Il ricordo di un salice (piangente)
Nella
villa in cima alla collina il giardino era curato nei minimi particolari, nulla
poteva essere lasciato all’incuria, anche la pianta più insignificante era
considerata alla stregua di un’orchidea pregiata. Ogni mattina Rodolfo, l’abile
giardiniere, si alzava molto presto e cominciava il lavoro, impegnandosi fino
allo stremo delle forze, senza interessarsi delle stagioni, nulla poteva
fermarlo, nemmeno la pioggia battente…
Se
doveva terminare la mansione affidatagli dai datori di lavoro, rimaneva nel
giardino assieme alla sua fedele zappa, indossava i robusti stivali di gomma,
la camicia marrone a scacchi, i pantaloni mimetici, oltre a un ingombrante
cappello giallo. Nell’aria si sentiva il rumore sordo dell’attrezzo, immerso
nella terra, che diventava ancora più pesante a causa dell’acqua; senza il
minimo cedimento il buon Rodolfo continuava a combattere contro le zolle,
solamente dopo aver finito riposava le stanche membra sotto un albero.
Trascorsi sessantun minuti, si destava dal sonno, sgranchiva le gambe e ripartiva
più baldanzoso che mai verso la prossima mansione.
Il nome dell’albero pregiato
era il preferito di Rodolfo e il muto testimone di un antico ricordo, si
trattava di un…
Un
meraviglioso salice, che da tanti anni era l’attrazione principale dei
proprietari della villa; ovviamente il giardiniere (non più giovane, per
rispetto non vi dirò l’età) l’aveva notato subito, quando era stato assunto,
dal Signor Cabaccini, il futuro padrone di casa. Rodolfo rimase subito colpito
da quello strano albero, non eccessivamente maestoso rispetto ai giganteschi
abeti presenti nel parco della villa, però capace di trasmettere un’insolita
allegria per chi lo vedesse, in controtendenza
al suo infausto nome. Una volta terminato il lavoro intorno al giardino, Rodolfo
faceva una piccola siesta ai piedi del salice, appoggiando l’ingombrante
cappello giallo sulla faccia, fischiettando di tanto in tanto.
Durante
una siesta sentì il rumore di passi a lui non conosciuti, vide volare via il
cappello giallo: una ragazza vestita con una camicetta azzurra, glielo aveva
strappato e stava ridendo di lui. Invece di arrabbiarsi, Rodolfo guardò nei
profondi occhi color nocciola della ragazza, ne rimase incantato, fino al punto
di non proferire nemmeno una parola.
La
giovane disse di chiamarsi Clarissa e si allontanò da lui con passo veloce. Il
giorno seguente Rodolfo venne a sapere che si trattava della nuova cameriera assunta
dal Signor Carabaccini, quindi decise che l’avrebbe conquistata a ogni costo.
Purtroppo
i primi tentativi furono fallimentari… All’inizio del corteggiamento, investì
la ragazza con frasi inerenti alla sua bellezza, ponendo l’accento sulla
meravigliosa chioma castana, paragonandola alla Dea Artemide, mentre gli occhi nocciola
erano talmente profondi da essere simili a una grotta in Slovenia. La bella
Clarissa non fu scalfita. Ascoltava in silenzio il povero uomo innamorato; solo
dopo avere udito quelle parole, lo guardava negli occhi, si metteva a ridere e
tornava al lavoro.
Il
secondo tentativo consistette nel ricoprire la ragazza con profumati gigli, che
ordinava dal migliore fioraio di sua conoscenza. Pur di avere i fiori, il
povero Rodolfo spendeva quasi la metà dello stipendio, ma il risultato non
cambiava e Clarissa, invece di apprezzare il gesto, fissava nuovamente l’uomo
negli occhi, dopo strappava davanti a lui ogni petalo, gettando il resto dei
gigli dentro il cestino dei rifiuti.
Rodolfo
era disperato, a quel punto non sapeva veramente dove sbattere la testa… Fu
allora che gli venne un’idea: inforcò la Cinquecento azzurra e andò in banca,
dove aveva depositato su un conto corrente tutti i suoi risparmi. Ritirò circa
la metà del denaro, corse immediatamente dal miglior gioielliere della città.
Guardò avidamente tutti gli anelli in vetrina, però non trovo nulla in grado di
colpire la sua attenzione. Fu allora che si armò di coraggio ed entrò nel
negozio, chiese al proprietario di mostrargli gli anelli più belli che aveva.
Il negoziante mise davanti agli occhi di Rodolfo un anello tempestato di
brillanti e zaffiri. Il giardiniere se ne innamorò, gli costò quanto la cifra
prelevata in banca.
Però
amara fu la sorpresa quando Rodolfo diede il gioiello a Clarissa. Invece di
esserne felice, tirò il prezioso anello in testa al corteggiatore, che incassò
stoicamente il colpo e rimase zitto, sotto la risata gracchiante della donna,
che si allontanò da lui.
Giunti a questo punto,
qualsiasi uomo si sarebbe arreso, peccato che Rodolfo fosse di altra idea. Un
giorno condusse la ritrosa Clarissa ai piedi del salice e…
L’innamorato
giardiniere prese la ritrosa Clarissa tra le braccia, la strinse forte al
petto, fino a quasi non farla respirare, baciandola con tutta la passione,
quando le chiese per quale motivo, non si fosse ribellata, lei rispose che il
suo uomo, doveva essere capace di farla stare zitta…
Ora capite perché il
salice era l’albero preferito di Rodolfo.
Elisabetta Mattioli ci regala una nuova favola, deliziosamente immersa in una
contemporaneità che il lettore non fa fatica a sentire vicina, prossima. La
struttura di fondo è semplice, e da essa si diramano infinite sfumature che ci
rendono sempre più partecipi della “piccola” storia Rodolfo e Clarissa.
Le dinamiche amorose sono ben chiare,
nella mente di chi scrive, e illuminante è anche l’accostamento alla natura “addomesticata”,
plasmata dall’uomo che è consapevole della propria forza. Elisabetta Mattioli ci presenta una protagonista femminile
apparentemente capricciosa, in realtà anche lei consapevole dei propri
desideri.
“Il ricordo di un salice (piangente)” è lettura molto godibile, piacevole,
una nuova prova di bravura dell’autrice.