Il kiwi e la bambina
C’era una volta un kiwi, un uccello che
non sapeva volare. Il suo nome era Vicky, viveva in Australia e gli piaceva
camminare: faceva spesso delle lunghe passeggiate nelle calde pianure
australiane, dove la terra è rossa e il cielo immenso.
Un giorno camminò così a lungo che
incontrò una cosa che non aveva mai visto prima: era una specie di casetta a
punta, di stoffa, unita in cima da alcuni pali di legno. Era molto colorata ed
emanava un vago profumo di miele e spezie. Vicky non lo sapeva, ma stava
guardando una tenda.
Si avvicinò con prudenza, ma non sentì
alcun rumore provenire dall’interno di quella strana costruzione, così scostò
lentamente un lembo di tela ed entrò piano.
“E tu cosa ci fai qui?” gli chiese
gentilmente una voce femminile, più stupita che spaventata.
Vicky girò il collo e vide, nella
penombra della tenda, una ragazzina magra dalla pelle scura, con gli occhi neri
come il carbone; era seduta con le gambe incrociate davanti a un bastoncino, da
cui si spandeva nell’aria quel buon aroma mielato. Aveva i capelli crespi e
parecchio spettinati, ed era vestita con una canottiera rossiccia attillata e
dei larghi pantaloni di lino, color sabbia.
Vicky, preso alla sprovvista, non seppe
cosa dire e stava per bofonchiare una risposta imbarazzata, quando la ragazzina
lo precedette:
“Scusa, sono stata maleducata: prima
avrei dovuto presentarmi io: mi chiamo Aniel e sono una strega”.
Vicky la guardò dubbioso:
“Però non sembri una strega” sussurrò
l’uccello con onestà.
Aniel ci pensò un attimo, poi fece
spallucce:
“È vero, hai ragione: forse non sembro
una strega” riconobbe la ragazzina “ma questo non vuol dire che io non lo sia”.
Vicky annuì:
“Anche io sono un uccello, ma non lo
sembro: non so neanche volare…” ammise.
“Sì, beh, per quello io non so ancora
fare nessuna magia” sospirò la bambina “sono qui apposta per meditare… Sai cosa
vuol dire, vero?”
“No” rispose il kiwi, che era un tipo
sincero: se non sapeva una cosa, non fingeva di conoscerla, ma semplicemente
diceva la verità.
“Mhm… meditare significa sedersi,
pensare a lungo, concentrarsi e trovare qualcosa dentro di sé” spiegò Aniel.
“Un po’ come fare la cacca?” domandò
ingenuamente l’uccello.
“N-no, non esattamente”, tentennò Aniel,
“ma in un certo senso sì: diciamo che è più come fare una passeggiata dentro di
sé, ma senza muoversi”.
Vicky non era certo di aver capito la
spiegazione, ma si sentiva comunque abbastanza a suo agio, nonostante fosse in
un posto sconosciuto e stesse parlando con una ragazzina umana che diceva di
essere una strega. Si sedette un po’ goffamente - i kiwi non sono animali molto
agili - e guardò Aniel.
“Ma se passeggi dentro te stesso, cosa
vedi?” chiese.
“Dipende”, rispose la bambina, “a volte
niente, a volte cose belle, altre volte cose meno belle. Solo noi sappiamo cosa
abbiamo dentro…”
“Anche le persone che ci vogliono molto
bene” aggiunse Vicky.
“Sì, a volte sì” convenne la streghetta.
Chiacchierarono ancora un po’, poi
l’uccello chiese alla bambina:
“Ti va di fare una passeggiata? Una
passeggiata vera, intendo”.
Aniel lanciò un’occhiata verso l’uscita:
dietro alla stoffa si intravedeva il bagliore arancione ma luminoso del
tramonto.
“Sì, andiamo”.
Camminarono a lungo nella prateria, tra
cactus e rocce, fino a che giunsero in una zona di campagna, di betulle e
salici, vicino ad un ruscello gorgogliante. Il sole calò dietro alle fronde
degli alberi, gli uccelli notturni iniziarono a cantare e si fece buio. Un
dingo - che è una specie di cane che vive in Australia - ululò in lontananza,
ma la serata era calda e piacevole, e le stelle erano tantissime e luminose:
non c’era proprio nulla di cui aver paura.
Il kiwi e la bambina si fermarono in una
piccola radura erbosa.
“Come mai sei una strega ma non fai
magie?” domandò Vicky.
“Non lo so: nella mia famiglia sono
tutti dei grandi maghi e delle streghe famose, ma io non riesco a fare neppure
un incantesimo, neanche quelli facili facili, che si imparano da bambini…”
“E questo ti dispiace?” le chiese il
kiwi.
“Beh, un po’ sì” confessò Aniel.
“Ma a te piacerebbe fare magie?”
“Non saprei” rispose la bambina, un po’
confusa da quella strana domanda “non le ho mai fatte…”
“Ma c’è qualcosa che sai fare e che ti
piace?” le chiese Vicky, sdraiandosi sull’erba per guardare le stelle. Aniel lo
guardò, poi lo imitò distendendosi a pancia in su.
“So danzare”, rispose.
Per un po’ restarono in silenzio,
ammirando il cielo stellato.
“Io sono un uccello, ma non so volare”
disse il kiwi, con un tono di voce sereno, come se avesse enunciato chissà
quale verità.
Aniel inclinò la testa per osservarlo,
senza capire bene ciò che intendeva dire l’animale.
“Quindi?” gli chiese la bambina.
“Siamo tutti diversi. Tu non sei una
maga: sei una ballerina” concluse Vicky.
Una meravigliosa stella cadente,
lunghissima e luminosa, rischiarò il cielo notturno sopra la radura,
illuminando i profili delle chiome degli alberi.
Aniel annuì e, per la prima volta, capì
che non doveva essere triste se non riusciva a fare magie: sarebbe stata
infelice se non avesse saputo danzare, ma lei sapeva farlo, quindi poteva essere
contenta. In effetti, si rese conto di essere davvero soddisfatta.
“Grazie” disse Aniel sorridendo, rivolta
al kiwi.
“Prego” rispose lui, senza smettere di
fissare le stelle “lo so perché anche io, molto tempo fa, pensavo di essere
triste perché non sapevo volare”.
“E poi?” gli chiese la bambina.
“Poi ho capito cosa so fare io”.
“E che cosa sai fare?” gli domandò
Aniel, curiosa.
“So ascoltare” le rispose il kiwi.
Ecco un nuovo
racconto di Massimo Renaldini, che con il suo “tocco artistico” delicato
e intenso ci accompagna lungo i sentieri della consapevolezza. L’incontro tra
il kiwi e la bambina sprigiona, lentamente, una luce particolare, registrata
dal lento crescendo del testo. È un incontro che “doveva arrivare”, prima o
poi, affinché entrambi diventassero consapevoli del proprio valore, del proprio
posto nel mondo.
Possiamo riportare
le parole di Massimo Renaldini nella nostra quotidianità; parole pronte
a insegnarci che, forse, molti affanni potrebbero essere evitati, a diventare
consapevoli di ciò che si è e di ciò che non si potrebbe essere. Aniel e il
kiwi ci dicono di non soccombere di fronte alle aspettative cieche e ottuse, e
la loro è la voce più limpida: la voce di chi è ancora capace di stupirsi, di
meravigliarsi, e quindi di mettersi in discussione.
Dello stesso autore: Il
cagnolino e il pezzo di legno
Per contattare l’autore: massimo.renaldini@gmail.com
Per contattare l’autore: massimo.renaldini@gmail.com
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