“Treno per Lisbona”
Autrice: Monica Fiorentino
Lettera 21.
La sua Poesia. In quell’istante Mattia sollevò
la testa dal foglio, adagio, puntando fuori dal finestrino il lento calare delle
tenebre, l’imbrunire coi suoi colori accesi di rosso e d’oro, a bagnare le
rotaie, capaci ancora di emozionarlo con la loro forza, nonostante si trovasse
in quei luoghi di martirio, cimiteri a cielo aperto, voluti per mano umana.
Il vagone deserto, muto, un foglio semi-stropicciato
sulle gambe, il bicchiere in plastica del caffè tra le mani, quei versi sotto
le dita a divenire campi da arare, coltivare, per far spuntare nuovi fiori
profumati, nuove speranze, nuova luce in cielo. Pagine che il sangue e la
dittatura, non erano ancora riusciti a zittire con la loro efferatezza.
Lui, adorava la poesia, il suono che le
parole producevano nella sua anima al loro avanzare, scorrere, incalzare“Sono
bellissimi i tuoi haiku, Mattia, dovresti pubblicarli! Tutti! La speranza non dovrà
mai andare persa, mai! Il mondo tornerà a vivere!” l’incitavano i commilitoni,
suoi amici, quando lo vedevano scrivere, “Il poeta”, perennemente con quei
fogli piegati nelle tasche dei calzoni, anche in branda, di notte, alla fioca fiamma
di un lumicino.
“Dovresti farlo Mattia, la tua poesia
aiuta tutti noi, aiuterà anche gli altri!” lo esortava la dolce Olivia, da
sempre nel suo cuore, così bella coi libri sottobraccio, in corsa verso la sua Università,
ciò che restava ancora delle aule, tra i calcinacci e le matite spuntate sparse
alla rinfusa.
Il cadenzare del treno a fargli
compagnia, alternato al sonno sereno del suo fedele Thor accucciato lì accanto,
il ferro a scorrere lungo i binari, l’odore della carta consunta, sopra cui appuntare
sogni e speranze, in salvo dall’apocalisse che stava consumandosi attorno,
lontano dalle bombe, dagli spargimenti, i ventri aperti, il dolore della gente.
Era quella la sua gioia, il suo motivo ancora valido di vita, laddove niente
passava: la sua poesia, nasceva furente.
Ancora guerra, ancora rabbia, là tra i
cadaveri ammassati per le strade, la cenere incollata ai resti di carne
crivellata, esposta allo sguardo, pullulante di mosche e sciami d’api a
impastarsi con la polvere, senza riguardo alcuno, i corpi spalancati a croce ai
margini dei marciapiedi. Follia umana.
Gli occhi del giovane si abbassarono, pieni
di lacrime,era in quei momenti che la poesia gli era sempre venuta in aiuto,quando
tutto si faceva più tetro e sembrava perdere inesorabilmente ogni forma e
colore,i suoi haiku, quei tre versi nello stile classico, una manciata di più
all’occidentale. In quei momenti, loro, erano sempre riusciti a salvargli la
vita, insieme alla certezza inappuntabile che avrebbero riportato un giorno nuovo
respiro.
“Le pubblicherai tutte queste poesie.
Questi haiku riporteranno la pace, parleranno ancora di giorni di gioia!”gli aveva
sussurrato Olivia dopo l’amore, i suoi
capelli sparpagliati, calda dei loro umori, la testa poggiata sul suo
petto, in quel loro letto di fortuna, materasso a cigolare, rifugio notturno dalla
battaglia esterna “La poesia Mattia, non potrà mai fermarsi!” il suo ventre a contenerlo tutto. Gli
attimi in cui il soldato lasciava il posto all’uomo, l’odore di lei sulla pelle.
“Scrivi, scrivi sempre amore mio, non fermarti, ed il mondo non smetterà mai di
brillare!” era stata la preghiera di lei, col cuore in tumulto, nel loro bacio
più appassionato. La guerra sarebbe finita e lui era certo, l’avrebbe potuta avvolgere
trepidante,ancora una volta fra le sue ali. Mattia, quella sua mimetica
incollata addosso, a fasciargli il petto tracciato di cicatrici, cassa toracica
enorme che sembrava potesse racchiuderne due di cuori, sentiero indomito, lupo
selvaggio, pettirosso dalle ali di neve, lo sguardo pieno d’amore,
complice, la bocca dal sapore di margherite selvatiche.
Di colpo, spinse lui, a denti stretti,
con foga, lontano il bicchierino vuoto del caffè, all’ennesimo boato a far
tremare la direzione del convoglio,stridio di freni convulsi a lacerargli i
timpani, confondendosi col latrato di Thor, sul suo ultimo haiku a sfocarsi in
mille cristalli di luce Suspiros de pasión_/a infrangersi come onda/nel
mio sangue: il tuo nome. Chiudendo le dita a pugno, per sempre, sulla
notizia, a pieno titolo, in prima pagina, dell’ultima mina esplosa, ingegnata a
spargere morte. “Grave attentato!”, “Senza tregua la
vigliaccheria dei guerriglieri!”,“Colpito il treno per Lisbona!”,“Ennesima sanguinosa
strage dall’inizio del conflitto!” “Pray
for the peace!”, “Je suis Lisboa”. Lui,
angelo smarrito a serrare i suoi begli occhi viola, di dolore accesi, velati di
lacrime, a puntare verso quel cielo sopra la guerra, in un ultimo anelito
di orrore.
Della stessa autrice: “Promesso?...Promesso!”
Cos’è la guerra, se non l’assoluta
cecità dell’odio? Ce lo ricorda la potente scrittura di Monica Fiorentino, che tra versi e prosa continua il suo instancabile
lavoro dedicato ad una presa di coscienza – che deve essere necessariamente
personale e collettiva – che non ha mai fine. Anche nel “Treno per Lisbona” i
particolari chiarificatori si fanno strana attraverso il dolore che sembra impregnare
anche l’aria.
Grazie a Monica Fiorentino, agli “accostamenti” della sua scrittura e alle
sue “visioni”, possiamo renderci conto più facilmente di quali conseguenze
nefaste può avere – e ha, sistematicamente – l’odio cieco e inconsulto. E non c’è
“giustezza” che tenga, di fronte alla distruzione ottusa. Questo, l’arte può
insegnarcelo “nel profondo”.
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