Ecco la recensione che la professoressa Lucia Capo ha dedicato al saggio “Il Signore del Mito”, L’Opera
Editrice, dell’Avvocato Lucio
Mercogliano, presentato presso la Libreria L’ArgoLibro lo scorso dicembre.
Vi ricordiamo che a L’ArgoLibro trovate tutte le opere di Lucio
Mercogliano.
È la seconda opera di Lucio
Mercogliano che io recensisco, e, dopo “La luce di Vatolla” (Giambattista
Vico), il Divino Platone; sono questi i macrocosmi che, riempiti di Assoluto,
ci permettono di sollevarci fino al Sole.
La lettura e lo studio delle
opere dell’autore esprimono questo bisogno di vincere la gravità (come diceva
Socrate) salendo e toccando il punto più alto del cielo, pur rimanendo sulla
Terra e continuando ad obbedire al suo tirannico condizionamento, respirando ,
però, la brezza di un mare senza confini e l’amore per la libertà.
Platone nasce ad Atene alla fine
di maggio dell’anno 428 a. C. da una nobile e ricca famiglia. Infatti suo
padre, Aristone, ha origini che si fanno risalire al mitico re Codro. Sua madre
Perittione, è sorella di Carmide e nipote di Crizia II, esponenti di spicco
dell’aristocrazia; e, a sua volta, discende da Dropide, amico e parente di
Solone. Rimasta vedova, Perittione, va in sposa allo zio di Aristone,
Pirilampo, amico di Pericle e sostenitore della sua politica, famoso per la sua
ricchezza e per il suo allevamento di pavoni.
Si narra che Socrate abbia
sognato di avere sulle ginocchia un piccolo cigno che subito mise le ali e volò
via e dolcemente cantò e che il giorno dopo, presentandosi a lui Platone come
alunno, avrebbe detto che il piccolo uccello era lui.
Sin dalla fanciullezza Platone si
trova a stretto contatto, tanto con esponenti della fazione democratica:
Pirilampo e Pericle, quanto con quelli della fazione oligarchica: Carmide e
Crizia. Ancora giovanissimo fa già parte di una cerchia di uomini di Stato ed è
quindi educato alla prospettiva di ricoprire importanti incarichi pubblici,
com’è naturale per un ateniese che vanta il nome di Solone tra i propri
antenati.
Sono anni drammatici per Atene a
causa della spregiudicata strategia di Pericle, cioè di offrire riparo
all’intera popolazione all’interno delle lunghe mura: le fortificazioni che
collegano la città di Atene ai porti del Falero e del Pireo.
La sovrappopolazione dell’area
urbana ateniese porta all’insorgere di una grave epidemia, si dice che lo
stesso Pericle ne sarebbe morto e ciò spiana la strada alla fazione democratica
che vede nella guerra totale, l’unico strumento per combattere una società
incrinata.
Se a ciò si aggiunge il
risentimento interno all’alleanza delle poleis,
si può capire come i primi anni di Platone si siano svolti nella inquietudine.
Nonostante ciò l’educazione del giovane rimane quella tipica di un
aristocratico, con un maestro di lettura, uno di musica e uno di ginnastica che
lo seguono per farlo diventare uno degli àristoi
(i migliori) della società ellenica. A ventotto anni, Platone fu a Megara, con
alcuni discepoli di Socrate, poi a Cirene, in Italia dai Pitagorici e in Egitto
dai Profeti.
Nell’anno 399 a. C., tra odi
feroci, matura il processo a Socrate legato alle vicende della guerra del Peloponneso.
Socrate fu accusato di corrompere la gioventù e Platone, dopo aver messo i suoi
beni a disposizione del Maestro, per pagare cauzioni, si dà malato, il giorno
dell’esecuzione, sebbene nel Fedone sia riuscito a descriverla vividamente.
Da quel momento, Platone, meditò
su come si sarebbe potuta migliorare la condizione della vita politica,
rendendosi conto che quel miglioramento poteva essere operato solo dalla
filosofia: <>.
Nel 387 a. C. ad Atene, egli
acquista un parco dedicato ad Acàdemos, su un terreno suburbano, e fonda la sua
scuola che chiama “Accademia”, in onore dell’eroe e la consacra ad Apollo e
alle Muse. Sulla natura degli insegnamenti nell’Accademia, un passo della
Repubblica dice: <>.
Platone muore nel 347 a. C. ad
ottantuno anni. Secondo la tradizione gli allievi lo trovarono accasciato sul
tavolo di lavoro, chino sull’ultima versione delle “Leggi”. Il Signore del Mito
esprime la bellezza della verità filosofica che, secondo Socrate, è la certezza
morale che conferisce un atteggiamento sereno, privo d’ansia e senza paura:
<>.
Nota a tal proposito il filosofo
Calogero: <>.
L’argomentazione di Socrate è stringente: <>.
Questa ricerca, questo dare e
chiedere ragioni, non è solo il supremo dovere per l’uomo, ma anche fonte di
benessere per lui, qualcosa che lo appaga. In tal senso è il Sommo Bene (Il
Simposio di Platone).
Di questo conversare e reciproco
interrogarsi nell’aldilà, Platone dà una testimonianza nell’apologo di Er nel X
libro della Repubblica. Er di Armenio, di stirpe panfilio, morto in guerra, al
decimo giorno fu raccolto e trovato intatto e portato a casa, per essere
seppellito. Tornò in vita al dodicesimo giorno, trovandosi già sulla pira, e
raccontò ciò che aveva visto nel mondo di là. Descrisse il cammino delle anime,
uscite dal corpo, per essere giudicate, verso un luogo singolare, in cui
c’erano due contigue voragini della terra e altrettante in alto nel cielo, a
cui venivano destinate le anime giudicate giuste o ingiuste.
Racconta Er: <>.
Non è questa, una descrizione isolata.
L’interesse al dialogo e la propensione al vivo conversare trovano riscontro in
altri luoghi dell’opera platonica, sia che si voglia intendere ciò come una
traccia del magistero socratico nell’animo del divino allievo, sia che si
ritenga l’opera platonica frutto di un unico autore : Socrate-Platone, o anche
dall’incontro di due diverse personalità. L’immobile essere dell’ontologia
classica si viene movimentando e diversificando nelle molteplici prospettive
degli esistenti. Esso viene risultando quale mondo umano, non solo perché
popolato da uomini, ognuno dei quali è portatore di una propria prospettiva, ma
perché laboriosamente costruito in modo dialogico, attraverso il confronto e
l’incrocio dei diversi punti di vista. Lo sforzo d’intendere gli altri esige
una forma di decentramento, il riconoscimento della diversità altrui. Gli
altri, da intendere, non sono altri apparenti, manifestazioni di un qualche
mistico Spirito assoluto, ma, realmente altri da noi, diversi per gusti,
preferenze, scelte e convinzioni.
Platone nel Fedro esalta il
discorso orale “vivente e animato”, che come un seme fecondo viene gettato
nell’anima dell’interlocutore e che è generativo di altri discorsi. A tal
proposito, c’è una digressione sull’azione che viene esercitata dagli “ispirati
incantesimi della parola”.
La parola è potente e
irresistibile, è un <>. L’azione persuasiva può avere una portata
terapeutica o distruttiva, simile a quella che viene esercitata dalle sostanze
medicinali: c’è tra la potenza della parola e la disposizione dell’anima lo stesso
rapporto che c’è tra l’ufficio dei Farmaci e la natura del corpo. Come,
infatti, certi farmaci eliminano dal corpo certi umori e altri ne eliminano
altri; alcuni spezzano la malattia, altri la vita; così anche dei discorsi;
alcuni producono dolore, altri diletto, altri paura, altri ispirano coraggio
agli uditori, altri, infine, con qualche persuasione perversa, avvelenano
l’anima e la stregano.
Quali ragioni ebbe Elena, moglie
di Menelao, re di Sparta, a sua discolpa? Elena <>. Perché fuggì con Paride? È innocente o
colpevole? Elena è da ritenersi non colpevole, elle fece ciò per cieca volontà
del Caso, meditata decisione degli Dei e decreto di Necessità; oppure, rapita
per forza o indotta con parole o presa da amore. Se è per il primo motivo, è
giusto che si incolpi chi ha colpa, poiché la Provvidenza divina non si può con
previdenza umana impedire.
Naturale è, infatti, non che il
più forte sia ostacolato dal più debole, ma il più debole sia dal più forte
comandato e condotto: e il più forte guidi e il più debole segua. La Divinità
supera l’uomo e in forza e in saggezza. E se al Caso e alla Divinità va
attribuita la colpa, Elena va liberata dall’infamia. E se fosse stata indotta
dalla forza fascinatrice della parola, trascinata da lusinghe e privata seppur
dolcemente della sua volontà? Infatti se ella fu persuasa con la parola non fu
colpevole ma sventurata. E se fosse stato l’amore a compiere tutto?
L’amore, in quanto Dio, ha la
divina potenza a cui l’uomo non può opporsi né resistere. Come, dunque, si può
ritenere giusto il disonore gettato su Elena, la quale sia che abbia agito come
ha agito perché innamorata, sia perché lusingata da parole, sia perché rapita
con violenza, sia perché costretta da intervento divino, in ogni caso, è esente
da colpa.
Laddove viene compiuto un serio
sforzo per cogliere le ragioni altrui, l’atteggiamento non può essere quello
del censore. Sarà piuttosto un atteggiamento di apertura, di disponibilità e di
comprensione più che di perdono, perché perdonare implica riconoscere che gli
altri sono nell’errore, mentre lo spirito del dialogo soggiorna nella verità.
Va scoraggiato, quindi, tutto ciò che cela una carica di ybris, di tracotanza e competizione. Il principio del dialogo o
principio dell’altruismo, tolto il quale non si vede quale altra forma di
civiltà possa giustificarsi; non che essere il fondamento dell’umana
convivenza, è anche il permanente oggetto dell’attività filosofica che cessa di
essere teoria del conoscere e investigazione sull’essere per riasserire la sua
natura di teoria dell’agire.
Lucio Mercogliano, attraverso il
suo minuzioso studio dei Dialoghi di Platone, ci fa capire che la genesi del
dialogo segue il modello demiurgico ed è una forma di mimesis in grado di attirare l’attenzione di esegeti e far nascere
nell’anima un piacere cognitivo, piacere che consente di superare il piano
immaginativo e raggiungere quello epistemologico. Il dialogo, come mostra
Platone, è mimesis della creazione
divina ed è come il cosmo; ne riflette la polifonia delle voci attraverso i
personaggi, si popola di protagonisti che rappresentano le nature diverse che
si combinano nell’Universo.
Poiché il dialogo è come un cosmo
e il cosmo è il più bello tra gli esseri viventi, il dialogo è analogo al più
bel discorso, e, come il cosmo il dialogo è un vivente formato da parti in
armonia.
Mercogliano ci mostra in Platone
l’aspetto divino e apollineo. Il primo punto dell’argomentazione sottolinea il
legame con i cigni, uccelli sacri ad Apollo. Ma perché Platone è accostato con
continui rimandi ad Apollo? <> e vivere una vita
in armonia cioè assimilata al tutto, vuol dire liberarsi dalla disarmonia che
appartiene al mondo sensibile e la via anagogica offerta dai dialoghi è
interpretabile come la via di purificazione tracciata da Apollo, una via,
spiega l’etimologia del nome del Dio, che rimanda all’Uno, a ciò che è separato
dalla molteplicità.
Lo stesso Platone appare in sogno
a Socrate come un cigno senza ali che, dopo essersi fermato sul suo ventre
riprende a volare. Studente non completo, àpteros = senza ali, dopo l’incontro
e la frequentazione con Socrate, Platone riesce a trovare le ali che gli
consentono di tornare a volare.
Esse nel Fedro, rappresentano la
parte che è stata partecipe del divino e che permette di innalzarsi verso
l’alto. Per esempio la descrizione degli eventi che precedono e seguono la
nascita di Platone è piegata a finalità filosofiche.
Nei Prolegomena si dice che a
rivelare la gravidanza di Perittione e a proibire ad Aristone di unirsi a lei
prima della nascita del bambino non è esplicitamente Apollo. Il commentatore
anonimo rivela semplicemente un legame tra Platone e una divinità protettrice.
Analogie interessanti sono la Vita Pitagorica che risente dell’esegesi del
Fedro e Giamblico di Calcide (IV sec. d. C.) pone l’accento sulla missione
soteriologica assegnata a un’anima privilegiata e sempre in contatto col Dio.
Mnemarco di Samo, padre di
Pitagora, riceve dall’oracolo di Delfi, la notizia della gravidanza della
moglie e anche in questo racconto non ci sono riferimenti a un concepimento
straordinario. Il filosofo di Calcide si sofferma sulla descrizione dell’invio
di un’anima speciale nel mondo. Nei Prolegomena due epigrammi laerziani,
parlano di un dono agli uomini di due ragazzi: l’uno figlio di Apollo, Asclepio
medico del corpo, l’altro figlio di Aristone, Platone, curatore di anime
annunciato da un oracolo.
Nella premessa dei Prolegomena si
dice che la filosofia di Platone è come una fonte dove è possibile vedere che
tutti gli uomini vogliono attingere. Si intende, certamente, tutti gli uomini
che hanno qualità naturali e non quelli di natura dura, che come civette sono
incapaci di guardare la luce del sole, i quali, credendo che ci siano soltanto
le cose sensibili, non si pongono alcun pensiero degli intelligibili.
La Dea, sottolinea che ciò che
trasmetterà a Parmenide è la verità: Aληθείης. Nell’epica tradizionale il
riferimento ad αλήθεια conserva parte del suo valore etimologico, essendo un composto
privativo di λήθη = dimenticare, e questo significa dire che la verità è il
non-dimenticato.
Leggere Platone e studiarlo vale
a non dimenticare perché il filosofo crea uno scenario ricco di significato che
mantiene l’aroma della tradizione ma trasmette un messaggio che induce a
ragionare e continua a costituire una sorta di bagno nelle limpide acque della
filosofia.
Professoressa
Lucia Capo
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