sabato 19 marzo 2011

La primavera e il sentimento aurorale della meraviglia



“Ver” chiamavano i latini, con un termine di origine indoeuropea, la primavera; mentre “primo vere” significava propriamente “all’inizio della primavera”. La locuzione, tradotta in volgare, venne a indicare nel Medioevo la stagione della fioritura, del passaggio fra inverno ed estate. Una stagione che si ripete regolarmente ogni anno. Eppure, per chi ha il dono di meravigliarsi, il risveglio della natura, i peschi fioriti, le margherite nei prati e persino l’erba nuova sono come un’inattesa epifania. La capacità di stupirsi di fronte al quotidiano è l’inizio della conoscenza, della vera conoscenza come diceva Platone nel “Teeteto”: “È tipico del filosofo quello che tu provi, essere pieno di meraviglia: il principio della filosofia non è altro che questo; e chi ha detto che Iride è figlia di Taumante sembra che non abbia tracciato una cattiva genealogia”. Il quale Taumante, dal verbo “thaumàzo”, “provo meraviglia”, era il padre della messaggera degli dei.
La meraviglia trascende la conoscenza perché è uno stato d’animo grazie al quale noi non osserviamo più la realtà attraverso la griglia della nostra conoscenza memorizzata. Nella meraviglia infatti nulla è dato per scontato. Tutto nel quotidiano, anche ciò che abbiamo già visto, costituisce per noi una sorpresa. Non è un privilegio di pochi; spesso vi sarà capitato di uscire una mattina di casa e di contemplare con stupore, quasi fosse il primo giorno della creazione, le case, gli autobus, le persone che s’incrociavano, persino la pioggerella uggiosa di una giornata primaverile, e i platani dei viali e il fiume. Scriveva uno dei maestri del pensiero ebraico contemporaneo, Abraham Joshua Heschel: “Siamo stupiti del fatto stesso di vedere qualcosa; stupiti non soltanto di fronte a valori e cose particolari, ma per il carattere inatteso dell’essere come tale, per il fatto che un qualche essere esista”. Questa meraviglia è l’inizio anche e soprattutto della poesia e dell’arte che sono gli strumenti più profondi di conoscenza perché ci fanno penetrare negli esseri, nell’essere.
Se riuscissimo a uscire ogni volta di casa con tale disposizione d’animo, a vedere le cose e le persone quasi le incontrassimo per la prima volta, i nostri pregiudizi cadrebbero a poco a poco. Questo procedimento di conoscenza è l’opposto di quello nato da Cartesio e basato sul dubbio iniziale e radicale: dubbio che finisce sempre nella disperazione radicale. È stato infatti il principio del “dubito ut intelligam” a preparare il terreno al relativismo e al nichilismo. Ma tutto possiamo mettere in dubbio, tranne il fatto di essere colpiti dalla meraviglia. Scriveva Heschel: “Se ci coglie il dubbio, noi poniamo delle domande; ma se ci coglie lo stupore non sappiamo neanche formularle. Sotto il mare fluttuante delle nostre teorie e delle nostre spiegazioni scientifiche giace l’abisso originario di uno stupore radicale che possiede un raggio d’azione più vasto di ogni altro atto umano. Mentre ogni atto di percezione o cognizione ha per oggetto un segmento determinato della realtà, lo stupore radicale si riferisce alla realtà nel suo insieme: non solo a ciò che vediamo, ma anche allo stesso atto del vedere e a noi stessi, a noi che vediamo e ci meravigliamo della nostra capacità d vedere.”

(brano tratto dal “Lunario” di Alfredo Cattabiani)

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