venerdì 8 febbraio 2013

I RACCONTI DI VENER dì - Giuseppina Zupi





Gli affreschi di Michelangelo

Autrice: Giuseppina Zupi

La Cappella Sistina e gli affreschi di Michelangelo, nella inquietante grandiosità della rappresentazione statica, d’un tratto prendono vita e fermento. Brusìo, movimento, unitamente al caos e alla perfezione.
La dimensione spazio tempo confluisce in un presente comprensivo del passato e del futuro.
È giunto il tempo in cui si coniugano il termine e il principio dell’umanità: un cerchio senza inizio, senza fine.
La schiera di creature è nel contempo indistinta e individuata in ogni peculiarità.
Una voce pacata ma autorevole, della quale non si individua la provenienza, senza tono di condanna né di severità né di indulgenza, chiede alla prima entità: “Quale è stata la colpa più grave della tua vita?”
“La colpa più grave della mia vita è stata quella di non essermi amato, da questa responsabilità primordiale sono derivate tutte le infinite altre.
Non ho creduto nella magnificenza e nella grandezza del mio essere. Non ho tentato di realizzare i miei sogni infatti non ho più sognato.
Non ho gioito della vita, anzi a volte è stata così gravosa che ne avrei desiderato il termine. Ho vissuto una perenne ineluttabile sconfitta. Non ho considerato e messo a frutto le capacità, il talento e le peculiarità che gratuitamente mi erano stati elargiti, anzi ho sempre creduto di non possederne.
Non avendo amato me stesso, non ho amato nessuno. Ho preteso da altri supporto, gratificazione, motivazioni che avrei dovuto far emergere dal mio essere, rimanendone sempre deluso. Sono stato molto infelice e questa è una grande colpa.”
“Perché hai fatto questo?”
“Per paura! Ho avuto paura di vivere.”
“Creatura vuoi un’altra possibilità?”
“No, non la voglio perché da vivente ripeterei all’infinito lo stesso percorso, non saprei individuarne altri, mi ripresenterei tra migliaia di anni con il peso della medesima colpa. Sono stanco, voglio solo riposare.”
Il secondo essere della infinita schiera è sottoposto alla medesima domanda:
“Quale è stata la colpa più grave della tua vita?”
“La colpa più grave della mia vita è stata quella di essermi amato a dismisura! Da questa responsabilità primordiale sono scaturite le infinite altre. Ho creduto di essere perfetto, onnipotente, di avere capacità e facoltà tali da poter raggiungere ogni obiettivo, di poter scalare ogni vetta. Ho considerato gli altri come pioli di una scala che partiva da me e finiva con me. Il delirio di onnipotenza non mi ha portato nulla, solo tanta solitudine. Non ho condiviso i talenti e le capacità che gratuitamente mi erano stati elargiti quindi ho azzerato la mia vita e questa è una grande colpa.”
“Perché hai fatto questo?”
“Per paura! Ho avuto paura di vivere.”
“Creatura vuoi un’altra possibilità?”
“Istintivamente vorrei dieci, cento, mille possibilità, ma sarebbe inutile. Da vivente ripeterei all’infinito il mio delirio. Non conosco alternative. Mi ripresenterei tra migliaia di anni con il peso della stessa colpa.
Sono stanco, voglio solo riposare.”
“Esseri dell’universo avete prosciugato tutte le gocce di rugiada che generano vita e con le quali vi avevo copiosamente irrigato. Entrambi, per motivi opposti, avete calpestato la vostra esistenza, percorrendo il medesimo sentiero che conduce all’infelicità e alla sofferenza.
Tuttavia entrambi mi siete molto cari, siete stanchi e provati.
Riposate in pace e da questo istante sarete le stelle più luminose nella notte dei tempi.”

È questo, vivaddio, un racconto che lascia senza parole. È questo un racconto che non è polemico, non fa la morale, ma è morale di per sé. Il racconto di Giuseppina Zupi è profondo, racchiude un’intera filosofia, che filosofia non è, poiché è realtà. Bello, ben scritto, intenso e godibile. Giuseppina Zupi tratteggia un cerchio perfetto in un unico gesto preciso e arioso, e in questo spazio temporale, cattura il lettore, che se trova giusta la prima parte del racconto non può poi non condividere anche la seconda, poiché ogni cosa è vera e ogni dritto ha il suo rovescio.
È il racconto della dicotomia, questo, che però non è bipartizione ma unicità e armonia.

Per contattare l’autrice:  giuseppina.zupi@mit.gov.it




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