Un regalo di Natale
Diana era
chiusa in ufficio, sommersa da numerose scartoffie, gli occhi passavano dal
computer alla carta, dai documenti al PC, senza fermarsi per un attimo.
Era il 23 dicembre,
non aveva ancora avuto la voglia di comprare gli ultimi regali di Natale.
Odiava quel periodo dell’anno, avrebbe voluto possedere la bacchetta magica e
cancellare le festività, arrivando al 7 gennaio.
L’unica
distrazione consisteva nell’ammirare i cataloghi dei tour operator, sognava ad
occhi aperti e desiderava solo andarsene via. Mentre “viveva” nell’adorato mondo onirico, una voce sgradita squarciò
l’assordante silenzio.
- Tesoro,
sono la tua mamma! Stai ancora lavorando? Ricordati di comprare gli cadeaux,
oppure al pranzo natalizio qualche invitato resterà a bocca asciutta!
- Mamma, ma
chi se ne frega! Detesto il giorno di Natale e i tuoi invitati, se qualcuno resterà
senza pacchetti, se ne farà una ragione!
- Diana, fai
la brava bimba, ne mancano quattro, cinque oppure sei!
- Ok, mamma,
farò come vuoi tu! -. E riattaccò la
cornetta con violenza.
Diana spense
il portatile, alzò i tacchi e andò in caccia di regali. Impiegò poco tempo,
entro un’ora aveva acquistato quasi tutto. Mentre usciva dal suo negozio di
scarpe preferito, inciampò in un tombino: sarebbe precipitata a terra, se non
fosse stata “raccolta” da un uomo. Lo
ringraziò cortesemente, dopo essersi scambiati uno sguardo complice, si
allontanò da lui.
Senza
rendersene conto girò su se stessa, ancora in caccia di quegli occhi, ma non lo
vide più. Evitò di pensarci, corse verso il parcheggio dell’auto. Aprì il portabagagli,
mise alla rinfusa tutti quei doni inutili.
Percorse cinque
chilometri, al semaforo rimase “incantata”
davanti ad una vetrina, vendevano bambole di porcellana, quando era bambina le
collezionava, decise di comprarne una.
La fretta fu
cattiva consigliera: inciampò di nuovo, avrebbe sbattuto il naso contro la
porta/vetro, se non fosse stata presa in braccio da un uomo. Era lo stesso di
prima, in quel caso sentì il corpo invaso dal calore, si sentì bruciare.
Provò una
piacevole sensazione, non proferì alcuna parola, al contrario seguì lo
sconosciuto fino al retro bottega. Il luogo era angusto, illuminato dalla luce
fioca di un lampione, lui appoggiò Diana contro al muro, le tolse il pesante
cappotto nero, scivolò velocemente dalle spalle, fino a cadere a terra.
La chiuse
nella sua morsa ed iniziò a baciarla con trasporto. Il cuore le scoppiava nel
petto, soprattutto quando la lingua dell’uomo penetrò voracemente in ogni
angolo della bocca. Invece di ribellarsi, contraccambiò il gesto di lui,
stringendosi maggiormente. Lui le allargò le gambe, riuscì a sollevarle la
gonna fino quasi alla vita. Dopo averle scostato gli slip, entrò dentro
l’intimità di Diana, all’inizio si mosse con cautela, facendosi largo tra i
lembi carnosi, in un crescendo di intensità, raggiunse il centro nevralgico del
piacere della donna. Glielo stuzzicò ed aumentò la forza, lei percepì un
profondo stato di benessere, gemette come non le capitava da tempo, la sua espressione
eccitata, aumentò il desiderio dell’amante, uscì dal corpo di lei, le slacciò
la camicetta di seta blu, riuscì a sollevarle il reggiseno, ed iniziò a
stringerle i capezzoli con le dita, dopo glieli leccò, serrandoli con le
labbra.
Lei provò delle
intense emozioni che dilagarono ovunque, ed entrambi gli amanti, furono incapaci
di opporre la minima resistenza, al contrario allentarono le difese, cedettero
alla lussuria e al suo volere. Formarono un’unione di carne e sangue, per la
prima volta, dopo tanto tempo, Diana chiese all’uomo di penetrala ancora, in
quel momento non le interessava nemmeno conoscerne il nome, bramava
semplicemente il corpo di lui, dentro la pelle. Voleva fermare le ore,
immergendosi nei meandri dei minuti, fondendosi in quell’unione nata per caso
davanti ad un negozio di scarpe, continuata sotto lo sguardo vitreo di una
bambola di porcellana e realizzata sotto ad un lampione mezzo rotto.
Inspiegabilmente,
l’uomo lasciò la presa, si sistemò il vestito, la baciò nuovamente in bocca,
fulminandola con gli occhi azzurri, senza voltarsi indietro corse via dal
retrobottega. Diana restò attonita, non capiva il comportamento di lui, si
sentì smarrita, abbandonata dalla sua stessa bramosia. Trascorsi i primi
istanti di stordimento, si ricompose, sistemandosi con calma il vestito.
Raccolse il cappotto nero da terra, l’indossò rapidamente, cercando di
dimenticare, in un nanosecondo, la stramba ma eccitante esperienza che aveva
appena vissuto con tutta se stessa.
Prima di
tornare all’auto, notò un foglietto di carta, lesse con avidità ogni singola
parola:
“Ciao Diana! spero di essere stato un magnifico e sensuale anticipo pre-natalizio,
ci vediamo presto, nel frattempo, aspettami! Tuo… Andrea.”
Lei pensò al
pranzo di Natale a casa dei suoi genitori, ai soliti ospiti, capì che poi non
sarebbe stato così noioso. Sorrise ed abbandonò per sempre il lampione.
Il “regalo di Natale” di Elisabetta
Mattioli è un racconto ricco di sensualità e leggerezza, che ci apre a una “parentesi
passionale” nel mare stressante dei giorni che precedono il Natale in città. Il
solito rito dei regali da acquistare fino all’ultimo minuto è insopportabile,
per la protagonista, che però non si ribella. Poi l’incontro (casuale?) con
Andrea cambia di colpo la prospettiva, rendendo quanto meno sopportabile l’idea
del “micidiale” pranzo di Natale a casa dei genitori.
Il tocco di Elisabetta Mattioli è sempre leggero, giocoso, la sua vivacità narrativa
si spande piacevolmente su tutto il testo, così il lettore giunge alla fine
della lettura provando una sensazione di benessere. Questo è un grande,
grandissimo regalo (non solo natalizio) che può farci l’arte!
Della stessa autrice: Il
molo
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