sabato 21 gennaio 2012

Cristalli di gennaio



In città non lo vediamo, ma altrove il ghiaccio è dappertutto. Il vento spazza la campagna. Nei più gelidi recessi c’è però una promessa di nuova vita.

Gennaio… crudo, pungente, gelido, sferzato da un vento che penetra nelle ossa e congela il sangue. I suoi giorni sono brevi, lunghe le notti, e un timido sole getta un arco diffuso, simile a un riflesso nel cielo blu ghiaccio.
La notte è così piena di luce riflessa che nel cielo si scorgono soltanto la metà delle stelle.
Questo è gennaio, la voce dell’inverno. I suoni dell’inverno pizzicano la pelle delle guance. Il rumore della neve calpestata durante una giornata di fragile gelo, il mormorio del vento notturno che soffia in un boschetto di abeti sulla collina, il lamento di un lago ghiacciato.
Il lamento sibilante della neve non si sente quasi più. Si percepisce ben più nettamente sotto le lame delle slitte. Durante la notte saliva sino al diapason, simile a una nota alta emessa da un violoncello, e si propagava nell’aria con timbro pieno per settecento, ottocento metri, se non c’erano ostacoli.
Faceva rabbrividire, anche se calzavi stivali imbottiti e indossavi un giaccone.
Il suono più minaccioso di gennaio è la voce del ghiaccio. A volte è un rombo gelato, ogni tanto un sordo brontolio. È lo scricchiolio e il lamento dei cristalli che cozzano l’uno contro l’altro, dell’acqua che diviene simile a una lastra d’acciaio. E il ghiaccio stesso è un palco risonante di gemiti e lamenti.
L’inverno presta al ghiaccio la sua voce. La sua avanzata è una delle voci più gelide: negli stagni, nei laghi e nei fiumi dal corso lento, il gelo stende un manto di ghiaccio, limpido come vetro. Il freddo aumenta e il ghiaccio diventa nero mentre si fa più spesso. Quando l’acqua si solidifica, si espande e comincia a premere contro gli argini. Poi, di colpo, la pressione è troppo intensa. Si verifica una spinta colossale, uno squarcio corre lungo il ghiaccio e l’intera distesa gelata risuona come un gigantesco tamburo.
Durante le lunghe notti di fioca luce stellare, spezzate dal morso di gelidi venti, la neve a volte cessa di cadere, ma il ghiaccio rimane. La sua eco rimbomba mentre si solleva e si spezza in mille crepe, troppo grande ormai per restare nel suo letto.
Che dire dei venti dell’inverno? È sufficiente che una tiepida luce solare li moderi, e si trasformano in innocue brezze irrequiete che rincorrono foglie e residui d’autunno…  Ma in una rigida notte di luna piena, essi sferzano i fianchi dei monti e inondano le valli, simili a marosi scagliati contro una costa rocciosa. Quando sono carichi di neve, la tormenta infuria. Qualche volta il vento di gennaio sembra provenire dalla stella più lontana, dal cupo abisso delle tenebre cosmiche, tanto remota e impersonale è la sua voce. Altre volte è più amichevole, giocherellona con il fumo di un camino oppure zufola come un ragazzino. Punge le orecchie e pizzica il naso, poi fugge via, danzando.
Il vento di gennaio ha cento voci. È un sussurro, un urlo, un rombo. Ruggisce tra le querce brulle e sibila violento giù per i pendii. Sospira sommesso tra i pini e gli abeti.
La luna d’inverno è la regina del cielo. In fretta si sbarazza del sole e poi illumina la gelida notte, immensa, lontana, solitaria. Si mette a danzare una maestosa pavana sulla superficie ghiacciata di un lago silenzioso, oppure disegna capricciosi geroglifici sulla neve sotto gli alberi spogli. Ma è fragile come vetro soffiato, affilata come l’artiglio di un gufo famelico. La luna d’inverno fa della notte un incantesimo, ma è aspro e gelido sortilegio. La volpe lo sa, e così pure la lepre frettolosa che sfreccia di ombra in ombra.
Un viandante notturno percepisce questa magia, dal suo fiato che si condensa in una nuvola luminosa e dal luccichio lontano di un tetto.
Il chiaro di luna di mezzo inverno non è il bagliore di un focolare riflesso nel cielo: è la fredda bellezza di un intero inverno che si avvolge come in un mantello di gelo dentro una lunga notte di gennaio.
Il crepuscolo invernale è altrettanto speciale, a modo suo, quanto quello di mezza estate. Dura mezz’ora meno che in giugno, ma sembra indugiare lungamente sul mondo rivestito di neve. La lunga notte è lenta a venire, come se i colli scintillanti volessero tener lontana la fredda profondità delle tenebre. Il buio giunge veloce appena il sole è tramontato, ma il cielo a ponente risplende ancora e l’orizzonte è attraversato da una strisca quasi luminosa di un verde intenso. Poi, mentre il sole affonda, un ultimo bagliore sembra riempire il cielo, come se ogni gelido cristallo scintillasse nell’aria. E la terra, le valli innevate e i colli, le alture ammantate di bianco si illuminano. Il crepuscolo è come il bagliore del fuoco visto attraverso una finestra coperta di brina.
Sul finire di gennaio, il tramonto giunge mezz’ora più tardi del mese precedente e c’è perfino un po’ di luce in più all’alba. Il cambiamento si nota dal modo in cui cadono le ombre, soprattutto a mezzogiorno, quando il sole avanza risalendo dalle profondità del cielo. Eppure questo mutamento appare volutamente faticoso, in questo periodo dell’anno. In gennaio, anche quando un soffio di tiepida aria proveniente da sud porta un effimero disgelo, presto è sopraffatto da un’altra raffica polare.
L’anno deve passare attraverso tutto l’inverno perché la primavera arrivi. Non ci sono scorciatoie. Il contadino, in queste giornate fatte di piccoli lavori tipicamente stagionali, ha tempo di meditare sui difetti umani e frattanto si sente grato per la propria sopravvivenza. Egli sa che dopo queste giornate di lavoro al coperto, giungerà il richiamo dei campi in marzo e aprile, il nuovo verde, la nuova vita di un mondo che sta per sbocciare. L’alternarsi delle stagioni, la primavera che verrà: ogni cosa è scritta in quelle ombre meridiane e nel più tardo tramonto. Con questi pensieri il contadino sbriga le sue faccende, sorveglia il focolare… in attesa.
                                                                               Hal Borland

2 commenti:

  1. Che meraviglia, c'è tanta poesia in questo scritto di Hal Borland. Ad ogni riga, pensiero, leggo suggestioni che diventano piccole poesie da leggere e conservare, nei giorni freddi d'inverno, quando la luce della luna penetra nelle stanze e diventa luminoso raggio che inonda lo spazio intorno a noi.
    Grazie!
    Eufemia

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  2. Grazie a te, Eu! Questi scritti vogliono essere proprio un "intimo invito" a riprendere contatti spesso smarriti, nel cemento e nel rumore della città.
    Francesco

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