie come per un’improvvisa
creazione ossessivamente
cercata nella bellezza dell’istinto.
“Di lui ho
sempre ammirato la capacità di far vibrare le corde del suo originale violino
nelle gelide mattine di
inverno, quando, con la neve in quell’incrocio ventoso la temperatura scende di
molti gradi
sotto lo zero, ma le sue dita nude che sporgono dai guanti mozzati si muovono
veloci con agilità e
perizia. La sua musica fa fluttuare in quell’aria frizzante farfalle lucenti
davanti ai miei occhi
desiderosi di sole”.
L’Autore
getta una nuova luce umana, luce purissima sull’incanto di ogni luogo man mano
che gli si svela.
Viaggia in
una dimensione quasi mitica e si espone a tutte le violente suggestioni
storiche e naturalistiche e le tiene insieme in una descrizione che avvince e
convince.
Sembra di
udire la voce di Parmenide e di vedere la testa di Apollo in questo magnifico
Cilento, dove gli
uomini sono nient’altro che esperimenti di esistenza e restano schiacciati
dall’arte, simbolo di
perfezione e di eternità.
Carmine
Rossi Vairo viaggia e scopre una bellezza sconosciuta ai sensi eppure familiare
all’anima, toccata
dagli Dei e dalla purezza della vita e dell’alba.
Professoressa
Luciana Capo
Carmine
Rossi Vairo, Graffiti, Palombi Editore, 2017, pp. 144
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